«Fate la pace con me e non sarà più necessaria la presenza delle forze straniere. Fin quando non ci sarà un dialogo tra di noi e non si lavorerà per la pace, non potremmo lasciare andare via gli stranieri. La nazione afghana guarda a voi, aspettando la vostra decisione, i vostri consigli per l’avvio del processo di pace e per la salvezza dell’Afghanistan».
Con queste parole rivolte ai taliban il 2 giugno scorso il presidente Karzai ha formalmente avviato la Peace Jirga a Kabul; l’importante assemblea, a cui hanno partecipato notabili afghani, capi tribù, rappresentanti dei gruppi politici e della società civile, volta a definire l’avvio della politica del dialogo di pace con i taliban del mullah Omar, e tutti gli altri gruppi di opposizione attivi in Afghanistan.
La risposta “formale” dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, che ha definito l’assemblea non rappresentativa del popolo afghano e volta a garantire esclusivamente gli interessi degli stranieri, ha anticipato quella “militare”. Proprio mentre Karzai iniziava il suo discorso ai 1400 rappresentanti delle comunità afghane e ai 200 delegati diplomatici stranieri, un commando taliban composto da dieci elementi si è lanciato all’attacco della struttura ospitante la Peace Jirga, nel quartiere di Khoshal Khan, periferia occidentale di Kabul, riuscendo a penetrare nel perimetro di sicurezza con l’impiego della ormai collaudata tecnica dell’attentatore suicida “apripista” vestito da soldato dell’esercito afghano, seguito dai razzi lanciati a media distanza e con il fuoco di copertura delle armi automatiche leggere. Azione respinta in poco tempo dai 12.000 uomini delle forze di sicurezza governative; ma tanto è bastato a dimostrare alla comunità internazionale e agli stessi partecipanti all’assemblea quale sia la posizione dei taliban, chiamati al dialogo e alla collaborazione ma volutamente non presenti tra i delegati all’assemblea.
Per i taliban né le offerte della Jirga, né l'invito di Karzai sono accettabili poiché «diretti a prolungare la permanenza delle forze di occupazione straniera e porteranno unicamente più guerra all'Afghanistan». Nulla di particolarmente sorprendente a dire il vero; con i radicali il dialogo è molto difficile e le soluzioni di compromesso raramente vengono raggiunte. Ma è sui moderati che punta il governo Karzai per togliere forza ai gruppi di opposizione; e questi sono molto più sensibili a proposte di riconciliazione che, detto in altri termini, significa possibilità di avere un’alternativa alla lotta per ottenere lo stretto necessario alla sopravvivenza.
Tutt’altro discorso invece per i vertici e i combattenti più radicali che verosimilmente non cesseranno mai di combattere un governo considerato corrotto e una forza militare di occupazione; e perché mai dovrebbero farlo proprio nel momento di massima forza e capacità operativa? Parlano le cifre del 2010: il più alto numero di caduti tra le truppe occidentali e la più elevata concentrazione di attacchi e azioni ostili degli ultimi nove anni. Quanto basta per non voler prendere in considerazione la possibilità del dialogo.
Problemi provenienti dall’esterno, ma non solo. In realtà anche il fronte interno, quello dell’opposizione a Karzai, ha dimostrato quanto l’ambizioso progetto del presidente afghano sia in realtà non da tutti condiviso. Primo tra tutti il dottor Abdullah Abdullah, avversario di Karzai alle recenti elezioni che ha definito l’assemblea «non legittima» e non ha preso parte alla discussione.
La Peace Jirga si è conclusa venerdì 4 giugno, senza l’attenzione che avrebbe meritato. Eppure gli argomento trattati sono d’interesse generale. La Jirga si è risolta in una dichiarazione di intenti, una manifesta disponibilità al dialogo e al compromesso che, se da una parte ha un retrogusto di sconfitta, dall’altra dimostra quanto i dialoghi afghani siano più efficaci delle politiche occidentali: amnistia per gli insorgenti; commissione di pace (dal livello nazionale a quello di villaggio) per l’avvio delle trattative con gli insorgenti; rilascio dei prigionieri taliban detenuti presso le carceri governative e straniere; modifica della blacklist dell’Onu; cessazione di attacchi aerei, perquisizioni militari, arresti e “proxy war” da parte delle forze Isaf; maggiori investimenti strutturali, capacità di creare, equipaggiare e addestrare le forze di sicurezza afghane.
Un’assemblea che non ha prodotto i risultati sperati dalla comunità internazionale ma che è sicuramente servita a Karzai; l’evento, tanto atteso e discusso, è stata un’efficace dimostrazione di capacità politica e al tempo stesso un modo per far parlare, ancora una volta, di Afghanistan a un’opinione pubblica sempre più stanca e disinteressata. Questo è un risultato, assai modesto se rapportato all’importanza del processo di pacificazione in Afghanistan, ma che pone Karzai nella posizione di poter tentare una soluzione afghana, l’unica che forse ha qualche possibilità di successo, come lui stesso ha dichiarato al termine dell’assemblea: «Ora la strada è chiara, la strada che è stata mostrata e scelta da voi (membri della Jirga) noi la seguiremo passo dopo passo e ci condurrà, Inshallah, verso il nostro destino. È la soluzione soddisfacente, completa e giusta».
Burhanuddin Rabbani, ex presidente dell’Afghanistan, lo ha sostenuto definendo «necessario parlare con il nemico e riconciliarsi con esso al fine di portare la pace nel Paese».
Un passo avanti, seppur incerto, verso la "stabilizzazione dell'Afghanistan" che poco o nulla ha a che fare con quella immaginata dall’occidente fino a poco tempo fa, ma che oggi appare essere l’unica. Il cammino è ancora lungo e la data del 2011 segna solo l'inizio.
5 giugno 2010
Con queste parole rivolte ai taliban il 2 giugno scorso il presidente Karzai ha formalmente avviato la Peace Jirga a Kabul; l’importante assemblea, a cui hanno partecipato notabili afghani, capi tribù, rappresentanti dei gruppi politici e della società civile, volta a definire l’avvio della politica del dialogo di pace con i taliban del mullah Omar, e tutti gli altri gruppi di opposizione attivi in Afghanistan.
La risposta “formale” dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, che ha definito l’assemblea non rappresentativa del popolo afghano e volta a garantire esclusivamente gli interessi degli stranieri, ha anticipato quella “militare”. Proprio mentre Karzai iniziava il suo discorso ai 1400 rappresentanti delle comunità afghane e ai 200 delegati diplomatici stranieri, un commando taliban composto da dieci elementi si è lanciato all’attacco della struttura ospitante la Peace Jirga, nel quartiere di Khoshal Khan, periferia occidentale di Kabul, riuscendo a penetrare nel perimetro di sicurezza con l’impiego della ormai collaudata tecnica dell’attentatore suicida “apripista” vestito da soldato dell’esercito afghano, seguito dai razzi lanciati a media distanza e con il fuoco di copertura delle armi automatiche leggere. Azione respinta in poco tempo dai 12.000 uomini delle forze di sicurezza governative; ma tanto è bastato a dimostrare alla comunità internazionale e agli stessi partecipanti all’assemblea quale sia la posizione dei taliban, chiamati al dialogo e alla collaborazione ma volutamente non presenti tra i delegati all’assemblea.
Per i taliban né le offerte della Jirga, né l'invito di Karzai sono accettabili poiché «diretti a prolungare la permanenza delle forze di occupazione straniera e porteranno unicamente più guerra all'Afghanistan». Nulla di particolarmente sorprendente a dire il vero; con i radicali il dialogo è molto difficile e le soluzioni di compromesso raramente vengono raggiunte. Ma è sui moderati che punta il governo Karzai per togliere forza ai gruppi di opposizione; e questi sono molto più sensibili a proposte di riconciliazione che, detto in altri termini, significa possibilità di avere un’alternativa alla lotta per ottenere lo stretto necessario alla sopravvivenza.
Tutt’altro discorso invece per i vertici e i combattenti più radicali che verosimilmente non cesseranno mai di combattere un governo considerato corrotto e una forza militare di occupazione; e perché mai dovrebbero farlo proprio nel momento di massima forza e capacità operativa? Parlano le cifre del 2010: il più alto numero di caduti tra le truppe occidentali e la più elevata concentrazione di attacchi e azioni ostili degli ultimi nove anni. Quanto basta per non voler prendere in considerazione la possibilità del dialogo.
Problemi provenienti dall’esterno, ma non solo. In realtà anche il fronte interno, quello dell’opposizione a Karzai, ha dimostrato quanto l’ambizioso progetto del presidente afghano sia in realtà non da tutti condiviso. Primo tra tutti il dottor Abdullah Abdullah, avversario di Karzai alle recenti elezioni che ha definito l’assemblea «non legittima» e non ha preso parte alla discussione.
La Peace Jirga si è conclusa venerdì 4 giugno, senza l’attenzione che avrebbe meritato. Eppure gli argomento trattati sono d’interesse generale. La Jirga si è risolta in una dichiarazione di intenti, una manifesta disponibilità al dialogo e al compromesso che, se da una parte ha un retrogusto di sconfitta, dall’altra dimostra quanto i dialoghi afghani siano più efficaci delle politiche occidentali: amnistia per gli insorgenti; commissione di pace (dal livello nazionale a quello di villaggio) per l’avvio delle trattative con gli insorgenti; rilascio dei prigionieri taliban detenuti presso le carceri governative e straniere; modifica della blacklist dell’Onu; cessazione di attacchi aerei, perquisizioni militari, arresti e “proxy war” da parte delle forze Isaf; maggiori investimenti strutturali, capacità di creare, equipaggiare e addestrare le forze di sicurezza afghane.
Un’assemblea che non ha prodotto i risultati sperati dalla comunità internazionale ma che è sicuramente servita a Karzai; l’evento, tanto atteso e discusso, è stata un’efficace dimostrazione di capacità politica e al tempo stesso un modo per far parlare, ancora una volta, di Afghanistan a un’opinione pubblica sempre più stanca e disinteressata. Questo è un risultato, assai modesto se rapportato all’importanza del processo di pacificazione in Afghanistan, ma che pone Karzai nella posizione di poter tentare una soluzione afghana, l’unica che forse ha qualche possibilità di successo, come lui stesso ha dichiarato al termine dell’assemblea: «Ora la strada è chiara, la strada che è stata mostrata e scelta da voi (membri della Jirga) noi la seguiremo passo dopo passo e ci condurrà, Inshallah, verso il nostro destino. È la soluzione soddisfacente, completa e giusta».
Burhanuddin Rabbani, ex presidente dell’Afghanistan, lo ha sostenuto definendo «necessario parlare con il nemico e riconciliarsi con esso al fine di portare la pace nel Paese».
Un passo avanti, seppur incerto, verso la "stabilizzazione dell'Afghanistan" che poco o nulla ha a che fare con quella immaginata dall’occidente fino a poco tempo fa, ma che oggi appare essere l’unica. Il cammino è ancora lungo e la data del 2011 segna solo l'inizio.
5 giugno 2010
Nessun commento:
Posta un commento