Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

venerdì 30 marzo 2012

Teheran, Kabul e Islamabad: gli effetti del summit trilaterale in prospettiva pakistana

Articolo pubblicato su Osservatorio Iraq

di Claudio Bertolotti

Il summit trilaterale Pakistan
-Afghanistan-Iran di febbraio – un’iniziativa tenutasi a Islamabad e focalizzata su lotta al terrorismo, politica regionale e collaborazione economica – ha messo in evidenza le criticità del processo di pace afghano. Molto è cambiato dal precedente summit del giugno 2011: in primis, il surge militare degli Stati Uniti ha dimostrato la sua inefficacia e, al contempo, le forze di sicurezza afghane sono ben lontane dagli obiettivi prefissati, compresa la capacità di assumere la responsabilità del controllo del territorio. In compenso il coinvolgimento politico degli stessi taliban lascia intravvedere un possibile futuro scenario per l’Afghanistanpost-2014. Mentre gli Stati Uniti accelerano verso l’uscita dal conflitto, i taliban pregustano la propria vittoria insieme al Pakistan, pronto a intervenire al momento opportuno difendendo al tempo stesso gli interessi nazionali e riallacciando i rapporti privilegiati con Washington. Tale contesto pone il Pakistan in una posizione privilegiata per il finale della partita afghana poiché offrirebbe a Islamabad una straordinaria opportunitàdi essere protagonista, e non comparsa, nel processo di pace, inserendosi nella fase negoziale avviata dagli Stati Uniti in Qatar; e questo nonostante il raffreddamento delle relazioni con Washington dell’ultimo anno e a scapito del ruolo di Karzai, divenuto progressivamente secondario per Islamabad. Un Pakistan che, in relativa controtendenza, si è aperto al dialogo anche con i gruppi di potere non-pashtun (leggasi ex Alleanza del Nord) pur di contrastare la (ri)nascita di un efficace fronte anti-taliban e con l’obiettivo di approfittare di una mutata situazione regionale che vede transitare per Kabul le attenzioni – e gli interessi – di Russia, Iran e degli Stati dell'Asia centrale. In questi termini, Islamabad ha indirizzato il summit trilaterale in modo tale da dare vita a un’«iniziativa regionale» che possa garantire, pur mantenendo con Washington un atteggiamento di conciliante collaborazione, un proprio ruolo determinante nell’ipotesi di un consistente disimpegno degli Stati Uniti. In linea con questa politica rientrerebbe l’atteggiamento vagamente ambiguo per quanto concerne i progetti legati alle risorse energetiche regionali, come l’Ipi (che coinvolgerebbe anche l’Iran) e il più probabile Tapi (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) sostenuto anche da Washington, e agli accordi commerciali (tra i quali il Transit con i paesi dell'Asia centrale, siglato con il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti). Per contro, anche i rapporti con l’Iran si sono ulteriormente rafforzati. Proprio il Pakistan, parallelamente alla discussione di importanti progetti di fornitura energetica, ha proposto una formula di collaborazione commerciale con Teheran al fine di eludere le sanzioni punitive volute dagli Stati Uniti. Insomma, il Pakistan è riuscito nel tentativo di inserirsi a un livello intermedio della politica regionale che gli consentirebbe di dialogare con tutti gli attori direttamente o indirettamente coinvolti nel conflitto afghano, divenendo al contempo soggetto necessario ai fini della strategia a breve termine degli Stati Uniti. Lo ha ben compreso Karzai, che nulla è riuscito a ottenere di quanto richiesto a Islamabad in termini di azioni concrete ed efficaci per agevolare un dialogo intra-afghano tra il governo di Kabul e il movimento taliban. L’opzione pakistana si presenta dunque come una soluzione dal doppio binario. Il primo vedrebbe il Pakistan svolgere una funzione da intermediario privilegiato tra le parti in causa; il secondo, ammesso che la prima opzione possa non ottenere gli effetti desiderati, vedrebbe proprio nell’«iniziativa regionale» il giusto compromesso in grado di consentire al Pakistan di giocare in un ruolo, anche in questo caso, di primo piano.

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mercoledì 21 marzo 2012

Radio Onda d'Urto - Strage di civili: i taliban giurano vendetta - Intervista a C. Bertolotti

In primo piano le reazioni alla carneficina, compiuta in piena notte, a sangue freddo, porta per porta, di donne, bambini , anziani in due villaggi della provincia afghana di Kandahar delle truppe occupanti nordamericane in Afghanistan ieri. 16 le vittime ufficiali, “inclusi bambini, donne e uomini anziani”.

L’efferatezza del massacro rischia di far precipitare i rapporti, già tesi, fra Kabul e Washington e di far deflagrare l’ostilità popolare nei confronti delle truppe occupanti, già esacerbata dal rogo del Corano e da uno stillicidio di episodi di gratuito disprezzo e di civili morti, vittime di azioni militari fuori bersaglio.

La cancelliera tedesca Angela Merkel si è detta scettica sul ritiro delle truppe tedesche, preventivate da tempo dagli Stati Uniti d’America, dall’Afghanistan entro il 2014. La situazione attuale non permette di dire che “possiamo ritirarci oggi. E non possiamo neanche dire che ci riusciremo entro il 2013-14″, ha dichiarato durante una visita improvvisa a Masar-i-Sharif". “La volontà c’é, vogliamo riuscirci e ci stiamo lavorando”, ha aggiunto Merkel.

Anche il parlamento Afghano ha espresso sdegno per la mattanza. “Gli afghani hanno esaurito la pazienza sulle azioni “arbitrarie” delle truppe straniere” ha affermato il parlamento guidato da Karzai, mentre i taliban giurano di vendicare il massacro promettendo di intensificare i loro attacchi contro l’esercito occupante. Di “incidente scioccante” parla il Presidente nordamericano Barack Obama, che si è limitato ad assicurare che sarà fatta giustizia.

La lettura dei fatti con Claudio Bertolotti, analista di geopolitica e di geostrategia, esperto di insorgenza afghana, ricercatore e autore dei saggi “shahid. Analisi del terrorismo suicida in Afghanistan” (Franco Angeli), e “attacchi suicidi” (Eurasia). Ascolta [Download]

Il commento di Emanuele Giordana, fondatore di Lettera 22 e profondo conoscitore dello scenario afghano. Ascolta

lunedì 5 marzo 2012

Le possibili cause del dissenso afghano

di Claudio Bertolotti

La vicenda delle copie del Corano bruciate dai soldati statunitensi è un evento che segue altri analoghi episodi tra cui, il più recente, la dissacrazione dei corpi dei taliban uccisi dai soldati (sempre americani). Accadimenti, apparentemente marginali sul campo di battaglia convenzionale, che hanno però evidenti ripercussioni sull’opinione pubblica afghana.
Le violente manifestazioni di massa che hanno caratterizzato il mese di febbraio indicano l’evolversi di una situazione politico-sociale in progressivo, e apparentemente incontenibile, deterioramento. A nulla sono valse le prime giustificazioni, le formali scuse del presidente Obama e l’appello alla calma di Karzai.
A Kabul, così come in molte altre località dell’Afghanistan, una massa significativa di dimostranti ha riversato la propria rabbia contro i simboli di ciò che viene indicato come male all’origine dell’attuale situazione: gli Stati Uniti, e gli stranieri in genere. Lancio di pietre, minacce dirette all’America, atti dimostrativi di assalto alle basi militari e alle infrastrutture adiacenti, addirittura il lancio di una bomba a mano contro una base avanzata nel nord dell’Afghanistan e un attentato suicida contro la base aerea di Jalalabad.
E dopo l’uccisione di due alti ufficiali “consiglieri” da parte di un agente dei servizi di Kabul, l’attacco di un soldato afghano contro i suoi istruttori – tecnicamente un green on blue – ha provocato la morte di due soldati statunitensi e il ferimento di altri quattro; solamente l’ultimo di una serie di recenti attacchi di questa tipologia. Benché gli organi di informazione di Isaf e della Nato abbiano riportato la notizia come attacco perpetrato da un soggetto con uniforme dell’esercito afghano, seguendo uno schema ormai consolidato di opportune norme di linguaggio, la realtà dei fatti conferma un trend in crescita di attacchi condotti dall’interno delle istituzioni afghane (per quanto questo fenomeno non rappresenti, per il momento, una minaccia statisticamente significativa). Ciò che invece si presenta come un fatto difficilmente incontestabile è che dopo oltre dieci anni di guerra, i legami tra gli afghani e le truppe della Nato tendono ad apparire sempre più deboli, precari.
Per quanto non è certo che vi sia una connessione diretta tra movimenti insurrezionali (taliban in primis) e autori degli attacchi, ciò che emerge è comunque la presenza di un risentimento palpabile che si basa sul presupposto della mancanza – o la presunta mancanza – di “rispetto”; rispetto della cultura, delle tradizioni, dei costumi e della stessa religione. E i recenti avvenimenti rientrano in questo contesto di conflittualità culturale, ulteriormente inasprito dalla morte di cittadini afghani durante le stesse manifestazioni.
L’impressione che traspare è che molti afghani, non solo i gruppi di opposizione armata, siano stanchi di una presenza straniera associata quasi esclusivamente – anche grazie a una fine opera di propaganda dei movimenti insurrezionali sostenuti in questo dai mullah nelle moschee – ad abusi, attacchi indiscriminati e raid notturni all’interno delle abitazioni private: e proprio umiliazione e offesa sono gli argomenti su cui insiste l’opera di propaganda dei taliban dell’Emirato islamico.
L'avversione per le truppe straniere che progressivamente sta crescendo tra gli afghani è solamente una scintilla della crisi che sta accendendosi sempre più col trascorrere del tempo e che solamente i più recenti accadimenti stanno mettendo in mostra.
(articolo pubblicato su Grandemedioriente.it)