Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

martedì 25 agosto 2015

La ricerca di una nuova strategia per l’Afghanistan: l’ufficio politico dei taliban e lo scontro militare. Quattro ipotesi di scenari futuri (CeMiSS)



di Claudio Bertolotti


ISBN: 978-88-99468-03-3
 
I gruppi di opposizione armata afghani sono impegnati in un’offensiva militare sempre più violenta e muovono verso un possibile e vantaggioso processo negoziale che potrebbe imporre significativi riequilibri nelle dinamiche nazionali e regionali. L’analisi di Claudio Bertolotti evidenzia come le dinamiche conflittuali non coinvolgono più solamente i gruppi di opposizione armata afghani, ma anche soggetti e gruppi stranieri, cosa questa che ha l’effetto di riportare al livello globale l’annoso conflitto afghano.

I gruppi di opposizione armata afghani sono impegnati in un’offensiva militare sempre più violenta e muovono verso un possibile e vantaggioso processo negoziale che potrebbe imporre significativi riequilibri nelle dinamiche nazionali e regionali; un processo che, per contro, potrebbe aprire a nuove conflittualità intra-insurrezionali a causa del rischio di frantumazione del fronte interno agevolato dal tentativo di penetrazione destabilizzante dello Stato islamico nella variante asiatico-meridionale (ISIS&Co., si veda Osservatorio Strategico CeMiSS 4/2015).
I taliban sono alla ricerca del riconoscimento formale del loro ruolo ‘in’ Afghanistan  e ‘per’ l’Afghanistan e perseguono l’obiettivo politico attraverso la via diplomatica; un approccio strategico che ha aperto le porte di molti paesi.
Si moltiplicano infatti le occasioni di incontro tra esponenti politici afghani, società civile, organizzazioni non governative e rappresentanti dell’ufficio politico dei taliban, formalmente partecipanti a titolo personale; così, dopo l’incontro a Doha in Qatar (2 maggio) – dove ha sede l’ufficio politico dei taliban – e quello in Cina (24 maggio), è stata la volta della Norvegia (4 giugno) e degli Emirati Arabi Uniti (Dubai, 6-7 giugno); un altro incontro è in calendario per il mese di luglio. Eppure il sedicente Emirato islamico dell’Afghanistan non ha ammesso di aver avviato un dialogo con il governo di Kabul, che insiste nel definire come illegittimo; questo è un fattore significativo del doppio binario perseguito dalla leadership insurrezionale: da un lato continuare nel sottrarre territorio e capacità di manovra al debole governo di unità nazionale, dall’altro aprire a un dialogo allargato, quanto volutamente non definito.
Ma il fatto che ognuno di questi incontri, benché ufficialmente informali, sia stato pubblicizzato attraverso il sito web ufficiale dell’Emirato islamico dei taliban mediante dichiarazioni formali, lascia intravedere un disegno strategico favorevole, orientato a una possibile, quanto auspicata, soluzione negoziale, sebbene al costo di una sempre più prossima revisione della costituzione in linea con alcune delle richieste dei taliban, a una riorganizzazione dello stato in senso maggiormente islamico e, infine, a un processo inclusivo di power-sharing e balance of power a cui potrebbe unirsi una sostanziale divisione politico-geografica del paese (lungo le linee delle aree di controllo dei gruppi di opposizione armata). Da una realtà de facto a una possibile soluzione de jure che potrebbe dunque prospettarsi nel futuro prossimo dell’Afghanistan.
Un percorso, quello della ricerca del dialogo, che procede parallelo all’aumento delle conflittualità e della violenza sul campo di battaglia dove prosegue senza interruzioni un’offensiva di primavera i cui effetti tattici si traducono in pressione politica nei confronti di un governo di unità nazionale caratterizzato da mai celate conflittualità interne derivanti dalle spinte dei gruppi di potere a sostegno dell’una o dell’altra parte (Ashraf Ghani e Abdullah Abdullah, rispettivamente presidente e CEO-capo dell’esecutivo, si dividono l’onere di governare l’Afghanistan e le conseguenti prerogative).
Prosegue, incontrastata come non mai, l’offensiva di primavera (la più violenta e intensa degli ultimi quattordici anni) e l’espansione territoriale dei taliban, come dimostra la provincia di Uruzgan dove cinquantacinque posti di polizia sono caduti nelle mani dei gruppi di opposizione armata e quella di Helmand dove sono stati registrati intensi scontri tra militanti e forze di sicurezza afghane. E ancora, il violento attacco al parlamento nazionale di Kabul del 22 giugno (che ha provocato la morte di due civili e il ferimento di circa trenta persone) ha aumentato l’imbarazzo di un governo che, a distanza di dieci mesi, non è riuscito a insediare il proprio ministro della Difesa ed è sempre più in difficoltà nel gestire la sicurezza del paese, in particolare delle aree periferiche sempre più a rischio di cadere sotto il controllo definitivo della galassia di gruppi di opposizione armata, come dimostra la sorte dei due i distretti – Archi e Chahar Dara – caduti di recente sotto il controllo dei taliban, tanto da porre in pericolo la stessa città di Kunduz – la quinta principale area urbana del paese; se ciò dovesse avvenire sarebbe l’ulteriore conferma di una crescente quanto incontenibile capacità operativa del fronte insurrezionale e dell’acquisizione di un peso sempre maggiore al possibile tavolo negoziale.
E ancora, aumentano le dinamiche conflittuali che coinvolgono non solamente i gruppi di opposizione armata afghani ma anche soggetti e gruppi stranieri, con ciò (ri)portando la guerra afghana a un livello globale che supera la realtà locale e regionale. Un esempio significativo è dato dalla notizia (riportata dal Washington Post) dell’uccisione del primo combattente afghano sotto l’insegna dell’ISIS al di fuori dell’Afghanistan (Wali Mohammad Darwazi, ventitreenne appartenente a un gruppo di studenti dell’università di Kabul impegnati a combattere in Syraq per lo Stato islamico). Un esempio, tra i sempre più numerosi, che conferma il crescente processo di radicalizzazione, propaganda e reclutamento che sta lentamente investendo il sub-continente indiano.
E la possibilità che combattenti afghani possano essere addestrati in Syraq, per poi far ritorno in Afghanistan per combattere o reclutare altri giovani afghani per conto dell’ISIS, è un fattore di preoccupazione poiché rappresenta un’ulteriore minaccia diretta per il governo afghano, già in difficoltà nel tentativo di gestire le conflittualità endogene del paese; ma anche per lo stesso fronte insurrezionale che potrebbe accelerare un processo di frantumazione interna avviato già nel 2009, in seguito ai primi approcci negoziali e ai tentativi di dialogo tra la leadership taliban, Washington e Kabul.
Quali gli effetti registrati?
Il primo risultato conseguente all’avvio del possibile dialogo negoziale è stata la manifesta preoccupazione del Pakistan. Una preoccupazione che deriva dal timore di Islamabad di essere marginalizzato (o escluso) al tavolo negoziale e di perdere, come conseguenza, un ruolo primario nell’influenza delle dinamiche interne all’Afghanistan il cui territorio rimane funzionale in caso di eventuale conflittualità aperta con l’India (necessità pakistana di un retroterra strategico).
Un altro significativo risultato è la decisione statunitense di congelare il ritiro delle proprie truppe combattenti (e parimenti quelle della Nato) e di proseguire con attività propriamente ‘combat’, in previsione di un peggioramento delle condizioni operative e dell’avanzata dei taliban. Sebbene non definito, è ipotizzabile che il totale delle truppe statunitensi (alle quali si sommerebbero quelle della Nato) dovrebbe essere di circa 10.000 (una cifra che, se convalidata, confermerebbe la validità dell’analisi predittiva pubblicata su Osservatorio Strategico - Prospettive 2015). Tale entità di forze residue consentirebbe di mantenere il controllo delle due principali basi strategiche su suolo afghano, Kandahar e Jalalabad e di sostenere le forze di sicurezza afghane (un’opzione combat che si traduce come vantaggio strategico per i taliban che potranno così rimproverare al governo afghano – a fini propagandistici e in funzione del possibile negoziato – di continuare a sostenere un’occupazione militare straniera).
Analisi, valutazioni, previsioni
Fattori dinamizzanti, quelli sinteticamente presentati che potrebbero aprire a quattro tipologie di scenario.
1. Primo scenario. La natura dinamizzante dell’ISIS potrebbe indurre i taliban a una soluzione negoziale con il governo afghano aprendo a un’ipotesi di power-sharing sostanziale, ciò agevolerebbe il disimpegno di una parte significativa della forza militare straniera. Possibile, poco probabile.
2. Secondo scenario. La competizione con l’ISIS potrebbe portare a una nuova fase di guerra civile caratterizzata da un significativo aumento della violenza conseguente alla condotta di azioni a elevata spettacolarizzazione e finalizzate alla ricerca dell’attenzione mediatica (il fine è l’imposizione del premium brand ‘ISIS’). Il principale gruppo di opposizione armata afghano, i Taliban, potrebbe concentrare i propri sforzi nel contrasto offensivo verso il nuovo soggetto. Tale processo potrebbe coinvolgere anche attori marginali, quali i gruppi di opposizione locali di seconda schiera, gruppi di potere, criminalità transnazionale. Probabile.
3. Terzo scenario: alleanza tra mujaheddin. Se la conflittualità dovesse proseguire sul lungo periodo non è escluso un possibile rapporto di collaborazione tra i principali attori insurrezionali: ISIS, Taliban e Hig (Hezb-e-islami Gulbuddin Hekmatyar). Possibile, improbabile nel breve termine. 
4. Quarto scenario. (Ipotesi in linea con le valutazioni espresse nella Ricerca CeMiSS 2010 “L'insorgenza in Afghanistan. L'evoluzione dei gruppi di opposizione dopo nove anni di conflitto e la ricerca di interlocutori per la politica del dialogo”). In linea con quanto già avvenuto per i taliban pakistani (TTP, Teherik-e Taliban-e Pakistan), anche i taliban afghani potrebbero frantumarsi o, più probabilmente, avviare un processo di scissione dove al blocco storico disposto a una soluzione negoziale di compromesso si contrapporrebbe la frangia radicale costituita dalle generazioni di giovani mujaheddin che opterebbero l’adesione al progetto dell’ISIS. Ipotesi valutata come molto probabile.


Nessun commento:

Posta un commento