Si è fatto un gran parlare, a seguito del fallito attentato dell’1 maggio a New York, di un possibile coinvolgimento dei taliban in tale azione. L’ipotesi si è fatta strada a partire da un comunicato video in cui il comandante taliban pakistano (del gruppo Tehrik-i-Taliban i-Pakistan) Hakimullah Mehsud (sino a quel momento ritenuto morto a seguito di un bombardamento statunitense) ha dichiarato la propria volontà di colpire gli Stati Uniti sul loro stesso territorio attraverso “mujaheddin infiltrati”. La smentita degli stessi taliban non si è fatta attendere.
Ma una domanda è subito giunta da più parti: è possibile che i taliban siano in grado di poter organizzare qualcosa di simile? So che non è corretto rispondere a una domanda con un'altra domanda, ma questo mi porta subito al nocciolo della questione: “Quali taliban?”, forse quelli del mullah Omar? La risposta è no, un no secco. I taliban dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan non hanno né l’intenzione, né la possibilità di organizzare un attacco sul territorio degli Stati Uniti, semplicemente perché quello dei taliban afghani è un movimento di liberazione (fortemente ideologizzato) locale e non un gruppo terroristico internazionale. Non stiamo parlando di al-Qa’ida, un’organizzazione dotata ancora di discrete capacità tecniche e risorse sufficienti per agire su diversi fronti. I taliban che operano in Afghanistan, combattendo una guerra con la tecnica della guerriglia – che è poi quella del “poveruomo” –, hanno poco o nulla a che fare con i gruppi fondamentalisti internazionali votati al jihad globale: i taliban sono un fenomeno regionale, la cui influenza si limita all’Afghanistan e al Pakistan (e non è poco), ma non più in là.
È necessario invece guardare altrove per identificare quale gruppo terroristico sia in effetti dietro al fallito attentato di New York. E altrove significa Pakistan o, meglio ancora, le Federally Administered Tribal Areas (FATA,) pakistane: la terra di nessuno al confine con l’Afghanistan. Una di queste regioni in particolare, il Waziristan, rappresenta un serio problema per la sicurezza interna dello stesso Pakistan in quanto vi si troverebbero, a convivere e a collaborare, più gruppi di opposizione regionali e organizzazioni terroristiche internazionali.
Il riferimento diretto è ovviamente ad al-Qa’ida, ma accanto a questa troviamo altri attori, non nuovi a dire il vero: il transnazionale Jaish-i-Mohammed, l’Islamic Jihad Union (branca separatista dell’Islamic Movement of Uzbekistan) con velleità di jihad globale, e il fiore all’occhiello pakistano nella guerra con l’India, il Lashkar-e Tayiba la cui ultima azione degna dell’attenzione dei media mondiali (ma non l’ultima in assoluto) è quella condotta a Kabul il 26 febbraio di quest’anno.
Tutti questi gruppi e organizzazioni hanno però due fattori in comune, due punti di contatto fondamentali. Il primo è rappresentato dalla comunità locale, che dà loro supporto, ospitalità e protezione; per essere più precisi parliamo di una tribù in particolare, quella dei Mehsud, il cui rappresentante più emblematico è proprio quell’Hakimullah, leader del Tehrik-i-Taliban pakistano di cui si è fatto cenno più sopra, e che si credeva morto a seguito di un attacco di precisione della CIA.
Il secondo fattore è invece rappresentato dalla politica di al-Qa’ida che con un cambio di strategia dovuto più a motivi di carattere contingente che non ideologico, si è adoperata per contribuire alle lotte tribali contro il governo di Islamabad guadagnandone rispetto e riconoscenza. Questo non ha fatto che avvicinare i gruppi regionali all’organizzazione internazionale intrecciandone sempre più inesorabilmente i destini, come già era accaduto con i taliban del mullah Omar prima dell’offensiva americana del 2001.
Ora è riconosciuto il ruolo di al-Qa’ida come “multiplayer” in grado di garantire il collegamento tra i vari gruppi di opposizione e il movimento globale del jihad; l’alleanza con Hakimullah Mehsud e il Tehrik-i-Taliban i-Pakistan andrebbe infatti in questa direzione. Il rischio è quello di portare la regione dell’Af-Pak a diventare un santuario del fondamentalismo radicale votato al jihad globale da cui inviare ordini per attacchi terroristici dal forte impatto mediatico. Quello di New York potrebbe essere soltanto il primo di questi attacchi della nuova generazione.
Ma una domanda è subito giunta da più parti: è possibile che i taliban siano in grado di poter organizzare qualcosa di simile? So che non è corretto rispondere a una domanda con un'altra domanda, ma questo mi porta subito al nocciolo della questione: “Quali taliban?”, forse quelli del mullah Omar? La risposta è no, un no secco. I taliban dell’Emirato Islamico dell’Afghanistan non hanno né l’intenzione, né la possibilità di organizzare un attacco sul territorio degli Stati Uniti, semplicemente perché quello dei taliban afghani è un movimento di liberazione (fortemente ideologizzato) locale e non un gruppo terroristico internazionale. Non stiamo parlando di al-Qa’ida, un’organizzazione dotata ancora di discrete capacità tecniche e risorse sufficienti per agire su diversi fronti. I taliban che operano in Afghanistan, combattendo una guerra con la tecnica della guerriglia – che è poi quella del “poveruomo” –, hanno poco o nulla a che fare con i gruppi fondamentalisti internazionali votati al jihad globale: i taliban sono un fenomeno regionale, la cui influenza si limita all’Afghanistan e al Pakistan (e non è poco), ma non più in là.
È necessario invece guardare altrove per identificare quale gruppo terroristico sia in effetti dietro al fallito attentato di New York. E altrove significa Pakistan o, meglio ancora, le Federally Administered Tribal Areas (FATA,) pakistane: la terra di nessuno al confine con l’Afghanistan. Una di queste regioni in particolare, il Waziristan, rappresenta un serio problema per la sicurezza interna dello stesso Pakistan in quanto vi si troverebbero, a convivere e a collaborare, più gruppi di opposizione regionali e organizzazioni terroristiche internazionali.
Il riferimento diretto è ovviamente ad al-Qa’ida, ma accanto a questa troviamo altri attori, non nuovi a dire il vero: il transnazionale Jaish-i-Mohammed, l’Islamic Jihad Union (branca separatista dell’Islamic Movement of Uzbekistan) con velleità di jihad globale, e il fiore all’occhiello pakistano nella guerra con l’India, il Lashkar-e Tayiba la cui ultima azione degna dell’attenzione dei media mondiali (ma non l’ultima in assoluto) è quella condotta a Kabul il 26 febbraio di quest’anno.
Tutti questi gruppi e organizzazioni hanno però due fattori in comune, due punti di contatto fondamentali. Il primo è rappresentato dalla comunità locale, che dà loro supporto, ospitalità e protezione; per essere più precisi parliamo di una tribù in particolare, quella dei Mehsud, il cui rappresentante più emblematico è proprio quell’Hakimullah, leader del Tehrik-i-Taliban pakistano di cui si è fatto cenno più sopra, e che si credeva morto a seguito di un attacco di precisione della CIA.
Il secondo fattore è invece rappresentato dalla politica di al-Qa’ida che con un cambio di strategia dovuto più a motivi di carattere contingente che non ideologico, si è adoperata per contribuire alle lotte tribali contro il governo di Islamabad guadagnandone rispetto e riconoscenza. Questo non ha fatto che avvicinare i gruppi regionali all’organizzazione internazionale intrecciandone sempre più inesorabilmente i destini, come già era accaduto con i taliban del mullah Omar prima dell’offensiva americana del 2001.
Ora è riconosciuto il ruolo di al-Qa’ida come “multiplayer” in grado di garantire il collegamento tra i vari gruppi di opposizione e il movimento globale del jihad; l’alleanza con Hakimullah Mehsud e il Tehrik-i-Taliban i-Pakistan andrebbe infatti in questa direzione. Il rischio è quello di portare la regione dell’Af-Pak a diventare un santuario del fondamentalismo radicale votato al jihad globale da cui inviare ordini per attacchi terroristici dal forte impatto mediatico. Quello di New York potrebbe essere soltanto il primo di questi attacchi della nuova generazione.
READ MORE ON TIMES SQUARE ATTACK
NEW YORK (LA STAMPA 18.06.2010)
RispondiEliminaFaisal Shahzad, l’americano di origine pachistana sospettato di avere progettato il fallito attentato di Times Square a New York, l’1 maggio scorso, è stato formalmente incriminato ieri dalla giustizia americana, che ha anche accusato i talebani pachistani di avergli fornito il loro aiuto. Shahzad, 30 anni, dovrà apparire lunedì prossimo a mezzogiorno davanti a un tribunale per dire se si ritiene colpevole o non colpevole di dieci capi di imputazione, tra cui «tentativo di utilizzare un’arma di distruzione di massa», «possesso di arma da fuoco», «tentativo di compiere un atto di terrorismo internazionale».