Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

sabato 30 aprile 2011

Operazione Badar: la nuova offensiva di primavera dei taliban

vai all'articolo su "L'Interprete Internazionale"








Afghanistan 30 aprile: nello stesso istante in cui il Pentagono ha annunciato «progressi tangibili» nella guerra afghana, i taliban comunicavano ufficialmente l’avvio dell’offensiva di primavera; la decima offensiva che vede confrontarsi sul campo di battaglia le forze militari – e politiche – occidentali e l’insurrezione armata afghana. Come di consueto, il comunicato è avvenuto attraverso il sito web dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Indubbiamente la più vasta e impegnativa operazione militare mai annunciata sino ad ora dai gruppi di opposizione armata afghani.
L’operazione Badar – così è stata chiamata dalla leadership dell’Emirato – segue senza soluzione di continuità la precedente micidiale offensiva taliban del 2010, l’operazione al-Faath, caratterizzata da un massiccio impiego di attentatori e commando suicidi, imboscate e attacchi Ied (Improvised explosive devices - ordigni esplosivi improvvisati) e, pericolo sempre più reale, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane. Un’offensiva, quella del 2011, avviata in grande stile e anticipata pochi giorni fa dalla strabiliante operazione che ha portato alla fuga dal carcere di Kandahar di 474 insorti, tra i quali alcuni comandanti militari di medio livello.
Anche quest’anno i taliban sono stati chiari, espliciti nei loro intenti; e non vi è da dubitare che metteranno in pratica quanto minacciato, poiché è sufficiente guardare indietro, al numero di azioni, alle statistiche relative ai danni inferti, per rendersi conto del potenziale militare, delle capacità offensive e del sempre più ampio consenso (spontaneo e indotto) tra gli strati sociali delle più o meno remote realtà rurali dell’Afghanistan.
Badar è un’operazione di jihad che si estenderà a tutto il territorio del Paese seguendo la logica della guerriglia: azioni mordi e fuggi, imboscate, Ied, uccisione di rappresentanti dell’amministrazione civile, sabotaggio delle vie di comunicazione militari, cattura di soldati stranieri, attentati suicidi e, infine, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane. Un copione ormai collaudato che li porterà a scegliere obiettivi appaganti dal punto di vista mediatico, utilizzeranno commando suicidi tecnicamente sempre più preparati contro le infrastrutture delle forze militari straniere e afghane, si infiltreranno nelle forze di sicurezza locali e nazionali per poter raccogliere informazioni e colpire direttamente dall’interno così come avvenuto nell’ultimo anno (l’ultimo attacco avvenuto il 27 aprile all’aeroporto di Kabul ha provocato la morte di otto militari e un contractor statunitensi). Lo hanno detto e lo faranno, non si tratta di semplice propaganda. Oggetto del fuoco taliban saranno i principali centri urbani, la capitale Kabul, Kandahar e Lashkar-Gah nel sud, Kunduz nel nord e Herat nell’ovest. Se il Pentagono nel suo report è stato estremamente cauto nel non utilizzare il termine «vittoria», i taliban sono stati parimenti espliciti nel manifestare i loro intenti:
1. Colpire le basi militari, gli aeroporti, i depositi di munizioni e i convogli logistici in tutto il territorio del paese;
2. Concentrare l’offensiva su obiettivi militari stranieri, le agenzie intelligence, i contractor, i vertici civili e militari dello Stato afghano, rappresentanti politici e funzionari istituzionali, dirigenti delle organizzazioni straniere e locali che collaborano con le forze militari e con il governo di Kabul;
3. Colpire i componenti della Peace Jirga che, con il loro comportamento, si sarebbero resi compici del prolungamento del conflitto attraverso una politica ambigua e corrotta in favore dell’occupazione militare straniera; con essi verranno colpiti tutti coloro che si oppogono al jihad e alla lotta di liberazione nazionale.

Al tempo stesso il messaggio dell’Emirato islamico ha posto l’accento su due aspetti importanti.
Il primo è quello che, da un lato, impone ai mujaheddin di prestare la massima attenzione alla protezione e alla salvaguardia delle popolazioni civili attraverso una pianificazione meticolosa delle azioni militari e l’utilizzo di adeguati e sofisticati equipaggiamenti per colpire le forze nemiche aeree e terrestri; dall’altro lato, i taliban chiedono ai civili di rimanere lontani da quelli che sono gli obiettivi designati, e cioè tutto ciò che è straniero e legato al governo di Karzai.
Il secondo punto, di natura squisitamente politica, insiste sugli argomenti a giustificazione del conflitto in Afghanistan e la prosecuzione della lotta contro le forze occidentali e del governo di Kabul: la difesa dell’Islam attraverso il jihad e la lotta di liberazione nazionale contro gli invasori stranieri e i loro collaborazionisti responsabili di crimini di guerra, uccisioni indiscriminate, distruzione di proprietà privata e beni comunitari e oltraggio al Corano; la religione è sempre un forte strumento di giustificazione.
I taliban stavano attendendo il momento giusto per dare inizio all’offensiva di primavera. Il movimento degli studenti coranici, in grado di muoversi in maniera relativamente sicura in quasi tutto il territorio dell’Afganistan, si è preparato per riprendere quanto strappato dalla Coalizione a partire dall’agosto dell’anno scorso.
I vertici della missione Isaf si aspettano un ulteriore aumento nel numero e nell’intensità delle azioni offensive contro le forze di sicurezza nei prossimi dodici mesi; nonostante i duri colpi inferti al movimento insurrezionale nel corso del 2010 i taliban sembrano essersi rinvigoriti, galvanizzati da un successo che appare sempre più inarrestabile. Nel 2007 le fonti intelligence fornivano un dato variabile da 5.000 a 7.000 elementi operativi, nel febbraio del 2009 erano 10-15.000; stando a quanto afferma l’intelligence americana, la cifra attuale si dovrebbe attestare su 25-35.000 militanti operativi in Afghanistan, cifra elevata a 50.000 allargando il conteggio alle agenzie tribali del Pakistan. Fonti ufficiali della Nato hanno confermato tali numeri: una cifra "approssimativa" ma identica a quella dell'anno scorso, precedente all'arrivo dei rinforzi, e nonostante nel 2010 gli insorti abbiano registrato 5.225 morti e 949 feriti sul territorio afghano. Se tali stime ufficiali sono corrette è confermata l’elevata capacità dei gruppi di opposizione di arruolare nuove reclute che, detto in altri termini, significa inarrestabile capacità di rigenerazione. Combattere per difendere il proprio popolo e per difendere sé stessi, è questo l’efficace messaggio dei taliban.
La lettura dei proclami, degli annunci e dei messaggi mediatici dell’una e dell’altra schiera consente di spostare l’attenzione su capacità e volontà delle parti in conflitto, lasciando in secondo piano ciò che invece è molto più importante, ossia il tentativo di accordo e compromesso tra chi deve per forza andarsene e chi, comunque, rimarrà in Afghanistan.
In ogni caso l’offensiva Badar inizia l’11 Saur Hijri, ossia il primo maggio.

30 aprile 2011


giovedì 28 aprile 2011

Afghanistan: la forza dell’insurrezione, i limiti della counterinsurgency. L'approccio microstrategico


Articolo completo disponibile sul sito del Centro Militare di Studi Strategici



Obiettivi e strumenti delle Forze armate al livello «microstrategico».




Prendendo atto del mancato processo di costruzione di uno Stato nazionale, ciò che emerge al di là della violenza – che è un sintomo ma non la causa delle difficoltà in Afghanistan –, è che quello afghano non è un problema di natura militare; dunque, la soluzione non può e non deve essere basata essenzialmente sullo strumento bellico. Ma il ruolo della componente militare è fondamentale a breve termine nel sostegno allo sviluppo e alla ricostruzione; ruolo che può, e deve, essere giocato attraverso un’adeguata preparazione delle sue componenti a contatto ravvicinato con la realtà afghana.
L’Autore vuole tentare, anche sulla base dell’esperienza maturata sul campo di suggerire possibili soluzioni per compensare i limiti del soldato chiamato a operare sullo human terrain, il livello microstrategico: cosa può fare e come dovrebbe operare la Forza Armata attraverso i suoi operatori.
È fondamentale il contributo che le forze di sicurezza potranno dare al processo di ricostruzione civile e alla formazione delle forze di sicurezza afghane; per far ciò è però necessario procedere a neutralizzare il gap culturale che ne limita le potenzialità. , di suggerire possibili soluzioni per compensare i limiti del soldato chiamato a operare sullo human terrain, il livello microstrategico: cosa può fare e come dovrebbe operare la Forza Armata attraverso i suoi operatori.
Sul piano della ricostruzione è opportuno investire in un consapevole sostegno al processo di riavvio e riconversione del sistema agricolo attraverso i Prt e la costituzione di Agribusiness Development Team (Adt) composti da personale qualificato (biologi, chimici, agronomi, ingegneri, veterinari, ecc.). Questo consentirà di ottenere alcuni fondamentali risultati a breve-medio termine che dovranno concretizzarsi in probabilità di successo attraverso la creazione di opportunità professionali, la possibilità di ottenere il favore delle popolazioni rurali, l’auspicabile riduzione della produzione di oppiacei e lo sviluppo della catena di produzione agricola e di distribuzione commerciale locale e nazionale.
Il sostegno al processo di ricostruzione passa anche attraverso le attività Cimic, il cui ruolo è di primaria importanza. Ma per operare efficacemente è necessario incrementare il numero di unità Cimic, ampliarne le attività, subordinare la componente militare a quella civile, avviare la «piccola ricostruzione» a livello locale ed evitare l’overlapping, il pericoloso sconfinamento della componente militare nei confronti di quella civile.
È infine opportuno procedere al «surge civile» basato sull’impiego e la collaborazione di personale specializzato in ambito economico, politico, militare, al fine di coinvolgere la società civile afghana rendendola artefice del proprio futuro attraverso la partecipazione consapevole.
E se la componente civile è fondamentale nel processo di costruzione dello Stato, è bene evidenziare quanto quella militare sia necessaria alla salvaguardia dello stesso. È dunque indispensabile una consapevole cooperazione nella formazione delle forze di sicurezza afghane nazionali. Vengono qui identificate tre vie per creare un efficace strumento per la sicurezza delle aree periferiche del Paese (ma non per risolvere il conflitto afghano nel suo complesso).... (vai all'articolo)

Seminario: attori della violenza nel conflitto afghano


Le caratteristiche dei conflitti contemporanei

Gruppi di opposizione armata

e Private Security Firms: gli attori della violenza nel

conflitto afghano


Ne discutono

Stefano Ruzza, Università di Torino

Claudio Bertolotti, Università di Torino



2 maggio ore 17

Sala Conferenze Dipartimento di Studi Politici

via Giolitti 33 - Torino

sabato 23 aprile 2011

Ciclo Seminari "Le caratteristiche dei conflitti contemporanei"




Le caratteristiche dei conflitti contemporanei
La guerra in Iraq tra insorgenza e attacchi suicidi

Introduce i lavori il Prof. Luigi Bonanate


Ne discutono


Domenico Tosini - Università di Trento
Andrea Beccaro - Università di Torino

13 maggio - ore 15
Sala Conferenze - Dipartimento di Studi Politici
via Giolitti, 33 Torino (primo piano)




giovedì 14 aprile 2011

Afghanistan 2011: una valutazione generale

di Claudio Bertolotti

La fase combat potrà intensificarsi nei prossimi mesi, aveva detto Petraeus poco meno di un anno fa. È trascorso non troppo tempo e in effetti i combattimenti si sono intensificati, sul fronte della Coalizione come su quello taliban. La recente relazione del Generale Petraeus al Comitato per le Forze armate del senato statunitense si è mossa nella giusta – e forse scontata – direzione, confermando la fiducia nella strategia contro-insurrezionale. Il comandante delle forze internazionali in Afghanistan ha voluto insistere su alcuni aspetti principali per descrivere ciò che si sta facendo ed è necessario continuare a fare nella guerra afghana. Tre, sono i principali argomenti esposti alla commissione statunitense.

Il primo è lo sforzo militare, necessario per riconquistare terreno e danneggiare le infrastrutture logistiche e operative dei gruppi insurrezionali in Afghanistan.

Il secondo è lo sforzo civile, per accelerare il processo di costruzione delle infrastrutture statali, ormai da troppo tempo danneggiate e incapaci di operare in un contesto di guerra combattuta, per poter così procedere verso la normalizzazione di alcune delimitate aree del paese.

Il terzo è la costituzione e l’addestramento delle forze di sicurezza nazionali e il loro impiego operativo nella guerra all’insurrezione. La campagna militare guidata dagli Stati Uniti non si muove però solamente sul campo di battaglia, bensì anche – e principalmente – sul piano mediatico. Dunque l’annuncio dei successi operativi del 2010 e dei primi mesi del 2011 sembrerebbe rivelare lo stop a un’offensiva taliban in grado di conquistare terreno ininterrottamente dal 2005. Un’inversione di tendenza è stato cautamente detto dagli organi informativi della Coalizione. Le ragioni di questo successo sono forse da ricercarsi nell’aumento delle truppe sul terreno o, più verosimilmente, nell’accurata selezione delle informazioni lasciate trapelare attraverso un sempre più efficace sistema di informazione militare e sulla padronanza delle regole comunicative? Forse si tratta di un successo esclusivamente mediatico? Non si può dire che si riduca a questo lo sforzo dello strumento bellico statunitense, sarebbe ingiusto negare un’evoluzione che, se non negativa e non propriamente positiva, possiamo comunque definire neutra; per usare una formula già utilizzata in un precedente articolo, uno stallo dinamico. Nel 2010, quando per la prima volta il generale Petraeus comparve innanzi al Congresso degli Stati Uniti, indicò attraverso una valutazione nella sostanza pessimistica gli ostacoli più grandi che bloccavano la via verso il successo; lo fece concentrandosi – non essendo ancora il comandante delle truppe sul terreno – su aspetti squisitamente militari: nella sostanza denunciò, poco velatamente, un’eccessiva cautela concettuale nella condotta della guerra. Oggi, subentrato nel comando delle forze militari in Afghanistan al generale Stanley McChrystal, a distanza di poco meno di un anno dall’avvio di una più pressante campagna militare e dalla revisione della dottrina contro insurrezionale – che lui stesso aveva contribuito a formulare – è più cauto nelle esternazioni e anche i toni utilizzati paiono edulcorati. La parola successo viene utilizzata, seppur con prudenza, per quanto alcuni aspetti – di natura più politica che militare – vengano comunque messi in evidenza: un governo Karzai visto come corrotto e incapace, la capacità offensiva e la volontà di combattere degli insorti, i santuari dei taliban nelle aree pachistane dove i droni sono in grado di colpire ma non di eliminare il problema. Un successo relativo, dunque, quello dichiarato da Petraeus; un successo, per usare le sue stesse parole, fragile e reversibile che potrebbe lasciare gli Alleati con un pugno di mosche in mano se impreparate a reagire all’offensiva di primavera del taliban. E se dal fronte militare giungono echi ottimistici, quello civile non è da meno. Investimenti nella ricostruzione di infrastrutture, accessibilità ai mercati locali, aumento della percezione di sicurezza da parte della popolazione civile; tutti fattori ampiamente pubblicizzati e puntualmente contestati dai dati di fatto che riportano alla realtà con statistiche tutt’altro che ottimistiche. Anche la costruzione delle forze di sicurezza afghane – esercito e polizia – procede verso gli obiettivi prefissati durante il Summit della Nato a Lisbona. 260.000 tra soldati e agenti di polizia nazionale, che diventeranno 350.000 entro l’autunno e 400.000 nel 2013. Un esercito e una polizia che raggiungono i risultati sperati sul piano quantitativo ma non su quello qualitativo dal momento che solamente il trenta percento dell’esercito – e il dodici percento della polizia – è in grado di poter operare in autonomia senza il sostegno delle forze della Nato e della Coalizione. Non abbastanza per garantire il controllo dell’Afghanistan ma quanto basta per dichiarare l’imminente passaggio di consegne tra le forze internazionali e quelle afghane in settanta aree “normalizzate” – tra queste la città di Herat, ma non la sua provincia, sede del Regional Command West a guida italiana. Petraeus è un professionista sul piano militare, ma lo è ancora di più su quello politico. Nella sua relazione al Comitato, il generale ha fortemente insistito sull’importanza di un corretto approccio alla realtà locale – prova ne sono i quaranta milioni di dollari investiti nella costituzione degli Human Terrain Team composti da antropologi, sociologi ed esperti di scienze umane –; così come ha insistito sulla necessità di migliorare le infrastrutture, ridurre al minimo gli “effetti collaterali” – che nel vocabolario politico-militare indica le vittime innocenti –. Ma ciò su cui Petraeus insiste è l’ormai sdoganata possibilità, anzi necessità, di dialogo con i taliban: auspicabile intesa finalizzata alla fatidica soluzione di compromesso. Una soluzione che, al di là degli effetti sul campo di battaglia e ancor più sul piano sociale, punta a un successo politico o quantomeno a una formale «non sconfitta». Una finestra di opportunità, ha detto Petraeus, è stata aperta per avviare i colloqui con i taliban al fine di reintegrarli sul piano politico e ridurre le violente ripercussioni della guerra sul Paese, un prerequisito per completare la strategia di stabilizzazione statunitense della regione e con essa, verosimilmente, il disimpegno di una consistente parte dell’esercito americano – che rappresenta al tempo stesso la conditio sine qua non per la possibile rielezione del presidente Obama nel 2012, giacché la sua ricandidatura è ormai un fatto assodato. Un gioco non semplice e che si sta dimostrando più difficile e complesso del previsto. I taliban non sono una realtà monolitica, dunque non esiste una controparte con cui trattare, bensì correnti e movimenti differenti. Vecchia generazione di combattenti e neo-taliban convivono e collaborano sul campo di battaglia, ma spinte ideologiche, motivazionali ed end-state non sempre coincidono. Questo rende tutto più difficile. Secondo Petraeus, in questa fase in cui sul piano diplomatico tutto è permesso, il presidente Karzai rimane un partner importante, nonostante recenti critiche e contrapposte prese di posizione. Lo stesso Karzai che da una parte punta il dito contro gli Stati Uniti e la Coalizione, e dall’altro allunga la mano per chiedere – e ottenere – i necessari contributi per poter sopravvivere. L’opinione pubblica afghana – quella rurale ma non quella urbana – è sempre meno pro-Karzai e sempre più orientata verso una soluzione che non escluda un ruolo importante dei taliban. Dunque il tentativo di conquistare i cuori e le menti degli afghani non è ancora stato raggiunto; in questo il ruolo della propaganda taliban ha fatto sentire tutto il peso di un’organizzazione mediatica di tutto rispetto, al pari di quella occidentale.


13 aprile 2011



Afghanistan 2011: general assessment Combat may get more intense in the next few months, Gen. David H. Petraeus said an year ago. When he appears before Congress in 2010 to tout progress in Afghanistan, he will face a pessimistic assessments about the war, including the intelligence community's conclusion that tactical gains achieved by military surge have failed to fundamentally weaken the Taliban. At the moment, a year after the launch of a revamped counterinsurgency, several obstacles persist. In his recent testimony in mid-March, Petraeus focused on three main components: military effort to conquer land and damage the country’s terrorist infrastructures; civilian effort to accelerate construction of the state’s infrastructures, so as to allow for normalization process; training of Afghan security forces and their increased involvement in combat and security operations. From the military standpoint, there were many successes but Petraeus stressed that these successes are fragile and reversible, especially in light of the Taliban’s expected traditional spring offensive. Successes reported by military media but not confirmed by facts and tangible results: no definitive military offensives and “human terrain” control, not satisfactory rebuilding process, not well-organized and proficient national security forces. However the end-state is political and not military…