(trad. del messaggio inviato alla "White House")
Al Presidente degli Stati Uniti d'America, Mr. Barack Obama, e alla famiglia Bergdahl.
Accogliamo con immensa soddisfazione la notizia della liberazione del
sergente Bowe Bergdahl, dopo cinque lunghi anni di prigionia in
Afghanistan.
Unitamente al popolo americano, noi Italiani ci stringiamo attorno al
sergente Bowe Bergdahl - un eroe dei nostri tempi - e alla sua famiglia
esprimendo il nostro affetto, la nostra gioia e il nostro orgoglio nei
confronti di chi, come lui, mette a disposizione
della Nazione, dei suoi compatrioti e degli Alleati, la propria vita.
Bentornato Bowe!
"Afghanistan: Sguardi e analisi" è un blog d'informazione indipendente sull'evoluzione della guerra e dei conflitti in Afghanistan e sulle ripercussioni di questi sulle dinamiche politiche e sociali locali e internazionali. L'analisi avviene attraverso il monitoraggio costante degli eventi e delle comunicazioni delle parti in conflitto attraverso il web.
Afghanistan Sguardi e Analisi

"Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.
domenica 1 giugno 2014
lunedì 26 maggio 2014
2014: L’Afghanistan non è pronto ma l’Italia, con la NATO, resta in prima linea (CeMiSS)
di Claudio Bertolotti
L’Italia
Salvo improbabili inversioni di rotta, l’Italia manterrà il proprio contingente militare in Afghanistan unitamente agli altri alleati della NATO partecipanti alla nuova missione dell’Alleanza atlantica, la “Resolute Support Mission”.
Sul piano quantitativo sarà un impegno ridotto rispetto a quello degli ultimi dodici anni: non meno di 800 uomini, non più di 1.800 (sul totale di 10-15.000) impegnati, in particolare, nel delicato ruolo di “advisor” al fianco dei colleghi afghani; al nucleo di consiglieri si unirà una componente non secondaria di forze per operazioni speciali.
Un impegno, nel complesso, già pianificato sebbene nell’attesa di disposizioni più dettagliate che arriveranno da Bruxelles (NATO HQ) non appena Washington avrà definito l’entità e la natura della presenza di forze statunitensi su suolo afghano. Tutto ciò, sul piano formale e diplomatico, dipende da quando (essendo solamente una questione di tempi) il governo afghano (nella persona del nuovo presidente della repubblica) firmerà il tanto atteso Bilateral Security Agreement con gli Stati Uniti e, a seguire, con i partner dell’Alleanza atlantica.
Ciò che appare ormai evidente è l’efficace «ostruzionismo aggressivo» adottato da Karzai, deciso a non firmare alcun accordo con gli Stati Uniti; Stati Uniti che si sono formalmente rassegnati ad attendere l’esito delle elezioni presidenziali del 5 aprile prossimo per proporre al successore dell’attuale presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan un accordo politico-militare che consenta alle truppe straniere di garantire l’avvio della nuova missione.
Gli Stati Uniti
Dunque, nell’attesa di formalizzare l’impegno futuro, preparandosi comunque al peggio (il riferimento va all’«opzione zero», ossia il ritiro di tutti i soldati stranieri dal teatro afghano), gli Stati Uniti propendono per un approccio diplomatico energico predisponendo una via di uscita supplementare dal pantano afghano che possa essere posta sul tavolo negoziale al quale siederà il successore di Karzai.
Data la condizione di stallo dinamico dove gli attori in scena mostrano intenzioni più formali che sostanziali, è logico valutare come altamente improbabile da parte degli Stati Uniti un ritiro totale che comporterebbe una rinuncia agli strategici vantaggi derivanti da una presenza a lungo termine in Asia meridionale; ma ciò che emerge è un nervosismo diffuso alimentato da una frustrante politica del braccio di ferro psicologico a cui l’attuale governo afghano pare non intendere porre fine.
A febbraio, dopo mesi di resistenze e disaccordi tra Washington e Kabul, il presidente Obama ha chiamato ufficialmente l’omologo afghano – la prima telefonata tra i due leader dal giugno del 2013 – comunicando di aver ordinato al Pentagono di studiare un piano di ritiro totale delle truppe dal teatro afghano entro la fine del 2014: una decisione presa ufficialmente dalla Casa Bianca, un atto formale ritenuto necessario e imprescindibile per l’amministrazione statunitense.
Al di là della scelta di forza dall’ampio effetto politico e mediatico, gli Stati Uniti lasceranno comunque un contingente militare ridotto anche dopo il termine della missione “combat” della NATO che avverrà a dicembre di quest’anno a conferma di un impegno preso con l’Afghanistan – e questo indipendentemente dalla firma dell’accordo; un impegno che ci si aspetta verrà confermato dal successore di Karzai, il soggetto su cui si riversano le speranze di una ripresa formale del dialogo tra i due alleati.
Anticipando la discussione dei ministri della difesa dell’Alleanza atlantica di febbraio, il presidente Obama ha così minacciato e predisposto formalmente la pianificazione del ritiro quasi completo delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan. In particolare, la specifica richiesta fatta al Pentagono è orientata a garantire l’esecuzione di un completo ed efficace ritiro di tutte le truppe entro la fine del 2014 e, al contempo, la capacità – previa firma del BSA da parte del successore di Karzai – di mantenere una presenza minima capace di sostenere una missione di «training», «advising» e «assisting» a favore delle forze di sicurezza afghane e condurre, parallelamente, operazioni mirate contro elementi residui di Al-Qa’ida. Ciò che complica la realizzazione di tale intendimento è che più in avanti nel tempo viene procrastinata la firma del BSA più ridotto potrebbe essere l’impegno statunitense (e della NATO) nel sostegno all’esercito e allo stato afghani.
Una scelta politica, quella di Obama, che ha anticipato l’importante incontro dei vertici militari statunitensi, il generale Martin Dempsey, chairman del Joint Chiefs of Staff, e il Segretario alla Difesa statunitense Chuck Hagel; un incontro preparatorio alla strategia poi presentata al summit della NATO di Bruxelles il 26 febbraio scorso e orientata allo sforzo comune per la formalizzazione del BSA.
Commentando la decisione di Obama, il generale Dempsey ha affermato che la pianificazione dell’impegno in Afghanistan a partire dal 2015 è certamente importante, così come è importante il lavoro che al momento viene condotto e deve essere portato a termine, in particolare l’attività “advising” a favore delle forze di sicurezza afghane e il contributo alla sicurezza delle elezioni presidenziali di aprile.
Sul piano politico e diplomatico, gli Stati Uniti hanno confermato ancora una volta di voler sostenere la sovranità di uno stato afghano stabile, unito e democratico attraverso una partnership basata sul principio del mutuo rispetto e collaborazione.
Infine, la NATO
Gli Stati Uniti insistono anche sul piano delle relazioni internazionali; lo fanno chiedendo ai partner della NATO di fare fronte comune nei confronti del governo afghano in merito al BSA. E gli alleati, sposando la linea politica di Washington, hanno annunciato di voler pianificare il ritiro anticipato delle proprie truppe in assenza dell’accordo con Kabul (Bruxelles, 2014). Una vittoria, scontata, dell’amministrazione statunitense che è riuscita così ad aumentare la pressione sul presidente uscente nell’attesa del suo successore.
Nel merito, il rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO, l’ambasciatore Doug Lute, ha insistito sulla situazione politica e la sicurezza in Afghanistan (in particolare il livello di capacità operativa delle forze di sicurezza afghane – al momento incapaci di operare in autonomia al fine di contrastare il fenomeno insurrezionale –), e sull’opportunità di proseguire con la missione della NATO, nonostante il ritardo nella firma del BSA e l’attuale assenza di uno Status of Forces Agreement che dia la copertura legale alla presenza di truppe straniere su suolo afghano.
L’ambasciatore Lute, in tal senso, ha chiesto ai ministri della difesa della NATO di valutare la situazione della sicurezza in Afghanistan proprio alla luce degli sviluppi in corso delle forze di sicurezza afghane e dell’importanza della nuova missione finalizzata proprio ad aumentare le capacità operative e organizzative delle forze armate di Kabul. Tutto ciò potrà essere realizzato, ha ribadito Lute, solo ed esclusivamente a seguito della formalizzazione del BSA, già approvato dalla maggioranza dei «notabili» afghani partecipanti alla tradizionale Loya Jirga (organo consultivo non istituzionale voluto dal presidente Karzai) tenutasi il novembre scorso a Kabul ma rimasto inascoltato da un Karzai sordo, da un lato, agli appelli della Comunità internazionale e impegnato, dall’altro, in un dialogo con i taliban.
Anche i ministri della difesa dei paesi NATO hanno riaffermato, nella consapevolezza di un nuovo e necessario impegno comune dell’Alleanza atlantica nell’Afghanistan post-2014, l’importanza di un accordo formale con il governo di Kabul; un accordo che deve concretizzarsi con la firma del BSA: un atto politico, conditio sine qua non, da realizzare prima della chiusura dell’International Security Assistance Force (ISAF), pena il ritiro immediato dei contingenti militari.
Dunque, almeno a parole, anche la NATO si starebbe preparando per il ritiro completo delle proprie unità schierate sul campo di battaglia afghano; una scelta in contrasto con il principio di opportunità strategica ma, come noto, l’ars diplomatica è fatta anche di bluff e azzardi politici.
E infatti, a fronte del vivace dinamismo da parte dell’Alleanza atlantica, sul fronte istituzionale afghano il portavoce del presidente, Aimal Faizi, ha confermato che Karzai non ha posto tra le priorità nell’agenda di governo la firma dell’accordo bilaterale sulla sicurezza poiché al momento impegnato nel tentativo di riconciliazione con i taliban.
La presa di posizione della NATO è stata formalizzata alla chiusura del meeting di Bruxelles, due giorni dopo la chiamata di Obama a Karzai e l’annuncio della predisposizione da parte del Pentagono di un piano di ritiro totale. Ma è improbabile che tale ipotesi possa trovare realizzazione pratica; e infatti, il Segretario di Stato Chuck Hagel e il Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen hanno precisato che confidano comunque nella firma dell’accordo da parte del successore di Karzai. Dunque tutto è rinviato al dopo elezioni di aprile.
Breve analisi conclusiva
Sul piano formale, lo scoglio principale rimane dunque la firma del BSA tra Washington e Kabul a cui seguirà naturalmente quello tra Kabul e la NATO.
Tutto lascia supporre che, sebbene con notevole ritardo rispetto all’agenda statunitense, l’accordo possa essere firmato dal nuovo esecutivo prima dell’estate, spostando semplicemente sul piano temporale l’applicazione concreta di un necessario accordo politico. Nella peggiore delle ipotesi, qualora nessun candidato alla poltrona presidenziale dovesse ottenere la maggioranza schiacciante, l’accordo potrebbe essere concluso anche nel tardo autunno o all’inizio dell’inverno: tardi per consentire un disimpegno razionale e sostenibile, sia dal punto di vista logistico-operativo, sia su quello economico.
È dunque evidente che Karzai non vuole compromettersi; così come è evidente che stia facendo il possibile per evitare di chiudere l’esperienza di governo con un accordo che, da un lato, legherebbe il suo nome a quello degli Stati Uniti (e alla presenza di truppe straniere) e, dall’altro impedirebbe qualunque accordo di compromesso (anche personale e familiare) con i principali gruppi di opposizione armata (taliban in primis).
Sul piano quantitativo sarà un impegno ridotto rispetto a quello degli ultimi dodici anni: non meno di 800 uomini, non più di 1.800 (sul totale di 10-15.000) impegnati, in particolare, nel delicato ruolo di “advisor” al fianco dei colleghi afghani; al nucleo di consiglieri si unirà una componente non secondaria di forze per operazioni speciali.
Un impegno, nel complesso, già pianificato sebbene nell’attesa di disposizioni più dettagliate che arriveranno da Bruxelles (NATO HQ) non appena Washington avrà definito l’entità e la natura della presenza di forze statunitensi su suolo afghano. Tutto ciò, sul piano formale e diplomatico, dipende da quando (essendo solamente una questione di tempi) il governo afghano (nella persona del nuovo presidente della repubblica) firmerà il tanto atteso Bilateral Security Agreement con gli Stati Uniti e, a seguire, con i partner dell’Alleanza atlantica.
Ciò che appare ormai evidente è l’efficace «ostruzionismo aggressivo» adottato da Karzai, deciso a non firmare alcun accordo con gli Stati Uniti; Stati Uniti che si sono formalmente rassegnati ad attendere l’esito delle elezioni presidenziali del 5 aprile prossimo per proporre al successore dell’attuale presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan un accordo politico-militare che consenta alle truppe straniere di garantire l’avvio della nuova missione.
Gli Stati Uniti
Dunque, nell’attesa di formalizzare l’impegno futuro, preparandosi comunque al peggio (il riferimento va all’«opzione zero», ossia il ritiro di tutti i soldati stranieri dal teatro afghano), gli Stati Uniti propendono per un approccio diplomatico energico predisponendo una via di uscita supplementare dal pantano afghano che possa essere posta sul tavolo negoziale al quale siederà il successore di Karzai.
Data la condizione di stallo dinamico dove gli attori in scena mostrano intenzioni più formali che sostanziali, è logico valutare come altamente improbabile da parte degli Stati Uniti un ritiro totale che comporterebbe una rinuncia agli strategici vantaggi derivanti da una presenza a lungo termine in Asia meridionale; ma ciò che emerge è un nervosismo diffuso alimentato da una frustrante politica del braccio di ferro psicologico a cui l’attuale governo afghano pare non intendere porre fine.
A febbraio, dopo mesi di resistenze e disaccordi tra Washington e Kabul, il presidente Obama ha chiamato ufficialmente l’omologo afghano – la prima telefonata tra i due leader dal giugno del 2013 – comunicando di aver ordinato al Pentagono di studiare un piano di ritiro totale delle truppe dal teatro afghano entro la fine del 2014: una decisione presa ufficialmente dalla Casa Bianca, un atto formale ritenuto necessario e imprescindibile per l’amministrazione statunitense.
Al di là della scelta di forza dall’ampio effetto politico e mediatico, gli Stati Uniti lasceranno comunque un contingente militare ridotto anche dopo il termine della missione “combat” della NATO che avverrà a dicembre di quest’anno a conferma di un impegno preso con l’Afghanistan – e questo indipendentemente dalla firma dell’accordo; un impegno che ci si aspetta verrà confermato dal successore di Karzai, il soggetto su cui si riversano le speranze di una ripresa formale del dialogo tra i due alleati.
Anticipando la discussione dei ministri della difesa dell’Alleanza atlantica di febbraio, il presidente Obama ha così minacciato e predisposto formalmente la pianificazione del ritiro quasi completo delle forze armate statunitensi dall’Afghanistan. In particolare, la specifica richiesta fatta al Pentagono è orientata a garantire l’esecuzione di un completo ed efficace ritiro di tutte le truppe entro la fine del 2014 e, al contempo, la capacità – previa firma del BSA da parte del successore di Karzai – di mantenere una presenza minima capace di sostenere una missione di «training», «advising» e «assisting» a favore delle forze di sicurezza afghane e condurre, parallelamente, operazioni mirate contro elementi residui di Al-Qa’ida. Ciò che complica la realizzazione di tale intendimento è che più in avanti nel tempo viene procrastinata la firma del BSA più ridotto potrebbe essere l’impegno statunitense (e della NATO) nel sostegno all’esercito e allo stato afghani.
Una scelta politica, quella di Obama, che ha anticipato l’importante incontro dei vertici militari statunitensi, il generale Martin Dempsey, chairman del Joint Chiefs of Staff, e il Segretario alla Difesa statunitense Chuck Hagel; un incontro preparatorio alla strategia poi presentata al summit della NATO di Bruxelles il 26 febbraio scorso e orientata allo sforzo comune per la formalizzazione del BSA.
Commentando la decisione di Obama, il generale Dempsey ha affermato che la pianificazione dell’impegno in Afghanistan a partire dal 2015 è certamente importante, così come è importante il lavoro che al momento viene condotto e deve essere portato a termine, in particolare l’attività “advising” a favore delle forze di sicurezza afghane e il contributo alla sicurezza delle elezioni presidenziali di aprile.
Sul piano politico e diplomatico, gli Stati Uniti hanno confermato ancora una volta di voler sostenere la sovranità di uno stato afghano stabile, unito e democratico attraverso una partnership basata sul principio del mutuo rispetto e collaborazione.
Infine, la NATO
Gli Stati Uniti insistono anche sul piano delle relazioni internazionali; lo fanno chiedendo ai partner della NATO di fare fronte comune nei confronti del governo afghano in merito al BSA. E gli alleati, sposando la linea politica di Washington, hanno annunciato di voler pianificare il ritiro anticipato delle proprie truppe in assenza dell’accordo con Kabul (Bruxelles, 2014). Una vittoria, scontata, dell’amministrazione statunitense che è riuscita così ad aumentare la pressione sul presidente uscente nell’attesa del suo successore.
Nel merito, il rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO, l’ambasciatore Doug Lute, ha insistito sulla situazione politica e la sicurezza in Afghanistan (in particolare il livello di capacità operativa delle forze di sicurezza afghane – al momento incapaci di operare in autonomia al fine di contrastare il fenomeno insurrezionale –), e sull’opportunità di proseguire con la missione della NATO, nonostante il ritardo nella firma del BSA e l’attuale assenza di uno Status of Forces Agreement che dia la copertura legale alla presenza di truppe straniere su suolo afghano.
L’ambasciatore Lute, in tal senso, ha chiesto ai ministri della difesa della NATO di valutare la situazione della sicurezza in Afghanistan proprio alla luce degli sviluppi in corso delle forze di sicurezza afghane e dell’importanza della nuova missione finalizzata proprio ad aumentare le capacità operative e organizzative delle forze armate di Kabul. Tutto ciò potrà essere realizzato, ha ribadito Lute, solo ed esclusivamente a seguito della formalizzazione del BSA, già approvato dalla maggioranza dei «notabili» afghani partecipanti alla tradizionale Loya Jirga (organo consultivo non istituzionale voluto dal presidente Karzai) tenutasi il novembre scorso a Kabul ma rimasto inascoltato da un Karzai sordo, da un lato, agli appelli della Comunità internazionale e impegnato, dall’altro, in un dialogo con i taliban.
Anche i ministri della difesa dei paesi NATO hanno riaffermato, nella consapevolezza di un nuovo e necessario impegno comune dell’Alleanza atlantica nell’Afghanistan post-2014, l’importanza di un accordo formale con il governo di Kabul; un accordo che deve concretizzarsi con la firma del BSA: un atto politico, conditio sine qua non, da realizzare prima della chiusura dell’International Security Assistance Force (ISAF), pena il ritiro immediato dei contingenti militari.
Dunque, almeno a parole, anche la NATO si starebbe preparando per il ritiro completo delle proprie unità schierate sul campo di battaglia afghano; una scelta in contrasto con il principio di opportunità strategica ma, come noto, l’ars diplomatica è fatta anche di bluff e azzardi politici.
E infatti, a fronte del vivace dinamismo da parte dell’Alleanza atlantica, sul fronte istituzionale afghano il portavoce del presidente, Aimal Faizi, ha confermato che Karzai non ha posto tra le priorità nell’agenda di governo la firma dell’accordo bilaterale sulla sicurezza poiché al momento impegnato nel tentativo di riconciliazione con i taliban.
La presa di posizione della NATO è stata formalizzata alla chiusura del meeting di Bruxelles, due giorni dopo la chiamata di Obama a Karzai e l’annuncio della predisposizione da parte del Pentagono di un piano di ritiro totale. Ma è improbabile che tale ipotesi possa trovare realizzazione pratica; e infatti, il Segretario di Stato Chuck Hagel e il Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen hanno precisato che confidano comunque nella firma dell’accordo da parte del successore di Karzai. Dunque tutto è rinviato al dopo elezioni di aprile.
Breve analisi conclusiva
Sul piano formale, lo scoglio principale rimane dunque la firma del BSA tra Washington e Kabul a cui seguirà naturalmente quello tra Kabul e la NATO.
Tutto lascia supporre che, sebbene con notevole ritardo rispetto all’agenda statunitense, l’accordo possa essere firmato dal nuovo esecutivo prima dell’estate, spostando semplicemente sul piano temporale l’applicazione concreta di un necessario accordo politico. Nella peggiore delle ipotesi, qualora nessun candidato alla poltrona presidenziale dovesse ottenere la maggioranza schiacciante, l’accordo potrebbe essere concluso anche nel tardo autunno o all’inizio dell’inverno: tardi per consentire un disimpegno razionale e sostenibile, sia dal punto di vista logistico-operativo, sia su quello economico.
È dunque evidente che Karzai non vuole compromettersi; così come è evidente che stia facendo il possibile per evitare di chiudere l’esperienza di governo con un accordo che, da un lato, legherebbe il suo nome a quello degli Stati Uniti (e alla presenza di truppe straniere) e, dall’altro impedirebbe qualunque accordo di compromesso (anche personale e familiare) con i principali gruppi di opposizione armata (taliban in primis).
Comunque
sia, chiuso il capitolo “Karzai”, si aprirà una nuova fase politica
afghana; difficile dire quanto differente sarà da quella in fase di
conclusione e quanto potrà durare: anche in questa occasione i tempi
afghani hanno prevalso sulla logica strategica e sulla razionale volontà
organizzativa occidentale.
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domenica 18 maggio 2014
In vista delle elezioni europee è doveroso rispondere ad alcuni importanti questiti
sulle guerre a noi europei più vicine
SIRIA E UCRAINA: GUERRE AI CONFINI DELL'EUROPA
Quali le conseguenze per l'Europa?
Esiste una comune politica estera europea?
E' possibile parlare di un modello di difesa europeo?
Ne parlano
Esiste una comune politica estera europea?
E' possibile parlare di un modello di difesa europeo?
Ne parlano
Professore ed esperto di conflitti contemporanei,
e
Professore e Ricercatore di Relazioni Internazionali
modera
Analista Strategico - FARE per Fare Fermare Il Declino
Si parlerà di Europa, Difesa europea, politica estera europea, retribuzione del comparto sicurezza in Europa... non c'è ragione per non partecipare all'incontro...
Si parlerà di Europa, Difesa europea, politica estera europea, retribuzione del comparto sicurezza in Europa... non c'è ragione per non partecipare all'incontro...
Incontro organizzato da FARE e SCELTA EUROPEA
Saranno Presenti Giuseppe ARENA (Candidato al Parlamento Europeo) e
Guglielmo del Pero (Coordinatore regionale di FARE per Fermare il Declino - Piemonte)
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domenica 27 aprile 2014
Roma 10 maggio - L’AFGHANISTAN IN TRANSIZIONE
L’AFGHANISTAN IN TRANSIZIONE
CONVERSAZIONI SULL’EURASIA (E OLTRE)
ROMA sabato 10 maggio 2014 ore 18.00 (sala Musica)
La Civiltà Cattolica, via di Porta Pinciana 1, Roma
Intervengono
FEDERICO DE RENZI turcologo
CLAUDIO BERTOLOTTI Analista Strategico
FRANCESCO BRUNELLI ZANITTI IsAG
FEDERICO DE RENZI turcologo
CLAUDIO BERTOLOTTI Analista Strategico
FRANCESCO BRUNELLI ZANITTI IsAG
NIMA BAHELI analista geopolitico
Modera Luciano Larivera S.I. La Civiltà Cattolica
Per informazioni: larivera.l@gesuiti.it
sabato 5 aprile 2014
Intervista a C. Bertolotti. Afghanistan: si sceglie il dopo Karzai
Claudio
Bertolotti, analista strategico e membro dello Strat-Group della
Società Italiana di Scienza Politica, analizza per oltreradio.it le
importanti elezioni presidenziali che sceglieranno in Afghanistan il
successore di Hamid Karzai.
La questione sicurezza, i competitor più
accreditati, la minaccia dei Taleban, l'eredità di Karzai, il Paese dopo
la fine del 2014: i passaggi dell'analisi (vai all'audio radio).
mercoledì 2 aprile 2014
Elezioni afghane: Le urne di Kabul alla sfida della governabilità
di Claudio Bertolotti
L’Afghanistan è ufficialmente pronto per le presidenziali del 5 aprile: 6.431 i seggi elettorali dichiarati “sicuri” sul totale di 6.845. La realtà è però lontana dall’immagine che si vorrebbe trasmettere: la sicurezza delle aree periferiche non è garantita, l’organizzazione elettorale procede a rilento, il numero di cittadini iscritti al voto è ridotto e ancora più limitata sembra essere la partecipazione femminile.
Tutte premesse a una situazione instabile a cui si accompagnano gli infruttuosi “dialoghi politici” con i gruppi di opposizione armata e i tentativi di revisione (e riduzione) dei diritti costituzionali - in particolare quelli delle donne chiesta dalla Comunità internazionale per convincere i gruppi insurrezionali ad accettare una soluzione negoziale (argomento a cui i media daranno scarso risalto, ma che la stessa Comunità internazionale ha messo in conto).
Tutte premesse a una situazione instabile a cui si accompagnano gli infruttuosi “dialoghi politici” con i gruppi di opposizione armata e i tentativi di revisione (e riduzione) dei diritti costituzionali - in particolare quelli delle donne chiesta dalla Comunità internazionale per convincere i gruppi insurrezionali ad accettare una soluzione negoziale (argomento a cui i media daranno scarso risalto, ma che la stessa Comunità internazionale ha messo in conto).
Karzai a colloquio con i taliban
Stati Uniti e attori regionali guardano con favore a un “balance of power” tra i gruppi etno-religiosi afghani: un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun e le altre minoranze.
Hamid Karzai, sospeso il dialogo formale con Washington, ha avviato un intenso colloquio con i taliban. Non è esclusa un’intesa volta a preservare gli equilibri di potere nell’area di Kandahar, dove i Karzai mantengono interessi politici ed economici.
Sul fronte opposto, i taliban contrasteranno con la forza le elezioni in quanto “illegittime” e “anti-islamiche”: una minaccia che, guardando al recente passato, contribuisce ad aumentare il livello di preoccupazione.
Stati Uniti e attori regionali guardano con favore a un “balance of power” tra i gruppi etno-religiosi afghani: un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun e le altre minoranze.
Hamid Karzai, sospeso il dialogo formale con Washington, ha avviato un intenso colloquio con i taliban. Non è esclusa un’intesa volta a preservare gli equilibri di potere nell’area di Kandahar, dove i Karzai mantengono interessi politici ed economici.
Sul fronte opposto, i taliban contrasteranno con la forza le elezioni in quanto “illegittime” e “anti-islamiche”: una minaccia che, guardando al recente passato, contribuisce ad aumentare il livello di preoccupazione.
Pashtun e tagichi
I pashtun, gruppo predominante al sud e all’est, storicamente al potere in Afghanistan e sostenuti dall’esterno dal Pakistan, si muovono attraverso linee di demarcazione etno-culturale. In particolare, il gruppo dei “Durrani” di Kandahar (del quale fa parte la stessa famiglia Karzai) ha avviato una “collaborazione inter-etnica” per ridurre la dispersione di voti e aumentare la possibilità di accesso di un proprio candidato alla presidenza. Tra Qayum Karzai (fratello dell’attuale presidente), Gul Agha Sherzai, Muhammad Nader Na’im e Zalmai Rassul, la scelta è ricaduta su quest’ultimo, nonostante un primo orientamento su Qayum Karzai (ritiratosi dalla competizione in favore di Rassul: difficile non immaginare un ruolo attivo di Hamid Karzai in tale scelta razionale).
Tra i tagichi, l’importante gruppo etnico e di potere antagonista ai pashtun, presente prevalentemente a nord e a ovest del paese e sostenuto da alcuni attori regionali (tra i quali Iran, Russia e Tajikistan), gli equilibri sono recentemente mutati con la scomparsa di Muhammad Qasim Fahim, l’influente signore della guerra anti-taliban, nonché vice-presidente dell’Afghanistan e garante del sostegno a Karzai da parte delle comunità del nord. Fahim era destinato a giocare un ruolo importante nell’Afghanistan post-elettorale; una scomparsa che lascia spazio di manovra a un altro influente tagico: Ismail Khan, anche lui potente signore della guerra, già governatore di Herat e candidato vice-presidente nella lista di Sayyaf, uomo capace di accendere gli animi inquieti di quella componente tagika indisposta al “dialogo” con i taliban.
Abdullah e Ghani favoriti
Nel complesso, oltre la metà degli elettori è disposto a sostenere un candidato disponibile al dialogo con i gruppi insurrezionali ed auspica la vittoria di un soggetto propenso alle buone relazioni con il Pakistan; 60% guarda con favore a relazioni durature con gli Stati Uniti. A pochi giorni dall’appuntamento elettorale, l’interesse dell’opinione pubblica è aumentato, sebbene vi sia almeno un terzo di elettori indecisi o potenziali non votanti.
Dunque, quale il futuro politico dell’Afghanistan?
È probabile che nessuno dei candidati otterrà più del 50% cento dei voti; ciò imporrà accordi negoziali tra le parti e con quelli che potrebbero essere gli esclusi dalla seconda tornata elettorale.
Abdullah Abdullah, l’ex ministro degli Esteri, metà tagico e metà pashtun, e Ashraf Ghani Ahmadzai, ex ministro delle Finanze di etnia pashtun, sono dati per favoriti: il primo in grado di raccogliere il consenso dell’elettorato tagico e di quello, seppur limitato, femminile, il secondo più convincente per quello di estrazione urbana.
E Zalmai Rassoul, ministro degli Esteri uscente, pashtun apprezzato anche dai tagichi, rappresenta la terza potenziale incognita, anche grazie al sostegno di Qayum Karzai.
Poche speranze rimangono per gli altri concorrenti, il cui ruolo potrebbe riservare qualche sorpresa in occasione del secondo turno elettorale: Abdul Rab Rassul Sayyaf e Gul Agha Sherzai.
Nel complesso, date le premesse, è facile prevedere un’inquieta fase post-elettorale a causa delle irregolarità e dei brogli che verranno denunciati. Dato per scontato che un’unica coalizione politica non riuscirà a prevalere, lo stato di incertezza sarà amplificato dalle dinamiche multilivello che spingeranno ad accordi in vista del secondo turno elettorale dove il candidato più accreditato, Abdullah Abdullah, potrebbe vedersi contrapposto a un’unica grande coalizione pashtun.
Molto dipenderà da come gli stessi pashtun nel sud del paese voteranno – e quanti voteranno –, anche in relazione alla forte influenza dei taliban in quella parte dell’Afghanistan.
È probabile che nessuno dei candidati otterrà più del 50% cento dei voti; ciò imporrà accordi negoziali tra le parti e con quelli che potrebbero essere gli esclusi dalla seconda tornata elettorale.
Abdullah Abdullah, l’ex ministro degli Esteri, metà tagico e metà pashtun, e Ashraf Ghani Ahmadzai, ex ministro delle Finanze di etnia pashtun, sono dati per favoriti: il primo in grado di raccogliere il consenso dell’elettorato tagico e di quello, seppur limitato, femminile, il secondo più convincente per quello di estrazione urbana.
E Zalmai Rassoul, ministro degli Esteri uscente, pashtun apprezzato anche dai tagichi, rappresenta la terza potenziale incognita, anche grazie al sostegno di Qayum Karzai.
Poche speranze rimangono per gli altri concorrenti, il cui ruolo potrebbe riservare qualche sorpresa in occasione del secondo turno elettorale: Abdul Rab Rassul Sayyaf e Gul Agha Sherzai.
Nel complesso, date le premesse, è facile prevedere un’inquieta fase post-elettorale a causa delle irregolarità e dei brogli che verranno denunciati. Dato per scontato che un’unica coalizione politica non riuscirà a prevalere, lo stato di incertezza sarà amplificato dalle dinamiche multilivello che spingeranno ad accordi in vista del secondo turno elettorale dove il candidato più accreditato, Abdullah Abdullah, potrebbe vedersi contrapposto a un’unica grande coalizione pashtun.
Molto dipenderà da come gli stessi pashtun nel sud del paese voteranno – e quanti voteranno –, anche in relazione alla forte influenza dei taliban in quella parte dell’Afghanistan.
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giovedì 6 marzo 2014
Afghanistan: electoral processes and security concerns
by Claudio Bertolotti
in CeMiSS Military Centre for strategic Studies Quarterly 3, Autumn 2013 (pp. 75 - 77)
News about energy and infrastructures
Talks on the Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) gas pipeline project are in progress, even though Pakistan refused to participate to the quadrilateral held on 22 August as a result of the escalation of violence along the Line of Control. The meeting coincided with the visit to India by representatives of the US State Department and Chevron (interested in investing in the TAPI) to discuss issues regarding the TAPI project.
At the moment, Islamabad is left with two options:
1. either dropping the IP pipeline project or getting the support of large international stakeholder (as China);
2. starting to take shape as China is keen on linking the IP pipeline with the touted 2,000 km-long Kashgar-Gwadar transport corridor.
It is not excluded that China and Pakistan will sign a Memorandum of Understanding to develop the Kashgar-Gwadar corridor that some sources say will include the IP gas pipeline.
At the same time, the main Amu Darya basin oil extraction project (result of a joint venture between the China National Petroleum Corporation and Afghanistan’s Watan Oil and Gas) has been halted in northern Afghanistan due to the lack of a transit agreement for the extracted product. The extraction of oil began last October without a transit agreement with the Uzbek government. Jalil Jumriany, Policy Director at the Ministry of Mines, affirmed that talks are underway for an agreement with the Uzbek government.
The Herat main airport would be reconstructed with financial support from Italy and Spain. The comprehensive renovation of Herat International Airport is expected to cost four/seven million dollars, but the contract is not yet solidified.
Governor Wahidi said that he already talked with officials from the Italian Embassy; (former) Italian Prime Minister, Enrico Letta, confirmed that Italy would support the airport's reconstruction.
Spanish officials have also agreed to cooperate with Italy in the airport reconstruction.
The Herat International Airport, regardless of its name, does not support international flights. It is only a hub for daily flights to and from Kabul.
The electoral process is ongoing: real concerns about the Afghan ability to deliver on its election promises.
Following the examination reported on CeMiSS Quarterly Summer n. 2/2013, according to the Afghan Independent Election Commission (IEC), the candidates interested to participate to the Afghan presidential election running (planned in April 2014) are required to register between 16 September and 06 October. Although (at 8th of September) no party has yet formally announced names of presidential nominees, several names of potential contenders have emerged. These include:
- Umer Daudzai, an ethnic Pashtun, currently Afghan ambassador to Pakistan.
- Abdullah Abdullah (who ran against President Karzai in the 2009 presidential election), former Afghan foreign minister and current chief of the National Coalition of Afghanistan party.
- Abdul Rasool Sayyaf, former Mujahedeen commander and at present chief of Islamic Dawah Organization of Afghanistan.
Several local sources reported President Karzai urged Afghan political parties to support Sayyaf. Karzai didn’t confirm his support to Karzai.
Hezb-i-Islami Afghanistan (HIA) would field a presidential candidate if their demands were endorsed. Gulbuddin Hekmatyar, leader of the party, offered the Kabul government a two-point proposal for his group’s participation in the 2014 presidential election:
- a complete pull out of foreign troops and
- vote transparency.
What is important to underline is that while HIA’s participation is welcomed but, more important, it is the Taliban (Mullah Omar’s group) that need to be co-opted. In April, President Karzai affirmed that Taliban leader Mullah Mohammad Omar could officially run for the presidency next year on the condition that the group broke ties with al-Qaeda and renounced violence; but in August Mullah Omar himself stated he will not participate to electoral competition.
Finally, it is reported a limited participation of women in the election process, (Pajhwok). The main issues restraining women participation include lack of access to remote areas due to weather constraints, an insufficient number of mobile voter registration centers, and the presence of armed opposition groups discouraging residents from obtaining voter cards.
Security viewpoint
Afghan President Hamid Karzai met the Prime Minister Nawaz Sharif over the stalled peace process. Karzai urged Pakistan to facilitate peace talks by providing opportunities for contacts between the Taliban and the Afghan High Peace Council. Sharif assured Karzai of Pakistan’s support for peace and reconciliation in Afghanistan, a peace process that – according to Pakistan recommendations – has to be inclusive, Afghan-owned and Afghan-led. However it is uncertain whether Sharif wields sufficient influence to convince the Taliban to discuss with Afghan President Karzai. During the visit, President Karzai also requested the release of high-ranking Taliban detainees held in Pakistan who might act as interlocutors in the peace negotiations, as Mullah Abdul Ghani Baradar (detained in Karachi in 2010).
In addition, Islamabad and Washington are weighing the option of shifting the Taliban's political office from Qatar to another country in a bid to revive the stalled reconciliation process in Afghanistan. The option came under discussion during US Secretary of State John Kerry's recent visit to Islamabad, where the two sides explored a variety of ways of breaking the deadlock in peace negotiations.
Furthermore, Afghanistan’s second Vice President Mohammad Karim Khalili visited India with a high level ministerial delegation on 20 August in order to discuss security related issues as the NATO troop withdrawal draw near. The meeting was mainly focused on enhanced military cooperation. Afghan army and police officers are trained in Indian academies and India is planning to supply Afghanistan with vehicles and helicopters.
President Karzai has created a new team of high-profile negotiators in order to solve the stalled negotiations between Afghanistan and US. The new negotiation committee, consisting of the president’s national security adviser Rangin Dadfar Spanta, former Finance Minister Ashraf Ghani Ahmadizai and Foreign Minister Zalmay Rasul, is expected to facilitate the process toward an agreement. The new team of negotiators will discuss role, shape and legal status of US military forces and civilian trainers in post-2014 mission.
A recent increase in the activities of militants from Central Asia, such as the Islamic Movement of Uzbekistan (IMU), in northern Afghanistan indicates that they intend to take advantage of the security vacuum that may ensue post-2014. The magnitude of recent insurgents attacks in northern Afghanistan shows an effort to gain a country-wide presence ahead of the drawdown of NATO forces. Central Asian militants fit into this setting as experienced and trusted allies for the Taliban who have some affinity to Tajik and Uzbek communities in the area.
Latest news, in brief:
- Ghazni, Kandahar, Wardak and Zabul: provincial governors met to discuss improvements to one of the most volatile parts of Afghanistan’s highway system, the Kabul-Kandahar highway.
- Herat province: local authorities reported that clashes between the security forces and Taliban militants on the Kandahar-Herat highway killed at least 83 people including eleven security forces and 72 militants.
- Farah province: a bomb exploded in near a vehicle carrying the provincial commander of the National Directorate of Security (NDS) Abdul Samada, killing and wounding civilian people and security personnel.
Brief analysis
Infrastructural reconstruction and strategic projects are slowly in progress, due to lack in security.
Regionally speaking, Pakistan could be not able to contrast the Afghan Taliban offensive and it is not sure a constructive role of Islamabad as facilitator in peace talks process.
In brief, security agreement between Afghanistan and the United States will be defined and signed but it could have consequences merely on political dynamics.
In general, the security situation in Afghanistan is worsening because of the Nato withdrawal. It is assessed that in a short-term violence, criminality and insurgents activity will increase further.
News about energy and infrastructures
Talks on the Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) gas pipeline project are in progress, even though Pakistan refused to participate to the quadrilateral held on 22 August as a result of the escalation of violence along the Line of Control. The meeting coincided with the visit to India by representatives of the US State Department and Chevron (interested in investing in the TAPI) to discuss issues regarding the TAPI project.
At the moment, Islamabad is left with two options:
1. either dropping the IP pipeline project or getting the support of large international stakeholder (as China);
2. starting to take shape as China is keen on linking the IP pipeline with the touted 2,000 km-long Kashgar-Gwadar transport corridor.
It is not excluded that China and Pakistan will sign a Memorandum of Understanding to develop the Kashgar-Gwadar corridor that some sources say will include the IP gas pipeline.
At the same time, the main Amu Darya basin oil extraction project (result of a joint venture between the China National Petroleum Corporation and Afghanistan’s Watan Oil and Gas) has been halted in northern Afghanistan due to the lack of a transit agreement for the extracted product. The extraction of oil began last October without a transit agreement with the Uzbek government. Jalil Jumriany, Policy Director at the Ministry of Mines, affirmed that talks are underway for an agreement with the Uzbek government.
The Herat main airport would be reconstructed with financial support from Italy and Spain. The comprehensive renovation of Herat International Airport is expected to cost four/seven million dollars, but the contract is not yet solidified.
Governor Wahidi said that he already talked with officials from the Italian Embassy; (former) Italian Prime Minister, Enrico Letta, confirmed that Italy would support the airport's reconstruction.
Spanish officials have also agreed to cooperate with Italy in the airport reconstruction.
The Herat International Airport, regardless of its name, does not support international flights. It is only a hub for daily flights to and from Kabul.
The electoral process is ongoing: real concerns about the Afghan ability to deliver on its election promises.
Following the examination reported on CeMiSS Quarterly Summer n. 2/2013, according to the Afghan Independent Election Commission (IEC), the candidates interested to participate to the Afghan presidential election running (planned in April 2014) are required to register between 16 September and 06 October. Although (at 8th of September) no party has yet formally announced names of presidential nominees, several names of potential contenders have emerged. These include:
- Umer Daudzai, an ethnic Pashtun, currently Afghan ambassador to Pakistan.
- Abdullah Abdullah (who ran against President Karzai in the 2009 presidential election), former Afghan foreign minister and current chief of the National Coalition of Afghanistan party.
- Abdul Rasool Sayyaf, former Mujahedeen commander and at present chief of Islamic Dawah Organization of Afghanistan.
Several local sources reported President Karzai urged Afghan political parties to support Sayyaf. Karzai didn’t confirm his support to Karzai.
Hezb-i-Islami Afghanistan (HIA) would field a presidential candidate if their demands were endorsed. Gulbuddin Hekmatyar, leader of the party, offered the Kabul government a two-point proposal for his group’s participation in the 2014 presidential election:
- a complete pull out of foreign troops and
- vote transparency.
What is important to underline is that while HIA’s participation is welcomed but, more important, it is the Taliban (Mullah Omar’s group) that need to be co-opted. In April, President Karzai affirmed that Taliban leader Mullah Mohammad Omar could officially run for the presidency next year on the condition that the group broke ties with al-Qaeda and renounced violence; but in August Mullah Omar himself stated he will not participate to electoral competition.
Finally, it is reported a limited participation of women in the election process, (Pajhwok). The main issues restraining women participation include lack of access to remote areas due to weather constraints, an insufficient number of mobile voter registration centers, and the presence of armed opposition groups discouraging residents from obtaining voter cards.
Security viewpoint
Afghan President Hamid Karzai met the Prime Minister Nawaz Sharif over the stalled peace process. Karzai urged Pakistan to facilitate peace talks by providing opportunities for contacts between the Taliban and the Afghan High Peace Council. Sharif assured Karzai of Pakistan’s support for peace and reconciliation in Afghanistan, a peace process that – according to Pakistan recommendations – has to be inclusive, Afghan-owned and Afghan-led. However it is uncertain whether Sharif wields sufficient influence to convince the Taliban to discuss with Afghan President Karzai. During the visit, President Karzai also requested the release of high-ranking Taliban detainees held in Pakistan who might act as interlocutors in the peace negotiations, as Mullah Abdul Ghani Baradar (detained in Karachi in 2010).
In addition, Islamabad and Washington are weighing the option of shifting the Taliban's political office from Qatar to another country in a bid to revive the stalled reconciliation process in Afghanistan. The option came under discussion during US Secretary of State John Kerry's recent visit to Islamabad, where the two sides explored a variety of ways of breaking the deadlock in peace negotiations.
Furthermore, Afghanistan’s second Vice President Mohammad Karim Khalili visited India with a high level ministerial delegation on 20 August in order to discuss security related issues as the NATO troop withdrawal draw near. The meeting was mainly focused on enhanced military cooperation. Afghan army and police officers are trained in Indian academies and India is planning to supply Afghanistan with vehicles and helicopters.
President Karzai has created a new team of high-profile negotiators in order to solve the stalled negotiations between Afghanistan and US. The new negotiation committee, consisting of the president’s national security adviser Rangin Dadfar Spanta, former Finance Minister Ashraf Ghani Ahmadizai and Foreign Minister Zalmay Rasul, is expected to facilitate the process toward an agreement. The new team of negotiators will discuss role, shape and legal status of US military forces and civilian trainers in post-2014 mission.
A recent increase in the activities of militants from Central Asia, such as the Islamic Movement of Uzbekistan (IMU), in northern Afghanistan indicates that they intend to take advantage of the security vacuum that may ensue post-2014. The magnitude of recent insurgents attacks in northern Afghanistan shows an effort to gain a country-wide presence ahead of the drawdown of NATO forces. Central Asian militants fit into this setting as experienced and trusted allies for the Taliban who have some affinity to Tajik and Uzbek communities in the area.
Latest news, in brief:
- Ghazni, Kandahar, Wardak and Zabul: provincial governors met to discuss improvements to one of the most volatile parts of Afghanistan’s highway system, the Kabul-Kandahar highway.
- Herat province: local authorities reported that clashes between the security forces and Taliban militants on the Kandahar-Herat highway killed at least 83 people including eleven security forces and 72 militants.
- Farah province: a bomb exploded in near a vehicle carrying the provincial commander of the National Directorate of Security (NDS) Abdul Samada, killing and wounding civilian people and security personnel.
Brief analysis
Infrastructural reconstruction and strategic projects are slowly in progress, due to lack in security.
Regionally speaking, Pakistan could be not able to contrast the Afghan Taliban offensive and it is not sure a constructive role of Islamabad as facilitator in peace talks process.
In brief, security agreement between Afghanistan and the United States will be defined and signed but it could have consequences merely on political dynamics.
In general, the security situation in Afghanistan is worsening because of the Nato withdrawal. It is assessed that in a short-term violence, criminality and insurgents activity will increase further.
read more on CeMiSS Quarterly 3, Autumn 2013
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