di Claudio Bertolotti
Tra variabili alleanze e instabili equilibri politici, si dimostra incerto il processo politico che porterà all’elezione del nuovo presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan il prossimo 5 aprile. Così come incerto rimane l’accordo politico-diplomatico che dovrebbe condurre all’impegno militare degli Stati Uniti e della Nato a partire dal 2015.
A fare da sfondo, permane la ricerca di un dialogo negoziale con il movimento insurrezionale dei taliban – vero soggetto forte del conflitto. Un dialogo sempre meno tangibile ma necessario, in particolare per Kabul e Washington.
A fare da sfondo, permane la ricerca di un dialogo negoziale con il movimento insurrezionale dei taliban – vero soggetto forte del conflitto. Un dialogo sempre meno tangibile ma necessario, in particolare per Kabul e Washington.
Come risponderà il popolo afghano alla chiamata al voto?
Secondo un recente sondaggio condotto dall’ATR Consulting in collaborazione con l’emittente televisiva TOLO News, i candidati dati per favoriti al prossimo appuntamento elettorale per la carica di presidente sono Abdullah Abdullah, ex-ministro degli Esteri di Karzai e capo della “Coalizione Nazionale dell’Afghanistan”, e Ashraf Ghani Ahmadzai, già titolare del ministero delle Finanze.
Il sondaggio, che si è svolto in tutte le trentaquattro province del paese, mostra come – sebbene con andamento variabile a seconda delle aree geografiche (corrispondenti alle attuali “regioni militari” della Nato) – Abdullah sia in vantaggio rispetto agli avversari, con un 26,5% di consensi, seguito da Ahmadzai, con il 20%. Abdul Qayum Karzai, fratello dell’attuale presidente, segue a grande distanza con un gradimento di circa il 5%.
A meno di 100 giorni dall’appuntamento elettorale, il sondaggio mette in evidenza come l’interesse dell’opinione pubblica per la competizione elettorale sia sensibilmente aumentato, sebbene almeno il 7% degli intervistati abbia dichiarato di non gradire nessuno dei candidati e ben il 28% di non sapere ancora per chi voler votare.
Dunque, un totale pari al 35% di indecisi e non votanti; molti, troppi, per poter prevedere uno scenario definito dell’Afghanistan post-elettorale. In tale contesto, si inseriscono i potenziali vincitori – e i relativi gruppi di supporto – della competizione elettorale.
Dunque, un totale pari al 35% di indecisi e non votanti; molti, troppi, per poter prevedere uno scenario definito dell’Afghanistan post-elettorale. In tale contesto, si inseriscono i potenziali vincitori – e i relativi gruppi di supporto – della competizione elettorale.
In generale, sebbene la discussione sul possibile esito tenda a basarsi sull’aspetto demografico (etno-culturale), è però vero che nessun gruppo ha la possibilità di ottenere una maggioranza schiacciante; ciò imporrà un probabile accordo politico tra le principali parti antagoniste.
In estrema sintesi, le coalizioni maggiormente accreditate sono così composte:
- il ministro degli Esteri Zalmai Rassoul (pashtun), affiancato dai candidati vice-presidenti Ahmad Zia Massoud (tagico) e Habiba Sarabi (hazara); indice di gradimento dell’1,5%.
- l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah (tagico/pashtun), con Mohammad Khan (pashtun) e Mohammad Mohaqeq (hazara); indice di gradimento del 26,5%.
- l’ex ministro delle Finanze Ashraf Ghani Ahmadzai (pashtun), con Abdul Rashid Dostum (uzbeco) e Sarwar Danish (hazara); indice di gradimento del 20%.
- il fratello dell’attuale presidente, Qayum Karzai (pashtun), con Wahidullah Shahrani (uzbeco) e Ibrahim Qasemi (hazara); indice di gradimento del 5%.
- il parlamentare Abdul Rab Rasoul Sayyaf (pashtun), insieme a Ismail Khan (tagico) e Abdul Wahab Erfan (uzbeco); indice di gradimento del 4,5%.
- l’ex governatore di Nangarhar, Gul Agha Sherzai (pashtun), con Sayed Hussain Alemi Balkhi (hazara) e Mohammad Hashim Zare (uzbeco); indice di gradimento del 3,5%.
- l’ex ministro della Difesa, il generale Abdul Rahim Wardak (pashtun), con Shah Abdul Ahad Afzali (tagico) e Sayed Hussain Anwari (hazara); indice di gradimento del 2%.
Dunque, un testa a testa tra un Abdullah, che raccoglie un più ampio consenso tra l’elettorato femminile, e un Ahmadzai, in grado di convincere maggiormente quello di estrazione urbana.
Inoltre, è interessante notare che sia l’Iran che gli Stati Uniti guardino con favore a un equilibrio politico su base etno-religiosa, ossia a uno Stato che nella sua struttura rispetti il delicato “balance of power” tra i molteplici gruppi etnici e religiosi afghani.
Se la tutela dell’etnia minoritaria hazara – e degli altri gruppi sciiti in genere – è una priorità per Teheran, Washington guarda con attenzione a una soluzione politica che garantisca un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun (per lo più sotto influenza pakistana) e le altre minoranze etniche.
In estrema sintesi, le coalizioni maggiormente accreditate sono così composte:
- il ministro degli Esteri Zalmai Rassoul (pashtun), affiancato dai candidati vice-presidenti Ahmad Zia Massoud (tagico) e Habiba Sarabi (hazara); indice di gradimento dell’1,5%.
- l’ex ministro degli Esteri Abdullah Abdullah (tagico/pashtun), con Mohammad Khan (pashtun) e Mohammad Mohaqeq (hazara); indice di gradimento del 26,5%.
- l’ex ministro delle Finanze Ashraf Ghani Ahmadzai (pashtun), con Abdul Rashid Dostum (uzbeco) e Sarwar Danish (hazara); indice di gradimento del 20%.
- il fratello dell’attuale presidente, Qayum Karzai (pashtun), con Wahidullah Shahrani (uzbeco) e Ibrahim Qasemi (hazara); indice di gradimento del 5%.
- il parlamentare Abdul Rab Rasoul Sayyaf (pashtun), insieme a Ismail Khan (tagico) e Abdul Wahab Erfan (uzbeco); indice di gradimento del 4,5%.
- l’ex governatore di Nangarhar, Gul Agha Sherzai (pashtun), con Sayed Hussain Alemi Balkhi (hazara) e Mohammad Hashim Zare (uzbeco); indice di gradimento del 3,5%.
- l’ex ministro della Difesa, il generale Abdul Rahim Wardak (pashtun), con Shah Abdul Ahad Afzali (tagico) e Sayed Hussain Anwari (hazara); indice di gradimento del 2%.
Dunque, un testa a testa tra un Abdullah, che raccoglie un più ampio consenso tra l’elettorato femminile, e un Ahmadzai, in grado di convincere maggiormente quello di estrazione urbana.
Inoltre, è interessante notare che sia l’Iran che gli Stati Uniti guardino con favore a un equilibrio politico su base etno-religiosa, ossia a uno Stato che nella sua struttura rispetti il delicato “balance of power” tra i molteplici gruppi etnici e religiosi afghani.
Se la tutela dell’etnia minoritaria hazara – e degli altri gruppi sciiti in genere – è una priorità per Teheran, Washington guarda con attenzione a una soluzione politica che garantisca un bilanciamento “adeguato” tra gruppi di potere pashtun (per lo più sotto influenza pakistana) e le altre minoranze etniche.
Nel complesso, quello a cui assiste – dall’esterno – la Comunità internazionale e – dall’interno – la stessa opinione pubblica afghana, è un processo elettorale che procede a rilento, ridotto nel numero di cittadini iscritti al voto, ancora più limitato nella partecipazione femminile, in sintesi un’organizzazione che non soddisfa.
Tutte premesse a una situazione politica instabile a cui si accompagnano gli infruttuosi tentativi di “dialogo politico” con i gruppi insurrezionali (Hezb-e Islami e, in particolare, i taliban) e gli azzardi di revisione (e riduzione) dei diritti costituzionali, con particolare riferimento a quelli delle donne.
Quest’ultimo, tasto dolente ma necessario prezzo che la Comunità internazionale ha dimostrato di essere disposta a pagare al fine di convincere i gruppi di opposizione armata ad accettare un soluzione negoziale al conflitto: argomento a cui i media daranno scarso risalto ma che la stessa Comunità internazionale ha già messo in conto.
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