Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

mercoledì 26 maggio 2010

I taliban che non vanno alle Maldive

Si sono appena conclusi i colloqui tra gli esponenti dei gruppi di opposizione afghani e i rappresentanti del governo di Kabul; le Maldive hanno rappresentato il luogo del secondo incontro tra le parti in conflitto, dopo quello di gennaio: colloqui non ufficiali ma fortemente voluti da Karzai e sostenuti dagli stessi Stati Uniti di Obama.
Vi hanno preso parte tredici membri del parlamento afghano e uno dei consiglieri presidenziali più vicini a Hamid Karzai; per i gruppi di opposizione erano presenti rappresentanti dell’Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar, della Jamaat-e Islami e del Jumbesh Islami ma non dei taliban del mullah Omar. Assenza quest’ultima di non poca rilevanza dal momento che proprio i taliban rappresentano lo zoccolo duro della resistenza armata contro le forze occidentali e il malconcio Stato afghano.
Gli organizzatori dell’incontro hanno auspicato che tutti i quarantacinque partecipanti all’incontro prenderanno parte al terzo colloquio che si terrà, verosimilmente, nel mese di settembre, quando ormai l’offensiva Nato su Kandahar (nome in codice Omid, ossia Speranza) avrà dimostrato il successo o il fallimento della strategia statunitense. Offensiva che vedrà contrapporsi sul campo di battaglia (più di quanto già non avvenga) le forze occidentali con l’esercito afghano e proprio quei taliban che di politica del dialogo pare non vogliano sentir parlare. Eppure proprio in occasione della visita di Karzai negli stati Uniti di qualche giorno fa era stata annunciata, seppur in maniera non troppo clamorosa – il che avrebbe dovuto farci riflettere sull’attendibilità della notizia –, l’apertura di un canale di dialogo diretto tra lo stesso Karzai e il mullah Omar. E infatti è giunta puntuale la smentita dei taliban – almeno quella ufficiale – dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan.
Il successo della politica del dialogo e della counterinsurgency statunitense pare essere sempre più remoto; come riporta finemente e senza mezzi termini Katrina vanden Heuvel sul Washington Post di oggi 26 maggio, la strategia counterinsurgency volta a conquistare i cuori e le menti degli afghani sta fallendo. Una relazione del Pentagono del mese scorso rivela che solamente 29 dei 121 distretti “critici” dell’Afghanistan possono essere definiti in buone relazioni con il governo centrale, in contrapposizione ai 48 che si dimostrano aderenti alle posizioni dei taliban o che li supportano. Così come il numero di cittadini afghani che considera “buona” o “molto buona ” la presenza statunitense e della Nato è scesa da dicembre dello scorso anno al mese di marzo dal 38 al 29%, forse anche in conseguenza all’elevato numero di civili morti e feriti in seguito ad attacchi dell’una e dell’alta parte.
L’atmosfera è strana e si respira aria di preoccupazione, quasi come se fosse giunto il “momento dei Taliban”, sebbene il generale Stanley McChrystal abbia recentemente dichiarato che al momento “nessuno sta vincendo”. Questo avrebbe dovuto forse rincuorarci? Io rimango perplesso, data la situazione di stallo, tanto politico quanto militare. L’offensiva su Marjah non ha dato i risultati sperati, i colloqui di pace non hanno visto la partecipazione del “nemico” più forte e radicale, l’offensiva di primavera Al-Faath ha portato a un notevole aumento del numero di attacchi contro le forze occidentali e il governo locale. Non rimane ora che attendere, ancora una volta fiduciosi, l’avvio della Peace Jirga di Kabul pianificata per il 2 giugno e tanto voluta da Karzai.

3 commenti:

  1. Mi sembra che i nomi delle rispettive azioni "militari" degli "eserciti" in campo la dicano lunga sulle effettive aspettative.
    Senza un coinvolgimento maggiore della popolazione a favore degli occidentali, il rischio (se già non è così) sarebbe quello di trovarsi in un nuovo vietnam. Temo che questo sia un fattore psicologico importante dal punto di vista dell'attività USA nell'area. E dico "temo" e non "penso", perchè secondo me l'esigenza di un disimpegno rapido e possibilmente risolutivo non porterà nulla di buono alla popolazione Afghana.
    Si, aspetteremo fiduciosi.

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  2. L'insistenza necessaria perchè vada in porto un primo confronto con tutti TUTTI gli attori di questa guerra deve trasformarsi in ostinata volontà... perchè è vero, non si fa la pace con gli amici: la si fa coi nemici. Ammesso che di pace si tratti...
    Ma la domanda è: ne siamo capaci? Lo vogliamo davvero?

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  3. E sarà necessario pagare un prezzo, un prezzo molto alto. Tanto sarà chiesto, e sarà dato al fine di porre termine all'atroce conflitto afghano. Non si può pretendere senza nulla dare.....e quello che vogliono i taliban è, ahinoi, un passo indietro rispetto ai (pochi) successi in ambito diritti civili. e il dialogo, unito al compromesso, andrà in questa direzione.

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