Atto primo, 17 maggio.
Il convoglio Nato di 129 veicoli militari partito da Herat viene fermato da un attacco Ied a venticinque chilometri dalla Fob Columbus di Bala Murghab. Muoiono nella micidiale esplosione due militari italiani, Ramadù e Pascazio; feriti gli altri due trasportati sul veicolo Lince, la cui troppo “leggera” blindatura inferiore ha ceduto sotto la pressione dell’esplosivo.
Il dispositivo jammer, sempre ammesso che fosse installato sul veicolo, non ha funzionato. Il Lince, ancora una volta, ha dimostrato di non essere il veicolo adeguato per questo tipo di minaccia, e quindi per questa missione. Lo hanno ben compreso gli americani ormai da alcuni anni, avendo sostituito il “vecchio” Humvee – molto simile al Lince – con un moderno veicolo maggiormente protetto. Lo ha implicitamente ammesso anche il ministro della difesa La Russa annunciando l’invio in Afghanistan dei nuovi veicoli blindati Freccia in sostituzione dei Lince. Prima i feriti e poi i morti hanno indotto la politica a correre ai ripari in extremis, al fine di limitare gli effetti mediatici della morte dei militari sull’opinione pubblica. Di certo non ha influito in questa decisione il numero di morti, limitato e abbondantemente al di sotto dei “rischi calcolati” dagli stati maggiori delle forze armate.
Atto secondo, 18-19 maggio.
Presenza, capacità operativa e relativo monopolio della forza dei gruppi di opposizione – e quindi non solo taliban – nella zona di Bala Murghab (provincia di Badghis) ha indotto l’Isaf Regional Command West a prendere l’iniziativa appena 24 ore dopo l’azione militare contro gli italiani.
Una prima operazione congiunta ha visto italiani, americani e afghani (forze aeree e terrestri) attaccare e distruggere una base nemica provocando un numero imprecisato di morti. Un’azione portata a termine con esito favorevole per gli attaccanti. Una risposta allo smacco subito il giorno precedente: una “rappresaglia” è stato detto. Forse.
L’artificioso, e forse un po’ ipocrita, equilibrio del “vivi e lascia vivere” ha perso la sua vacillante stabilità e dall’azione si è giunti alla reazione. Rappresaglia dunque? No, azione militare tout court, tardiva certamente ma efficace sul piano militare; ammesso che fra quei morti afghani non vi fossero civili poiché anche un solo morto non militare porterebbe al risultato opposto: ostilità da parte della popolazione locale. Un equilibrio ormai rotto dunque e che ha portato alla caduta di un velo di pudicizia scomodo e fastidioso circa la presenza dei militari italiani in Afghanistan, e a Bala Murghab in particolare. Non più semplice presenza, ma partecipazione attiva al conflitto; che detto in altri termini significa “combattere in guerra”, andando oltre alle mortificanti norme di linguaggio a cui devono attenersi gli organi militari di pubblica informazione.
Atto terzo, 22 maggio.
In Parlamento c’è stato fermento per i recenti avvenimenti afghani. Non per i Caduti, ormai onorati, sepolti e pronti per essere dimenticati; in realtà la vivace discussione è il risultato di un articolo apparso sull’Espresso del 21 maggio a firma di Gianluca Di Feo. L’Italia dei Valori (on. Rosa Villecco Calipari) e il Partito Democratico (on. Fabio Evangelisti) hanno avviato un’interpellanza parlamentare dai toni duramente polemici.
Di cosa tratta l’articolo del giornalista Di Feo? Di fatti. Fatti incontestabili, non vi è dubbio, ma il titolo dell’articolo è difficilmente condivisibile, al limite della faziosità e richiamante all’ideologia del “contro a prescindere”. Eppure l’articolo è interessante di per sé, ma quel titolo mal si adatta alla realtà: "Ritorsione all'alba". L’autore ha attaccato i militari sul terreno, con fuoco indiscriminato e quasi condannando il diritto alla difesa di chi combatte una guerra scomoda e non condivisa da molti, moltissimi. Anche Di Feo è stato duramente contestato da altri suoi colleghi, di altre testate ovviamente, avviando un processo di spiralizzazione senza via di uscita (per quanto, passata la bufera, anche questa polemica artefatta finirà nel dimenticatoio).
Non è questione di stare al di qua o al di là della barricata; se è pur vero che non si può essere neutrali e che tutti siamo schierati, è però necessario osservare i fatti da una posizione di “presunta equidistanza”. Alpini e gruppi di opposizione (taliban, Hig, Ttp, ecc..) sono, per quanto mi riguarda, combattenti da porre sullo stesso piano, al di là di posizioni ideologiche e reciproche accuse di terrorismo, occupazione, limitazione della libertà, ecc..
So di pormi nella posizione del facile bersaglio così dicendo, da una parte e dall’altra, ma sono un presuntuoso: un presuntuoso equidistante perplesso.
E a proposito di perplessità, concludo con una considerazione personale, una delle tante, che può testimoniare questo mio stato di inquietudine.
Chi è all’opposizione ha fatto polemica, sterile. Ma la maggioranza non ha potuto offrire niente di meglio che un po’ di retorica, insipida per di più. «Noi in Afghanistan ci siamo andati non per combattere una guerra, ma per portare stabilità ed eliminare in "Casa" loro il terrorismo. Dispiace che ancora oggi, nonostante le Forze Armate Italiane continuino a fare il proprio dovere all'estero rappresentando l'Italia e non i governi ci sia sempre qualcuno che metta in dubbio il loro operato». Forse all’onorevole Paglia, ufficiale dei paracadutisti che ha pronunciato questo commento ricco di pathos, sfugge il fatto che la politica estera la fanno i governi, e non le “Patrie”, così come “il dovere” – dei militari – risponde all’ “interesse” di altri soggetti, istituzionali e non.
E a questo punto ben si ricollega quanto appena detto dal presidente della repubblica tedesca Koehler: «in caso di necessità è necessario anche un intervento militare per difendere i propri interessi» come «le libere vie di comunicazione commerciale, ma anche l’impedimento di instabilità di tipo regionale, che sicuramente si ripercuoterebbero negativamente sulle nostre possibilità in termini di commercio, posti di lavoro e salari».
Affermazione che è costata a Horst Koehler le dimissioni dal massimo incarico istituzionale. Indicibile verità.
31 maggio 2010
Il convoglio Nato di 129 veicoli militari partito da Herat viene fermato da un attacco Ied a venticinque chilometri dalla Fob Columbus di Bala Murghab. Muoiono nella micidiale esplosione due militari italiani, Ramadù e Pascazio; feriti gli altri due trasportati sul veicolo Lince, la cui troppo “leggera” blindatura inferiore ha ceduto sotto la pressione dell’esplosivo.
Il dispositivo jammer, sempre ammesso che fosse installato sul veicolo, non ha funzionato. Il Lince, ancora una volta, ha dimostrato di non essere il veicolo adeguato per questo tipo di minaccia, e quindi per questa missione. Lo hanno ben compreso gli americani ormai da alcuni anni, avendo sostituito il “vecchio” Humvee – molto simile al Lince – con un moderno veicolo maggiormente protetto. Lo ha implicitamente ammesso anche il ministro della difesa La Russa annunciando l’invio in Afghanistan dei nuovi veicoli blindati Freccia in sostituzione dei Lince. Prima i feriti e poi i morti hanno indotto la politica a correre ai ripari in extremis, al fine di limitare gli effetti mediatici della morte dei militari sull’opinione pubblica. Di certo non ha influito in questa decisione il numero di morti, limitato e abbondantemente al di sotto dei “rischi calcolati” dagli stati maggiori delle forze armate.
Atto secondo, 18-19 maggio.
Presenza, capacità operativa e relativo monopolio della forza dei gruppi di opposizione – e quindi non solo taliban – nella zona di Bala Murghab (provincia di Badghis) ha indotto l’Isaf Regional Command West a prendere l’iniziativa appena 24 ore dopo l’azione militare contro gli italiani.
Una prima operazione congiunta ha visto italiani, americani e afghani (forze aeree e terrestri) attaccare e distruggere una base nemica provocando un numero imprecisato di morti. Un’azione portata a termine con esito favorevole per gli attaccanti. Una risposta allo smacco subito il giorno precedente: una “rappresaglia” è stato detto. Forse.
L’artificioso, e forse un po’ ipocrita, equilibrio del “vivi e lascia vivere” ha perso la sua vacillante stabilità e dall’azione si è giunti alla reazione. Rappresaglia dunque? No, azione militare tout court, tardiva certamente ma efficace sul piano militare; ammesso che fra quei morti afghani non vi fossero civili poiché anche un solo morto non militare porterebbe al risultato opposto: ostilità da parte della popolazione locale. Un equilibrio ormai rotto dunque e che ha portato alla caduta di un velo di pudicizia scomodo e fastidioso circa la presenza dei militari italiani in Afghanistan, e a Bala Murghab in particolare. Non più semplice presenza, ma partecipazione attiva al conflitto; che detto in altri termini significa “combattere in guerra”, andando oltre alle mortificanti norme di linguaggio a cui devono attenersi gli organi militari di pubblica informazione.
Atto terzo, 22 maggio.
In Parlamento c’è stato fermento per i recenti avvenimenti afghani. Non per i Caduti, ormai onorati, sepolti e pronti per essere dimenticati; in realtà la vivace discussione è il risultato di un articolo apparso sull’Espresso del 21 maggio a firma di Gianluca Di Feo. L’Italia dei Valori (on. Rosa Villecco Calipari) e il Partito Democratico (on. Fabio Evangelisti) hanno avviato un’interpellanza parlamentare dai toni duramente polemici.
Di cosa tratta l’articolo del giornalista Di Feo? Di fatti. Fatti incontestabili, non vi è dubbio, ma il titolo dell’articolo è difficilmente condivisibile, al limite della faziosità e richiamante all’ideologia del “contro a prescindere”. Eppure l’articolo è interessante di per sé, ma quel titolo mal si adatta alla realtà: "Ritorsione all'alba". L’autore ha attaccato i militari sul terreno, con fuoco indiscriminato e quasi condannando il diritto alla difesa di chi combatte una guerra scomoda e non condivisa da molti, moltissimi. Anche Di Feo è stato duramente contestato da altri suoi colleghi, di altre testate ovviamente, avviando un processo di spiralizzazione senza via di uscita (per quanto, passata la bufera, anche questa polemica artefatta finirà nel dimenticatoio).
Non è questione di stare al di qua o al di là della barricata; se è pur vero che non si può essere neutrali e che tutti siamo schierati, è però necessario osservare i fatti da una posizione di “presunta equidistanza”. Alpini e gruppi di opposizione (taliban, Hig, Ttp, ecc..) sono, per quanto mi riguarda, combattenti da porre sullo stesso piano, al di là di posizioni ideologiche e reciproche accuse di terrorismo, occupazione, limitazione della libertà, ecc..
So di pormi nella posizione del facile bersaglio così dicendo, da una parte e dall’altra, ma sono un presuntuoso: un presuntuoso equidistante perplesso.
E a proposito di perplessità, concludo con una considerazione personale, una delle tante, che può testimoniare questo mio stato di inquietudine.
Chi è all’opposizione ha fatto polemica, sterile. Ma la maggioranza non ha potuto offrire niente di meglio che un po’ di retorica, insipida per di più. «Noi in Afghanistan ci siamo andati non per combattere una guerra, ma per portare stabilità ed eliminare in "Casa" loro il terrorismo. Dispiace che ancora oggi, nonostante le Forze Armate Italiane continuino a fare il proprio dovere all'estero rappresentando l'Italia e non i governi ci sia sempre qualcuno che metta in dubbio il loro operato». Forse all’onorevole Paglia, ufficiale dei paracadutisti che ha pronunciato questo commento ricco di pathos, sfugge il fatto che la politica estera la fanno i governi, e non le “Patrie”, così come “il dovere” – dei militari – risponde all’ “interesse” di altri soggetti, istituzionali e non.
E a questo punto ben si ricollega quanto appena detto dal presidente della repubblica tedesca Koehler: «in caso di necessità è necessario anche un intervento militare per difendere i propri interessi» come «le libere vie di comunicazione commerciale, ma anche l’impedimento di instabilità di tipo regionale, che sicuramente si ripercuoterebbero negativamente sulle nostre possibilità in termini di commercio, posti di lavoro e salari».
Affermazione che è costata a Horst Koehler le dimissioni dal massimo incarico istituzionale. Indicibile verità.
31 maggio 2010
Leggi l'articolo di Gianluca Di Feo, Ritorsione all'alba
V A N G E L O !!!!!
RispondiEliminaNon ci sono altri commenti che possa fare a riguaro.
Beh... uno forse si, riguarda la situazione di Koehler. Ha semplicemente detto la verità. Per qualche istante si è svestito dell'ipocrisia pomposa della politica ed ha fatto una considerazione obiettiva e senza giri di parole. Chi pensa (nel 2010) che davvero si possa andare in guerra per "esportare la democrazia" potrà continuare a considerare l'Italia un paese in pace.