@cbertolotti1
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L’incontrastata
offensiva dei taliban conferma una capacità di saper operare sia sul
piano operativo-strategico sia su quello politico-diplomatico, ma il
processo di frammentazione e la lotta intestina al movimento taliban per
la successione al mullah Omar hanno aperto nuovi scenari di
conflittualità, in cui si è inserito con prepotenza IS/Daesh.
Il mullah Mohammad Omar, leader dei taliban afghani è morto, verosimilmente nell’aprile del 2013. Il mullah Akhtar Mohammad Mansour, che lo ha sostituito nell’agosto del 2015, potrebbe essere anch’egli deceduto a dicembre in seguito a un ipotetico scontro a fuoco con un capo taliban scissionista.
Queste, vere o meno, le informazioni disponibili. E gli stessi taliban hanno ufficialmente smentito la notizia; ma sono gli stessi taliban che, per due anni, hanno tenuto nascosta la morte del mullah Omar.
Alcune dinamiche rimangono però indefinite; in particolare, la stessa dinamica dell’evento appare contraddittoria.
Un incontro di alto livello che preveda la partecipazione del massimo vertice del movimento taliban impone l’adozione di misure di sicurezza estremamente cautelative; appare dunque improbabile che vi fossero armi tra i partecipanti all’incontro, al di fuori di quelle in dotazione alle guardie del corpo.
Inoltre, la notizia della sua uccisione sarebbe sostenuta a gran voce dalla fazione secessionista – vicina allo Stato islamico (IS/Daesh) in Afghanistan – del mullah Mansour Dadullah (che a sua volta risulterebbe essere stato ucciso su ordine della leadership taliban).
Dunque tutto da verificare.
Le dinamiche del fronte insurrezionale e il compromesso per la pace
Nel frattempo, prosegue incontrastata l’offensiva dei taliban – la più violenta degli ultimi quattordici anni. L’occupazione di Kunduz alla fine di settembre è l’episodio che meglio ne descrive la capacità di espansione e rappresenta il più importante successo ottenuto dall’insurrezione sino a oggi, a cui fanno seguito gli attacchi a Kandahar del 7-8 dicembre.
Tutto ciò conferma una capacità di saper operare su due piani:
Il processo di frammentazione e la lotta intestina al movimento per la successione al mullah Omar hanno aperto nuovi scenari di conflittualità, in cui si è inserito con prepotenza IS/Daesh.
Il leader ufficialmente è il mullah Mansour, indicato come “pragmatico” e disponibile all’ipotesi negoziale; la sua è però una posizione fragile e contestata e la notizia del suo ferimento – o uccisione – evidenzia le fragilità in essere.
Un secondo fattore è la difficoltà della leadership taliban nel mantenere unito il movimento; anche in questo caso l’ipotesi di uccisione di Mansour sarebbe una conferma.
Infine, terzo fattore, le spinte esterne legate alla diffusione di IS/Daesh. Più giovani mujaheddin, radicali, ex comandanti taliban, spesso marginalizzati o espulsi, o soggetti contrari al processo di pace, avrebbero già aderito al modello di “Nuovo terrorismo insurrezionale” (Nit, New Insurrectional Terrorism), di cui IS/Daesh è capolista e attore emergente della violenza in Afghanistan. Un attore, questo, che, continuando il processo di espansione dal Syraq (tra Siria e Iraq) al sub-continente indiano, si è imposto attraverso la diffusione del premium brand IS Wilayat Khorasan, riuscendo al contempo a marginalizzare un’al-Qaida indebolita.
Cosa accadrebbe se il fronte insurrezionale si frammentasse ulteriormente?
Il dialogo negoziale e il processo di power-sharing indurrebbero parte degli insorti a continuare a combattere; quattro, in breve, i rischi connessi alle conflittualità intra-taliban:
Cosa potrebbe accadere nel breve periodo?
Il fronte insurrezionale possiede significative capacità operative e di manovra, non è stato sconfitto sul campo ed è capace di limitare la libertà d’azione delle forze di sicurezza afghane. Sull’altro fronte, data l’incapacità da parte del governo afghano di garantire il controllo del territorio e un adeguato livello di sicurezza, la permanenza di una residua forza militare straniera rappresenta un vantaggio pratico.
È possibile valutare che nel breve-medio periodo vi sarà un aumento delle conflittualità a causa delle azioni insurrezionali e dell’espansione di IS/Daesh; inoltre, la riduzione delle capacità dello stato comporterà un sostanziale abbandono delle aree periferiche.
È dunque prevedibile un significativo aumento della pressione insurrezionale, anche esogena; parte dei taliban potrebbe lasciare il movimento e unirsi a IS/Daesh, mentre altri foreign fighters sono già operativi nei gruppi che fanno capo ad AQIS – nuovo brand di al-Qaida nel sub-continente indiano in risposta a IS/Daesh – (si valuta che le fazioni in campo contino complessivamente circa 6.500 foreign fighters).
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Il mullah Mohammad Omar, leader dei taliban afghani è morto, verosimilmente nell’aprile del 2013. Il mullah Akhtar Mohammad Mansour, che lo ha sostituito nell’agosto del 2015, potrebbe essere anch’egli deceduto a dicembre in seguito a un ipotetico scontro a fuoco con un capo taliban scissionista.
Queste, vere o meno, le informazioni disponibili. E gli stessi taliban hanno ufficialmente smentito la notizia; ma sono gli stessi taliban che, per due anni, hanno tenuto nascosta la morte del mullah Omar.
Alcune dinamiche rimangono però indefinite; in particolare, la stessa dinamica dell’evento appare contraddittoria.
Un incontro di alto livello che preveda la partecipazione del massimo vertice del movimento taliban impone l’adozione di misure di sicurezza estremamente cautelative; appare dunque improbabile che vi fossero armi tra i partecipanti all’incontro, al di fuori di quelle in dotazione alle guardie del corpo.
Inoltre, la notizia della sua uccisione sarebbe sostenuta a gran voce dalla fazione secessionista – vicina allo Stato islamico (IS/Daesh) in Afghanistan – del mullah Mansour Dadullah (che a sua volta risulterebbe essere stato ucciso su ordine della leadership taliban).
Dunque tutto da verificare.
Le dinamiche del fronte insurrezionale e il compromesso per la pace
Nel frattempo, prosegue incontrastata l’offensiva dei taliban – la più violenta degli ultimi quattordici anni. L’occupazione di Kunduz alla fine di settembre è l’episodio che meglio ne descrive la capacità di espansione e rappresenta il più importante successo ottenuto dall’insurrezione sino a oggi, a cui fanno seguito gli attacchi a Kandahar del 7-8 dicembre.
Tutto ciò conferma una capacità di saper operare su due piani:
- -quello operativo-strategico – attraverso azioni dirette contro obiettivi simbolici (centri urbani, basi militari), in grado di attirare l’attenzione mediatica;
- -quello politico-diplomatico – funzionale alla spartizione del potere e del paese.
Il processo di frammentazione e la lotta intestina al movimento per la successione al mullah Omar hanno aperto nuovi scenari di conflittualità, in cui si è inserito con prepotenza IS/Daesh.
Il leader ufficialmente è il mullah Mansour, indicato come “pragmatico” e disponibile all’ipotesi negoziale; la sua è però una posizione fragile e contestata e la notizia del suo ferimento – o uccisione – evidenzia le fragilità in essere.
Un secondo fattore è la difficoltà della leadership taliban nel mantenere unito il movimento; anche in questo caso l’ipotesi di uccisione di Mansour sarebbe una conferma.
Infine, terzo fattore, le spinte esterne legate alla diffusione di IS/Daesh. Più giovani mujaheddin, radicali, ex comandanti taliban, spesso marginalizzati o espulsi, o soggetti contrari al processo di pace, avrebbero già aderito al modello di “Nuovo terrorismo insurrezionale” (Nit, New Insurrectional Terrorism), di cui IS/Daesh è capolista e attore emergente della violenza in Afghanistan. Un attore, questo, che, continuando il processo di espansione dal Syraq (tra Siria e Iraq) al sub-continente indiano, si è imposto attraverso la diffusione del premium brand IS Wilayat Khorasan, riuscendo al contempo a marginalizzare un’al-Qaida indebolita.
Cosa accadrebbe se il fronte insurrezionale si frammentasse ulteriormente?
Il dialogo negoziale e il processo di power-sharing indurrebbero parte degli insorti a continuare a combattere; quattro, in breve, i rischi connessi alle conflittualità intra-taliban:
- Polarizzazione delle correnti favorevoli/contrarie al processo di pace.
- Scissione violenta.
- Trasformazione del conflitto, da “nazionale” (mujaheddin afghani per l’Afghanistan) a guerra “globale” (approccio ideologico alimentato da IS/Daesh).
- Apertura di al-Qaida a tutti i gruppi jihadisti – e dunque anche IS/Daesh – (appello dell’emiro Ayman al-Zawahiri del novembre scorso).
Cosa potrebbe accadere nel breve periodo?
Il fronte insurrezionale possiede significative capacità operative e di manovra, non è stato sconfitto sul campo ed è capace di limitare la libertà d’azione delle forze di sicurezza afghane. Sull’altro fronte, data l’incapacità da parte del governo afghano di garantire il controllo del territorio e un adeguato livello di sicurezza, la permanenza di una residua forza militare straniera rappresenta un vantaggio pratico.
È possibile valutare che nel breve-medio periodo vi sarà un aumento delle conflittualità a causa delle azioni insurrezionali e dell’espansione di IS/Daesh; inoltre, la riduzione delle capacità dello stato comporterà un sostanziale abbandono delle aree periferiche.
È dunque prevedibile un significativo aumento della pressione insurrezionale, anche esogena; parte dei taliban potrebbe lasciare il movimento e unirsi a IS/Daesh, mentre altri foreign fighters sono già operativi nei gruppi che fanno capo ad AQIS – nuovo brand di al-Qaida nel sub-continente indiano in risposta a IS/Daesh – (si valuta che le fazioni in campo contino complessivamente circa 6.500 foreign fighters).
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