Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

mercoledì 2 marzo 2011

Shahid: i bambini che non diventeranno mai uomini

di Claudio Bertolotti

Bambini e adolescenti che giocano simulando un attentato suicida o meglio un Istisshadi, il martirio autonomamente scelto. Si gioca a fare lo Shahid nella terra di nessuno tra Afghanistan e Pakistan; o sarebbe meglio dire nella terra dei taliban. È quanto si può vedere attraverso un video apparso recentemente su YouTube. Ma quei bambini stanno davvero giocando? Sono realmente consapevoli di ciò che stanno simulando? Oppure più semplicemente mettono in scena quanto l’addetto alla propaganda taliban dietro alla telecamera dice loro di fare? È evidente che si tratti di una messa in scena creata ad hoc, ma questo non significa che il problema non sussista.
Il settimo capitolo del mio libro sul terrorismo suicida in Afghanistan, Shahid (ed. Franco Angeli, 2010) affronta quella che da sempre è l’unica certezza di tutte le guerre: le vittime. Vittime civili, non al margine di un conflitto, ma al suo interno. E tra queste i bambini, vittime due volte, perché non solo colpiti dagli attentati suicidi, ma spesso anche attivamente coinvolti nella conduzione degli stessi.
Per quanto in Afghanistan il fenomeno degli attacchi suicidi sia relativamente recente, gli effetti sono dirompenti.
Gravissime le ripercussioni sulla vita quotidiana degli afghani. La strategia del terrorismo influenza soprattutto le fasce generazionali più deboli, quella dei bambini in primis, che sono coinvolti come vittime, sì, ma che trovano talvolta un ruolo anche tra i “carnefici”. Quindi vittime due volte. Il loro coinvolgimento, sia come componente sociale ferita dalla violenza degli attacchi sia, anche se solo in parte, come soggetti attivi nella condotta o nella partecipazione a operazioni suicide, è un problema molto grave che riversa sull’intera società le conseguenze di una politica spregiudicata.
I bambini sono le vittime dirette e indirette delle violenze e delle atrocità tipiche della guerra, sia essa civile, moderna, giusta o semplicemente “utile”. Sono obiettivi cosiddetti facili, curiosi e vivaci, hanno voglia di fare nuove esperienze e la loro percezione del pericolo è molto limitata. Le azioni violente hanno effetti devastanti sulla psicologia dei bambini, e tanto più gli attacchi suicidi. Molti hanno visto morire qualcuno, un amico o un parente, oppure hanno assistito a scene post-attentato caratterizzate dalla presenza di cadaveri smembrati e pezzi di corpi inanimati; molti di loro soffrono di incubi e angosce profonde. Studi condotti da enti di soccorso e umanitari, sia istituzionali che privati, hanno raccolto una sufficiente quantità di testimonianze e dati utili per concludere, per quanto in maniera incompleta ma non per questo meno realistica, che le violenze e la persistente percezione del rischio di attacchi suicidi, oltre che la loro effettiva attuazione, influiscono in maniera negativa sul “soggetto-bambino” al punto tale da allontanarlo dalla propria famiglia, per mancanza di senso di protezione, e in alcuni casi da persuaderlo a commettere egli stesso un attacco di tale tipologia. La ragione di questa condizione estrema sta nel fatto che molti di loro non si aspettano di sopravvivere.
Per quanto riguarda le ragioni per cui alcuni bambini si trovano coinvolti in questi meccanismi, non possiamo parlare di imposizione, se non in minima parte. Molto più significativi sono il coinvolgimento e il convincimento. L’età varia dagli undici ai quindici anni. Il peso che le scuole religiose hanno in quest’opera di reclutamento è notevole in particolar modo nel processo di indottrinamento che avviene fin dalla più giovane età. Il risultato, ovvio, è quello di una generazione ideologicamente influenzata e condizionata: scelta e desiderio vengono così indirizzati, viziati dalle aspettative e dalle delusioni. L’incidenza di questo indottrinamento, l’incapacità di prendere una decisione razionale, la facilità con cui cadono nelle maglie di organizzazioni terroristiche sono fattori che testimoniano come l’opera di convincimento condotta dai taliban negli istituti scolastici comprenda promesse di riconoscimento, sì di tipo celeste, ma anche terreno, come telefoni cellulari e motociclette: regali altrimenti irraggiungibili. E pure l’immaginario gioca un ruolo fondamentale: l’avventura, la possibilità di divenire “martire” e quindi di essere un esempio per tutti.
Casi di bambini impiegati in attacchi suicidi e reclutati nelle madrasa pakistane sono ben noti.
L’infanzia “sacrificata”, nella forma estrema dell’attacco suicida, è un fenomeno, per quanto limitato, ad ampia diffusione geografica e, proprio per questo, preoccupante.
Perché i bambini vengono indotti a commettere un atto tanto crudele? Cosa li spinge a morire, più o meno consapevolmente, in nome di un generico e distorto precetto religioso? Domande che richiedono una profonda riflessione sulla situazione sociale dell'Afghanistan contemporaneo.
Oggi i gruppi di opposizione possono attingere da un bacino di reclutamento molto ampio, quello degli emarginati o di coloro che sono al limite della disperazione. E così il numero di potenziali attentatori non fa che aumentare di giorno in giorno.
(Da Shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan. ed. Franco Angeli 2010, leggi la recensione)

2 marzo 2011

Nessun commento:

Posta un commento