Sta nascendo una nuova forma di nazionalismo anti-pakistano?
Scontri tra Afghanistan e Pakistan al confine
Intervista a Claudio Bertolotti esperto di questioni politiche e militari dell’Afghanistan
Scontri tra Afghanistan e Pakistan al confine
Intervista a Claudio Bertolotti esperto di questioni politiche e militari dell’Afghanistan
di Emma Ferrero
Cresce la tensione fra Afghanistan e Pakistan lungo la Linea Durand, contestato confine di 2640 kilometri che segna la divisione politica fra i due paesi dal lontano 1893, quando l’Impero Anglo-Indiano negoziò un accordo arbitrario per definirne la linea di demarcazione, linea che ormai da più di un secolo ha ‘spezzato’ la comunità pashtun che vive nell’area sotto due differenti nazionalità (...)
Per capire meglio la portata del clima di tensione derivato da questi scontri, oltre che la loro effettiva natura, abbiamo chiesto l’opinione del Dottor Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore e docente, che si occupa di questioni politiche, militari e religiose dell’Afghanistan contemporaneo (...) Vai all'articolo completo su L'Indro.
Per capire meglio la portata del clima di tensione derivato da questi scontri, oltre che la loro effettiva natura, abbiamo chiesto l’opinione del Dottor Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore e docente, che si occupa di questioni politiche, militari e religiose dell’Afghanistan contemporaneo (...) Vai all'articolo completo su L'Indro.
Sta nascendo una nuova forma di nazionalismo anti-pakistano?
Scontri tra Afghanistan e Pakistan al confine
Intervista a Claudio Bertolotti esperto di questioni politiche e militari dell’Afghanistan
Scontri tra Afghanistan e Pakistan al confine
Intervista a Claudio Bertolotti esperto di questioni politiche e militari dell’Afghanistan
Cresce la tensione fra Afghanistan e Pakistan lungo la Linea Durand, contestato confine di 2640 kilometri
che segna la divisione politica fra i due paesi dal lontano 1893,
quando l’Impero Anglo-Indiano negoziò un accordo arbitrario per
definirne la linea di demarcazione, linea che ormai da più di un secolo ha ‘spezzato’ la comunità pashtun che vive nell’area sotto due differenti nazionalità.
Sebbene nel 1949, a seguito dell’indipendenza del Pakistan e del crollo dell’Impero Anglo-Indiano, il Gran Consiglio (Loya Jirga) afghano proclamò l’invalidità di detto confine, la Linea Durand è ufficialmente riconosciuta a livello internazionale.
La dinamica degli attacchi dei giorni scorsi non è ancora chiara. Gli scontri a fuoco sarebbero avvenuti nei pressi di installazioni militari pakistane, erette in violazione di accordi internazionali e bilaterali nell’area ‘contesa’, appunto considerata da Kabul come parte del proprio territorio.
Mentre fonti di stampa pakistane lasciano trapelare che lo scontro di mercoledì notte è avvenuto a seguito di un’offensiva afghana contro uno degli avamposti militari pakistani nei pressi di Gursal, Kabul ribatte che la presenza di detti avamposti rappresenta un futile tentativo di Islamabad per spingere le autorità afghane a ridiscutere la questione del confine.
Quello che appare certo però, è che gli attacchi, nel corso dei quali ha perso la vita una guardia di confine afghana, e in cui si contano alcuni feriti da entrambe le parti, hanno risvegliato una forte ondata nazionalista in tutto l’Afghanistan. In queste ore, nelle piazze come sul web, i giovani afghani si stanno mobilitando in manifestazioni anti-pakistane che inneggiano a Quasim Khan, la guardia di confine rimasta uccisa, come eroe nazionale.
Per capire meglio la portata del clima di tensione derivato da questi scontri, oltre che la loro effettiva natura, abbiamo chiesto l’opinione del Dottor Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore e docente, che si occupa di questioni politiche, militari e religiose dell’Afghanistan contemporaneo.
Partiamo dal principio: che cosa rappresenta per il popolo afghano la Linea Durand?
Chiedersi cosa rappresenti per il popolo afghano la Linea Durand porta a chiedersi in primo luogo che cos’è il popolo afghano. La popolazione dell’Afghanistan è composta da decine di etnie e di gruppi socioculturali e ceppi linguistici differenti, che vivono una situazione di conflittualità tra latente e manifesta, e che tendono ad unirsi fra di loro solamente in presenza di una minaccia esterna. Per il popolo afghano, la linea Durand non rappresenta moltissimo, nel senso che non ci si pone il problema, per le popolazioni che vi abitano è nella migliore delle ipotesi una linea di confine estremamente porosa che nella sostanza non vale assolutamente nulla. Le famiglie che vivono da una parte e dall’altra possono attraversare la linea liberamente, e lo stesso avviene in termini di commercio, poiché non c’è alcuna forma di controllo doganale. Si tratta dunque di una demarcazione di diritto, per altro formalmente riconosciuta solo da Islamabad, e non di fatto. Sul piano strategico, invece, quella linea è fondamentale. In un’ottica strategica di conflittualità aperta, potenziale o reale fra Pakistan e India, la possibilità di avere un retroterra strategico in Afghanistan è fondamentale per la sopravvivenza dello stesso Pakistan. Questo è il motivo per cui Islamabad ha la necessità di mantenere un accesso privilegiato su Kabul, che rappresenta un punto di snodo viario strategicamente importante, utile per contrastare una eventuale avanzata indiana. Ad oggi, comunque, una guerra sul breve-medio termine tra Pakistan e India appare improbabile, soprattutto per i problemi interni che ci sono in Pakistan in questo momento. Ritornando al punto, le manifestazioni di questi giorni, sono un’esaltazione di un generale malcontento, e quando non si riesce a risolvere un malcontento dal punto di vista interno, si sposta il problema verso l’esterno.
Il fattore scatenante degli scontri di frontiera degli ultimi giorni, dunque, può essere imputato solamente al mai sopito retaggio ideologico che contrappone afghani e pakistani sulla questione? La presenza di roccaforti talebane nella regione fa pensare che gli scontri siano parte di un’operazione più ampia e di diversa natura.
Innanzi tutto c’è da chiedersi perché questo sia avvenuto in questo momento, e poi come mai in tutta questa storia ci sia un’assordante silenzio da parte degli Stati Uniti. Dobbiamo prendere il considerazione tre fattori. Il primo è che l’Afghanistan, come territorio, ospita unità militari statunitensi e internazionali, e tra queste ci sono quelle unità deputate alla condotta di operazioni con i droni nel territorio pakistano. Pakistan che a sua volta, ospiterebbe i gruppi di opposizione armata, tra questi certamente i taliban. Il Pakistan, che non riesce a contrastare questi gruppi di opposizione armata che combattono sul territorio afghano, è però anche coinvolto nel dialogo con l’Afghanistan, fortemente voluto e sostenuto dagli Stati Uniti. Tenendo fermi questi due punti, c’è ancora il fatto che il Pakistan ha un’esigenza di politica interna nello spostare l’attenzione su quelli che sono i problemi politici che più andrebbero a toccare i candidati alle prossime elezioni. Così come all’Afghanistan, anche al Pakistan, conviene spostare all’esterno l’attenzione del proprio elettorato.
Entrambi i Paesi, dunque, avrebbero tutto l’interesse, sul brevissimo termine, ad essere un po’ miopi nei confronti di gruppi violenti di opposizione armata, che si trovano all’interno del proprio paese ma che non vanno a colpire obiettivi interni, bensì oltreconfine. In questo contesto disastroso, spostandosi da un livello politico intero ad un livello di geopolitica e di stabilità regionale, ci troviamo di fronte ad un precario equilibrio delle due realtà politiche, che sono sì attori primari, ma che vivono di luce riflessa di quelle che sono le esigenze strategiche esterne, in primis degli Stati Uniti. Stati Uniti che non stanno dicendo nulla, apparentemente per non subentrare in decisioni che appartengono a due stati sovrani. Questo consente a tutti e tre gli attori di presentarsi bene di fronte alle rispettive opinioni pubbliche, Stati Uniti compresi, sempre propensi a trovare una soluzione con i taliban, che guarda caso si trovano in questo momento a doversi interfacciare sia col governo afghano che con quello pakistano.
Recentemente, il Presidente Amid Karzai si è addirittura rivolto ai talebani, invitandoli a muovere le armi contro i veri nemici del territorio afghano. Sta davvero nascendo una forma di nazionalismo anti-pakistano?
Questo, sembra più un appello all’opinione pubblica che ai talebani, che considerano Karzai quasi un fantoccio. Karzai si propone così ad un’opinione pubblica, che è sempre più scettica nei suoi confronti, in una veste di soggetto che tende ad unire tutti gli afghani. Più e più volte ha definito i taliban veri afghani a tutti gli effetti, sostenendo l’inutilità di continuare a combattersi e promuovendone l’inserimento all’interno delle istituzioni. Per sostenere questo messaggio, Karzai ha dovuto identificare un altro obiettivo per i taliban su cui rivolgere le attenzioni violente, lottando per un Afghanistan unito, libero e indipendente. Qualche giorno fa il governo afghano ha aperto la competizione elettorale del 2014, al mullah Muhammad Omar e al partito islamico Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar. Questo è un passo importante, quindi grosse prese di posizione nei confronti dei talebani non si possono fare, grosse operazioni militari in questo momento non è opportuno farle, non c’è la capacità, ma soprattutto la volontà. Karzai, insomma, agendo da Presidente di uno stato, sta cercando a suo modo di arginarne le conflittualità interne.
Washington individua nel Pakistan un importante attore della stabilizzazione post-2014. Quali potrebbero essere le conseguenze, alla luce di quanto sta accadendo, sul futuro dei rapporti tra i due Paesi in un ottica geo-strategica globale?
Intanto, nell’ottica della transizione post-2014, gli Stati Uniti si sono garantiti il controllo di diverse basi strategiche, che rientrano nello Strategic Partnership Agreement siglato tra Kabul e Washington e ratificato recentemente, che dovrebbero essere Kandahar ed Herat. Quelle basi garantirebbero il controllo regionale da parte di Washington: ipotizzando di tracciare un raggio d’azione di circa 1300 kilometri (quello di un bombardiere a breve raggio, per intenderci), da Kandahar o Herat, andiamo a toccare le repubbliche centroasiatiche, la Russia, parte della Cina, tutto il Pakistan e tre quarti dell’India. Considerato che gli Stati Uniti hanno ridefinito la loro ottica strategica orientata al Pacifico, questo fa capire come siano riusciti a mantenere un perno di controllo sull’area. Guardando in prospettiva al futuro dell’Afghanistan, sono due gli scenari prospettabili, uno ‘più pericoloso’ e uno ‘più probabile’. Il primo, che prevede l’ipotesi dello sfaldamento dello stato afghano e delle ANSF (Afghan National Security Forces), porterebbe i gruppi di potere e i gruppi di opposizione armata ad avviare una nuova fase di guerra civile, mettendo la Nato di fronte alla delicata decisione di dover intervenire o lasciare definitivamente l’Afghanistan.
Il secondo scenario, più probabile, vede un aumento del coinvolgimento politico degli attori regionali, in particolare Cina, Pakistan, India e Russia. L’instabilità politico-sociale e l’impreparazione delle ANSF (parzialmente compensata dal sostegno della NATO) manterranno l’Afghanistan in una condizione di precario ‘stallo dinamico’ nel breve periodo. L’aumento della pressione militare dei gruppi di opposizione armata, soprattutto nelle province rurali, agevolerebbe l’insorgere di ‘conflitti di faglia’, per via dell’aumento della conflittualità a livello locale.
Sebbene nel 1949, a seguito dell’indipendenza del Pakistan e del crollo dell’Impero Anglo-Indiano, il Gran Consiglio (Loya Jirga) afghano proclamò l’invalidità di detto confine, la Linea Durand è ufficialmente riconosciuta a livello internazionale.
La dinamica degli attacchi dei giorni scorsi non è ancora chiara. Gli scontri a fuoco sarebbero avvenuti nei pressi di installazioni militari pakistane, erette in violazione di accordi internazionali e bilaterali nell’area ‘contesa’, appunto considerata da Kabul come parte del proprio territorio.
Mentre fonti di stampa pakistane lasciano trapelare che lo scontro di mercoledì notte è avvenuto a seguito di un’offensiva afghana contro uno degli avamposti militari pakistani nei pressi di Gursal, Kabul ribatte che la presenza di detti avamposti rappresenta un futile tentativo di Islamabad per spingere le autorità afghane a ridiscutere la questione del confine.
Quello che appare certo però, è che gli attacchi, nel corso dei quali ha perso la vita una guardia di confine afghana, e in cui si contano alcuni feriti da entrambe le parti, hanno risvegliato una forte ondata nazionalista in tutto l’Afghanistan. In queste ore, nelle piazze come sul web, i giovani afghani si stanno mobilitando in manifestazioni anti-pakistane che inneggiano a Quasim Khan, la guardia di confine rimasta uccisa, come eroe nazionale.
Per capire meglio la portata del clima di tensione derivato da questi scontri, oltre che la loro effettiva natura, abbiamo chiesto l’opinione del Dottor Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore e docente, che si occupa di questioni politiche, militari e religiose dell’Afghanistan contemporaneo.
Partiamo dal principio: che cosa rappresenta per il popolo afghano la Linea Durand?
Chiedersi cosa rappresenti per il popolo afghano la Linea Durand porta a chiedersi in primo luogo che cos’è il popolo afghano. La popolazione dell’Afghanistan è composta da decine di etnie e di gruppi socioculturali e ceppi linguistici differenti, che vivono una situazione di conflittualità tra latente e manifesta, e che tendono ad unirsi fra di loro solamente in presenza di una minaccia esterna. Per il popolo afghano, la linea Durand non rappresenta moltissimo, nel senso che non ci si pone il problema, per le popolazioni che vi abitano è nella migliore delle ipotesi una linea di confine estremamente porosa che nella sostanza non vale assolutamente nulla. Le famiglie che vivono da una parte e dall’altra possono attraversare la linea liberamente, e lo stesso avviene in termini di commercio, poiché non c’è alcuna forma di controllo doganale. Si tratta dunque di una demarcazione di diritto, per altro formalmente riconosciuta solo da Islamabad, e non di fatto. Sul piano strategico, invece, quella linea è fondamentale. In un’ottica strategica di conflittualità aperta, potenziale o reale fra Pakistan e India, la possibilità di avere un retroterra strategico in Afghanistan è fondamentale per la sopravvivenza dello stesso Pakistan. Questo è il motivo per cui Islamabad ha la necessità di mantenere un accesso privilegiato su Kabul, che rappresenta un punto di snodo viario strategicamente importante, utile per contrastare una eventuale avanzata indiana. Ad oggi, comunque, una guerra sul breve-medio termine tra Pakistan e India appare improbabile, soprattutto per i problemi interni che ci sono in Pakistan in questo momento. Ritornando al punto, le manifestazioni di questi giorni, sono un’esaltazione di un generale malcontento, e quando non si riesce a risolvere un malcontento dal punto di vista interno, si sposta il problema verso l’esterno.
Il fattore scatenante degli scontri di frontiera degli ultimi giorni, dunque, può essere imputato solamente al mai sopito retaggio ideologico che contrappone afghani e pakistani sulla questione? La presenza di roccaforti talebane nella regione fa pensare che gli scontri siano parte di un’operazione più ampia e di diversa natura.
Innanzi tutto c’è da chiedersi perché questo sia avvenuto in questo momento, e poi come mai in tutta questa storia ci sia un’assordante silenzio da parte degli Stati Uniti. Dobbiamo prendere il considerazione tre fattori. Il primo è che l’Afghanistan, come territorio, ospita unità militari statunitensi e internazionali, e tra queste ci sono quelle unità deputate alla condotta di operazioni con i droni nel territorio pakistano. Pakistan che a sua volta, ospiterebbe i gruppi di opposizione armata, tra questi certamente i taliban. Il Pakistan, che non riesce a contrastare questi gruppi di opposizione armata che combattono sul territorio afghano, è però anche coinvolto nel dialogo con l’Afghanistan, fortemente voluto e sostenuto dagli Stati Uniti. Tenendo fermi questi due punti, c’è ancora il fatto che il Pakistan ha un’esigenza di politica interna nello spostare l’attenzione su quelli che sono i problemi politici che più andrebbero a toccare i candidati alle prossime elezioni. Così come all’Afghanistan, anche al Pakistan, conviene spostare all’esterno l’attenzione del proprio elettorato.
Entrambi i Paesi, dunque, avrebbero tutto l’interesse, sul brevissimo termine, ad essere un po’ miopi nei confronti di gruppi violenti di opposizione armata, che si trovano all’interno del proprio paese ma che non vanno a colpire obiettivi interni, bensì oltreconfine. In questo contesto disastroso, spostandosi da un livello politico intero ad un livello di geopolitica e di stabilità regionale, ci troviamo di fronte ad un precario equilibrio delle due realtà politiche, che sono sì attori primari, ma che vivono di luce riflessa di quelle che sono le esigenze strategiche esterne, in primis degli Stati Uniti. Stati Uniti che non stanno dicendo nulla, apparentemente per non subentrare in decisioni che appartengono a due stati sovrani. Questo consente a tutti e tre gli attori di presentarsi bene di fronte alle rispettive opinioni pubbliche, Stati Uniti compresi, sempre propensi a trovare una soluzione con i taliban, che guarda caso si trovano in questo momento a doversi interfacciare sia col governo afghano che con quello pakistano.
Recentemente, il Presidente Amid Karzai si è addirittura rivolto ai talebani, invitandoli a muovere le armi contro i veri nemici del territorio afghano. Sta davvero nascendo una forma di nazionalismo anti-pakistano?
Questo, sembra più un appello all’opinione pubblica che ai talebani, che considerano Karzai quasi un fantoccio. Karzai si propone così ad un’opinione pubblica, che è sempre più scettica nei suoi confronti, in una veste di soggetto che tende ad unire tutti gli afghani. Più e più volte ha definito i taliban veri afghani a tutti gli effetti, sostenendo l’inutilità di continuare a combattersi e promuovendone l’inserimento all’interno delle istituzioni. Per sostenere questo messaggio, Karzai ha dovuto identificare un altro obiettivo per i taliban su cui rivolgere le attenzioni violente, lottando per un Afghanistan unito, libero e indipendente. Qualche giorno fa il governo afghano ha aperto la competizione elettorale del 2014, al mullah Muhammad Omar e al partito islamico Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar. Questo è un passo importante, quindi grosse prese di posizione nei confronti dei talebani non si possono fare, grosse operazioni militari in questo momento non è opportuno farle, non c’è la capacità, ma soprattutto la volontà. Karzai, insomma, agendo da Presidente di uno stato, sta cercando a suo modo di arginarne le conflittualità interne.
Washington individua nel Pakistan un importante attore della stabilizzazione post-2014. Quali potrebbero essere le conseguenze, alla luce di quanto sta accadendo, sul futuro dei rapporti tra i due Paesi in un ottica geo-strategica globale?
Intanto, nell’ottica della transizione post-2014, gli Stati Uniti si sono garantiti il controllo di diverse basi strategiche, che rientrano nello Strategic Partnership Agreement siglato tra Kabul e Washington e ratificato recentemente, che dovrebbero essere Kandahar ed Herat. Quelle basi garantirebbero il controllo regionale da parte di Washington: ipotizzando di tracciare un raggio d’azione di circa 1300 kilometri (quello di un bombardiere a breve raggio, per intenderci), da Kandahar o Herat, andiamo a toccare le repubbliche centroasiatiche, la Russia, parte della Cina, tutto il Pakistan e tre quarti dell’India. Considerato che gli Stati Uniti hanno ridefinito la loro ottica strategica orientata al Pacifico, questo fa capire come siano riusciti a mantenere un perno di controllo sull’area. Guardando in prospettiva al futuro dell’Afghanistan, sono due gli scenari prospettabili, uno ‘più pericoloso’ e uno ‘più probabile’. Il primo, che prevede l’ipotesi dello sfaldamento dello stato afghano e delle ANSF (Afghan National Security Forces), porterebbe i gruppi di potere e i gruppi di opposizione armata ad avviare una nuova fase di guerra civile, mettendo la Nato di fronte alla delicata decisione di dover intervenire o lasciare definitivamente l’Afghanistan.
Il secondo scenario, più probabile, vede un aumento del coinvolgimento politico degli attori regionali, in particolare Cina, Pakistan, India e Russia. L’instabilità politico-sociale e l’impreparazione delle ANSF (parzialmente compensata dal sostegno della NATO) manterranno l’Afghanistan in una condizione di precario ‘stallo dinamico’ nel breve periodo. L’aumento della pressione militare dei gruppi di opposizione armata, soprattutto nelle province rurali, agevolerebbe l’insorgere di ‘conflitti di faglia’, per via dell’aumento della conflittualità a livello locale.
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