di Claudio Bertolotti
29 settembre – Dopo
una campagna elettorale particolarmente difficile e un ancor più difficile
conteggio (e riconteggio) delle schede elettorali, Ashraf Ghani è oggi il nuovo
presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan e, nel rispetto degli
accordi tra le parti, Abbullah Abdullah – suo avversario nella competizione elettorale
– è stato nominato Chief Executive Officer. Abbullah va così a ricoprire una
posizione che formalmente non è prevista dall’ordinamento afghano ma che si è
palesata come unica alternativa al collasso politico e al rischio di guerra
civile tra i due principali blocchi etno-politici: il macro-gruppo dei pashtun
e l’alternativa dei non-pashtun. Non ha vinto la democrazia poiché la soluzione
di compromesso tra i principali gruppi di potere ha portato a una divisione
formale delle prerogative e delle responsabilità costituzionalmente spettanti
al Presidente, ma ha prevalso il principio della ricerca della stabilità,
almeno sul breve periodo.
In occasione del
discorso inaugurale del nuovo presidente, un appello alla pacificazione è stato
indirizzato ai principali gruppi di opposizione armata afghani – i taliban e
Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar – affinché si giunga a un accordo
negoziale finalizzato alla conclusione delle conflittualità: una conferma
formale di quanto energicamente annunciato da Ghani durante il periodo della
campagna elettorale.
Un percorso
difficoltoso quello della nuova leadership afghana, che sarà reso più difficile
dalla grave situazione economica in cui si trova il paese, dalla limitata
capacità funzionale dell’apparato statale,
dalla corruzione endemica, dai concreti limiti delle forze di sicurezza
nazionali, dall’offensiva efficace dei gruppi di opposizione armata (taliban in primis).
Un importante atto
formale è stata la firma del Bilateral
Security Agreement tra Stati Uniti e governo afghano; da gennaio 2015 la
presenza militare statunitense sarà dunque legittimata. Parallelamente anche la
NATO ha firmato lo Status of Forces
Agreement (SOFA) sulla base del quale le truppe dell’Alleanza Atlantica
rimarranno in Afghanistan al termine della missione ISAF (dicembre 2014) dando
il via all’impegno “Resolute Support
Mission” incentrato sull’addestramento e sul sostegno alle Forze di
sicurezza afghane.
Immediata la
reazione dei taliban che hanno portato a compimento una serie di attacchi suicidi
il giorno stesso dell’insediamento del nuovo presidente e hanno formalmente
condannato la firma del BSA a cui si opporranno proseguendo i combattimenti sul
campo di battaglia.
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