di Claudio Bertolotti
Ascolta l'intervista su Radio Onda d'Urto
Il sangue continua a scorrere anche nella giornata in cui gli sciiti celebrano l'Ashura, il martirio del nipote del profeta Maometto, Hussein, nella battaglia di Kerbala del 680. Il 6 dicembre 2011 un doppio attentato scuote l'Afghanistan. E' di cinquantotto morti il primo bilancio dell'attacco, più di cento i feriti, tra questi donne e bambini in gravi condizioni. L'esplosione ha avuto luogo all'ingresso di uno dei santuari della capitale afghana, dove si celebrava l'Ashura, festa sacra per gli sciiti; contemporaneamente altre quattro persone perdevano la vita nella città di Mazar-i-Sharif a seguito di un altro attentato esplosivo.
L’attentato, condannato dal presidente afghano, dalle nazioni Unite, dal comando Isaf e dagli stessi taliban, è stato rivendicato dal gruppo Lashkar-e-Jhangvi, un movimento pakistano di opposizione armata sunnita di orientamento deobandi nato nel 1996 da una costola di un altro importante soggetto politico radicale pakistano, il Sipah-e-Sahaba (SSP). Il Lashkar-e-Jhangvi, classificato come “organizzazione terrorista” da Pakistan e Stati Uniti, che ha principalmente indirizzato i propri attacchi contro la comunità sciita pakistana ed è giunto agli onori della cronaca per un tentativo di assassinio del primo ministro pakistano Nawaz Sharif nel 1999, è un gruppo radicale che che vanta legami con i principali gruppi di opposizione armata a livello regionale, dai taliban, ad Al-Qaida, all’IMU – il movimento islamico per l’indipendenza dell’Uzbekistan – e gode dell’ospitalità dei taliban in territorio afghano, un ospitalità che porta a un fruttuoso e reciproco sostegno tra i due soggetti.
La situazione afghana a partire dalla fine del 2001 – anno dell’abbattimento del regime taliban – si è visibilmente deteriorata. La missione internazionale Isaf, e con essa la Nato, non ha raggiunto i suoi obiettivi ed è ormai chiaro che non è più possibile «vincere questa guerra»; si tratta piuttosto di giungere a una soluzione politica di compromesso tra le parti e «ridurre l'insurrezione a un livello gestibile, in modo che possa quindi essere contenuta dall'esercito afghano» sostenuto da una ridotta presenza militare straniera.
Dal 2008, i gruppi di opposizione sono tornati a essere in grado di operare militarmente in una porzione di territorio pari al 72% dell’intero Afghanistan, mentre una "concreta" attività insurrezionale è stata registrata nel 21% del Paese. Oggi, il Paese, vede un relativa libertà di azione dei taliban su circa l’80% del territorio afghano.
Il fenomeno degli attacchi suicidi ha fatto la sua prima comparsa in Afghanistan nel 2001 e, in maniera progressiva e incontenibile, si è diffuso a macchia d’olio in tutte le province del Paese; inizialmente concentrata nelle aree pashtun (di professione religiosa sunnita), si è gradualmente imposto anche in quelle zone contraddistinte da una forte presenza non-pastun. Perché ciò sia avvenuto può trovare una possibile risposta nella situazione politico-sociale-militare interna del Paese, così come nella significativa ingerenza di organizzazioni radicali esogene. Tra le quali anche gruppi pakistani come Lashkar-e-Toiba e, appunto, Lashkar-e-Jiangvi.
Gli attacchi del 6 dicembre vanno ad inserirsi in un sempre più ampio gioco di destabilizzazione regionale che i singoli gruppi, in una condizione che possiamo definire di competizione collaborativa, stanno portando avanti da diverso tempo. Certo è che questi attacchi e la partecipazione del gruppo Lashkar-e-Jiangvi rappresentano – almeno al momento – un’eccezione nella migliore delle ipotesi o, nella peggiore, un ulteriore inasprimento del conflitto che si presenta come sempre più inarrestabile. Così come non è escluso che gli attacchi possano essere una sorta di risposta, in primis, alla discussa Loya Jirga che ha “agevolato” gli accordi di Strategic Partnership tra Afghanistan e Stati Uniti e, in secondo luogo, alla Seconda conferenza di Bonn che si è appena conclusa. (ascolta l'intervista su radio Onda d'urto)
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Il sangue continua a scorrere anche nella giornata in cui gli sciiti celebrano l'Ashura, il martirio del nipote del profeta Maometto, Hussein, nella battaglia di Kerbala del 680. Il 6 dicembre 2011 un doppio attentato scuote l'Afghanistan. E' di cinquantotto morti il primo bilancio dell'attacco, più di cento i feriti, tra questi donne e bambini in gravi condizioni. L'esplosione ha avuto luogo all'ingresso di uno dei santuari della capitale afghana, dove si celebrava l'Ashura, festa sacra per gli sciiti; contemporaneamente altre quattro persone perdevano la vita nella città di Mazar-i-Sharif a seguito di un altro attentato esplosivo.
L’attentato, condannato dal presidente afghano, dalle nazioni Unite, dal comando Isaf e dagli stessi taliban, è stato rivendicato dal gruppo Lashkar-e-Jhangvi, un movimento pakistano di opposizione armata sunnita di orientamento deobandi nato nel 1996 da una costola di un altro importante soggetto politico radicale pakistano, il Sipah-e-Sahaba (SSP). Il Lashkar-e-Jhangvi, classificato come “organizzazione terrorista” da Pakistan e Stati Uniti, che ha principalmente indirizzato i propri attacchi contro la comunità sciita pakistana ed è giunto agli onori della cronaca per un tentativo di assassinio del primo ministro pakistano Nawaz Sharif nel 1999, è un gruppo radicale che che vanta legami con i principali gruppi di opposizione armata a livello regionale, dai taliban, ad Al-Qaida, all’IMU – il movimento islamico per l’indipendenza dell’Uzbekistan – e gode dell’ospitalità dei taliban in territorio afghano, un ospitalità che porta a un fruttuoso e reciproco sostegno tra i due soggetti.
La situazione afghana a partire dalla fine del 2001 – anno dell’abbattimento del regime taliban – si è visibilmente deteriorata. La missione internazionale Isaf, e con essa la Nato, non ha raggiunto i suoi obiettivi ed è ormai chiaro che non è più possibile «vincere questa guerra»; si tratta piuttosto di giungere a una soluzione politica di compromesso tra le parti e «ridurre l'insurrezione a un livello gestibile, in modo che possa quindi essere contenuta dall'esercito afghano» sostenuto da una ridotta presenza militare straniera.
Dal 2008, i gruppi di opposizione sono tornati a essere in grado di operare militarmente in una porzione di territorio pari al 72% dell’intero Afghanistan, mentre una "concreta" attività insurrezionale è stata registrata nel 21% del Paese. Oggi, il Paese, vede un relativa libertà di azione dei taliban su circa l’80% del territorio afghano.
Il fenomeno degli attacchi suicidi ha fatto la sua prima comparsa in Afghanistan nel 2001 e, in maniera progressiva e incontenibile, si è diffuso a macchia d’olio in tutte le province del Paese; inizialmente concentrata nelle aree pashtun (di professione religiosa sunnita), si è gradualmente imposto anche in quelle zone contraddistinte da una forte presenza non-pastun. Perché ciò sia avvenuto può trovare una possibile risposta nella situazione politico-sociale-militare interna del Paese, così come nella significativa ingerenza di organizzazioni radicali esogene. Tra le quali anche gruppi pakistani come Lashkar-e-Toiba e, appunto, Lashkar-e-Jiangvi.
Gli attacchi del 6 dicembre vanno ad inserirsi in un sempre più ampio gioco di destabilizzazione regionale che i singoli gruppi, in una condizione che possiamo definire di competizione collaborativa, stanno portando avanti da diverso tempo. Certo è che questi attacchi e la partecipazione del gruppo Lashkar-e-Jiangvi rappresentano – almeno al momento – un’eccezione nella migliore delle ipotesi o, nella peggiore, un ulteriore inasprimento del conflitto che si presenta come sempre più inarrestabile. Così come non è escluso che gli attacchi possano essere una sorta di risposta, in primis, alla discussa Loya Jirga che ha “agevolato” gli accordi di Strategic Partnership tra Afghanistan e Stati Uniti e, in secondo luogo, alla Seconda conferenza di Bonn che si è appena conclusa. (ascolta l'intervista su radio Onda d'urto)
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