Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

martedì 16 novembre 2010

Dal 2011 al 2014: il lungo cammino della scadenza flessibile in Afghanistan

Karzai utilizza toni sempre più aspri e apertamente critici verso la presenza occidentale in Afghanistan; lo fa attraverso i media nazionali e internazionali chiedendo «riduzione delle operazioni militari» e «stop ai raid notturni»; richieste comprensibili che hanno però provocato formale stupore e disappunto in un sempre meno marziale e sempre più politico David Petraeus. Karzai, pur consapevole del fatto che parte della pochissima sicurezza in terra afghana è il risultato degli sforzi e dei sacrifici delle forze della Coalizione a guida statunitense, tenta così di ottenere consenso da parte di quegli afghani che chiedono, alcuni a gran voce, il ritiro delle truppe straniere: tra questi anche i taliban, ai quali Karzai si rivolge per una soluzione di compromesso basata sul dialogo. Dialogo puntualmente negato dallo stesso mullah Omar che, nel suo messaggio del 15 novembre, insiste nel chiedere il ritiro delle truppe straniere come precondizione a qualunque forma di trattativa.
Nel frattempo gli Stati Uniti di Obama confermano ufficiosamente ciò che è evidente almeno dalla fine di giugno: le truppe statunitensi non inizieranno a ripiegare nell’estate del 2011 e il passaggio di responsabilità – il termine della «combat mission» americana, la stessa che in Europa viene indicata come «missione di pace» – non avverrà prima del 2014 (e dunque a partire dal 2015). Lo aveva anticipato il Segretario di Stato Hillary Clinton alla Conferenza di Kabul del 20 luglio 2010 – «il 2011 è l’inizio di una nuova fase e non la fine del nostro impegno» – incalzata da Petraeus che aveva parlato di «processo basato su condizioni e non un evento» riferendosi alla data annunciata da Obama nel discorso a West Point del dicembre 2009.
Perché è avvenuto ciò? Al di là della cronica inefficienza dello Stato afghano – il cui processo di formazione è ben lungi dall’essere stato avviato efficacemente – un recente studio sulle forze di sicurezza afghane ha posto in evidenza come queste non siano ancora in grado di garantire il controllo del territorio e un livello di sicurezza accettabile. Questa situazione ha indotto al cambio dei tempi per l’uscita dal conflitto armato. È stato lo stesso capo di stato maggiore dell’esercito americano, il generale George Casey, ad affermare che gli Stati Uniti rimarranno in Afghanistan per almeno altri dieci anni: «Attori statali, non statali e singoli soggetti che stanno aumentando la volontà di utilizzo della violenza non possono essere battuti sul breve termine». Ma a livello politico vi è ancora molta indecisione proprio in merito agli obiettivi da ottenere a breve termine, compreso il processo di trasferimento di autorità alle istituzioni afghane che, comunque, verrà avviato a partire dall’anno prossimo. Scelta che sembra più una simulazione di successo e coerenza alle promesse fatte – ai propri elettori – che frutto di un calcolo razionale e di un’attenta e matura valutazione.
Il discusso annuncio di Obama a West Point nel dicembre 2009, quello in cui è stata resa manifesta la volontà di avviare il ritiro delle truppe a partire dall’estate 2011, è in parte responsabile dei parziali insuccessi ottenuti sul fronte della counterinsurgency e dell’aumento della volontà offensiva dei taliban. È ormai opinione diffusa che il ritiro delle forze statunitensi e della Nato, – 2011 o 2014 –, rappresenti una implicita dichiarazione di impossibilità di sconfiggere il nemico; un nemico che non appena la pressione si sarà attenuata, sostiene Ahmed Rashid, inizierà a marciare su Kabul.
Dal 2011 al 2014 dunque.
Entro il 2014 le forze di sicurezza straniere dovranno affidare a esercito e polizia afghani la gestione della sicurezza sull’intero territorio del paese. Quello che può apparire come l’annuncio di un ritiro è nei fatti un’evacuazione programmata e punta a imporsi nel lessico degli analisti come passaggio di consegne organizzato e graduale. Ma nel 2014 l'Afghanistan non sarà abbandonato a se stesso poiché a vigilare rimarrà la Nato, che si è assunta l’onere del supporto logistico e militare senza però interferire direttamente nella gestione dell’ordine pubblico e nel controllo del territorio.
Anche il Presidente Hamid Karzai ha confermato che il passaggio di consegne avverrà nel 2014, con la convinzione che entro quella data le forze di sicurezza afghane saranno pronte a operare autonomamente. Lo ha fatto pur sapendo che l’apertura dei taliban è la conditio sine qua non e che senza la loro partecipazione al dialogo, la guerra è destinata a continuare per molto tempo ancora. Trattare è necessario dunque, con il beneplacito degli Stati Uniti e degli altri alleati e con la certezza di altri quattro anni di guerra durante i quali riflettere sulla «definitiva» exit strategy.
Entro il 2014 – solo qualche settimana fa si parlava ancora di 2011 – esercito e polizia afghani dovranno raggiungere, nei piani dell’amministrazione Obama, quota 300.000 ma al momento i risultati raggiunti si limitano rispettivamente al diciotto e venticinque percento dell’obiettivo finale. Una situazione assolutamente inaccettabile, resa ancora più critica dal fatto che i reclutamenti nelle aree pashtun sono pressoché nulli poiché è proprio in quelle regioni e in quei distretti che i taliban prosperano e sono in grado di fare proseliti tra la popolazione locale, offrendo buoni compensi ai giovani disoccupati che decidono di aderire alla lotta contro gli stranieri e il governo di Kabul. E questo ha portato all’ottenimento di un doppio risultato negativo nella guerra per la conquista dei cuori e delle menti poiché, non solo la percentuale dei pashtun nell’esercito non supera il tre percento, ma, pericolosamente, i giovani delle aree rurali preferiscono “arruolarsi” tra le fila del movimento taliban e dei gruppi di opposizione pashtun più in generale.
La frustrazione dei comandi alleati è alle stelle: l’insoddisfazione è conseguenza del fatto che il processo di reclutamento è fallito ancor prima della scadenza prefissata mentre il fenomeno dell’insorgenza è sempre più in aumento.
Se il termine dell’estate 2011 è ormai solamente un ricordo, il 2014 è invece la «scadenza flessibile» indicata dagli Stati Uniti e dalla Nato; ma il 2014, nella più rosea delle previsioni non sarà neanche la data di un definitivo ritiro delle truppe internazionali da combattimento (e comunque quelle statunitensi) dall’Afghanistan poiché l’impegno preso è di assistere le istituzioni afghane sin quando queste non saranno in grado di poter operare per proprio conto. Situazione che potrà però essere realizzabile, almeno secondo le previsioni più ottimistiche, ben oltre quella data. Il cammino è ancora lungo e la data del 2011 segna solo l'inizio del piano quadriennale che verrà presentato a Lisbona il 19 novembre in occasione del Summit della Nato che vedrà, tra gli ospiti, anche il presidente russo Dmitrij Medvedev.
16 novembre 2010

Nessun commento:

Posta un commento