La teoria della società civile può trovare realtà pratica nell’Afghanistan contemporaneo? L’Afghanistan stenta a imporsi come realtà politica, forse finanche geografica; ammesso che possa effettivamente esservi presente un fenomeno ascrivibile a quello della società civile, non è chiaro quanto questo abbia la forza, unendo i cittadini allo Stato, di facilitare un processo di «pacificazione». La realtà si presenta sempre più come caratterizzata da fenomeni partecipativi di gruppi in contrapposizione ad altri piuttosto che una partecipazione sentita e proveniente dal basso.
Lo Stato è debole, manca vitalità politica e le mobilitazioni di massa avvengono in forma di protesta per lo più a ingerenze esterne: più per contrapporre che per proporre.
La società dell’Afghanistan è variegata al punto tale da rendere inappropriata la stessa classificazione di «afghana»; si tratta piuttosto di senso di appartenenza etnica, tribale e non a Stato e nazione: una società civile di stampo conservatore, frutto di sovrapposizione e sopravvivenza di costumi e tradizioni che ne regolano ritmi e dinamiche interne, ma con possibilità di apertura verso un cambiamento moderato e mediato.
L’Afghanistan si divide in due macro-realtà: urbana e rurale. La prima può assurgere a campione di «società civile limitata», la seconda è parzialmente esclusa da questo tipo di fenomeno. Il problema che si pone a un osservatore esterno è quello di riuscire a scindere le due realtà e di non incappare nell’errore, diffuso, di confondere la situazione generale con quella delle aree urbane. Il distinguo è necessario. Non esiste un Afghanistan da un punto di vista sociale, esistono differenti realtà all’interno di un confine geografico.
Herat, Kabul, Mazar-i Sharif sono luoghi in cui la partecipazione sociale si fa sentire, seppur debolmente. Kandahar e altri centri urbani del sud-est sono caratterizzati da spinte di «reazione», tra adeguamento allo status quo e volontà di muovere verso riforme a base locale.
Nelle realtà rurali vi sono forti limitazioni allo sviluppo di una società civile che trascenda da gerarchie e costumi tradizionali; sebbene questo possa apparire come limite, in realtà esso offre buone potenzialità sul lungo termine di poter sostenere un processo di «pacificazione afghana» ma non necessariamente aderente ai principi democratici di stampo occidentale. La formazione di una società civile potrà avvenire grazie ai contatti con l’esterno: opportunità professionali, accesso al’istruzione superiore, ecc.
Se futuro deve essere questo potrà essere frutto solamente del contributo (e sacrificio) delle generazioni più giovani e guadagnando la fiducia dei rappresentanti delle comunità locali attraverso investimenti a lungo termine da parte della Comunità internazionale.
La situazione attuale è caratterizzata da:
• Instabili equilibri interni e condizione di guerra civile;
• Contrapposizioni ideologiche e assenza dello Stato;
• Vivacità intellettuale tra le generazioni più giovani e tra le donne, limitata alle realtà urbane più importanti;
• Limitata ma significativa partecipazione politica a livello locale;
• Debole partecipazione al processo democratico, limitato ai centri urbani e a poche aree rurali;
• Ridotta libertà di espressione.
Il «progresso dell’Afghanistan», appoggiandosi su solide basi urbane, deve partire dunque dalle aree rurali; è necessario procedere all’avvio del processo di costruzione della coscienza nazionale ottenibile, sul lungo termine, attraverso:
• Intervento dello Stato e della Comunità internazionale nel processo di educazione e sviluppo (sociale ed economico);
• Riconoscimento dei poteri locali come «soggetti mediatori»;
• Costruzione di una coscienza nazionale e statale nel rispetto delle tradizioni culturali;
• Smilitarizzazione della società (no alle milizie tribali);
• (Ri)costituzione di forze di sicurezza davvero nazionali;
• Inclusione delle associazioni/istituzioni non governative nei «dialoghi afghani», al fianco dei rappresentanti tradizionali.
4 ottobre 2010
Lo Stato è debole, manca vitalità politica e le mobilitazioni di massa avvengono in forma di protesta per lo più a ingerenze esterne: più per contrapporre che per proporre.
La società dell’Afghanistan è variegata al punto tale da rendere inappropriata la stessa classificazione di «afghana»; si tratta piuttosto di senso di appartenenza etnica, tribale e non a Stato e nazione: una società civile di stampo conservatore, frutto di sovrapposizione e sopravvivenza di costumi e tradizioni che ne regolano ritmi e dinamiche interne, ma con possibilità di apertura verso un cambiamento moderato e mediato.
L’Afghanistan si divide in due macro-realtà: urbana e rurale. La prima può assurgere a campione di «società civile limitata», la seconda è parzialmente esclusa da questo tipo di fenomeno. Il problema che si pone a un osservatore esterno è quello di riuscire a scindere le due realtà e di non incappare nell’errore, diffuso, di confondere la situazione generale con quella delle aree urbane. Il distinguo è necessario. Non esiste un Afghanistan da un punto di vista sociale, esistono differenti realtà all’interno di un confine geografico.
Herat, Kabul, Mazar-i Sharif sono luoghi in cui la partecipazione sociale si fa sentire, seppur debolmente. Kandahar e altri centri urbani del sud-est sono caratterizzati da spinte di «reazione», tra adeguamento allo status quo e volontà di muovere verso riforme a base locale.
Nelle realtà rurali vi sono forti limitazioni allo sviluppo di una società civile che trascenda da gerarchie e costumi tradizionali; sebbene questo possa apparire come limite, in realtà esso offre buone potenzialità sul lungo termine di poter sostenere un processo di «pacificazione afghana» ma non necessariamente aderente ai principi democratici di stampo occidentale. La formazione di una società civile potrà avvenire grazie ai contatti con l’esterno: opportunità professionali, accesso al’istruzione superiore, ecc.
Se futuro deve essere questo potrà essere frutto solamente del contributo (e sacrificio) delle generazioni più giovani e guadagnando la fiducia dei rappresentanti delle comunità locali attraverso investimenti a lungo termine da parte della Comunità internazionale.
La situazione attuale è caratterizzata da:
• Instabili equilibri interni e condizione di guerra civile;
• Contrapposizioni ideologiche e assenza dello Stato;
• Vivacità intellettuale tra le generazioni più giovani e tra le donne, limitata alle realtà urbane più importanti;
• Limitata ma significativa partecipazione politica a livello locale;
• Debole partecipazione al processo democratico, limitato ai centri urbani e a poche aree rurali;
• Ridotta libertà di espressione.
Il «progresso dell’Afghanistan», appoggiandosi su solide basi urbane, deve partire dunque dalle aree rurali; è necessario procedere all’avvio del processo di costruzione della coscienza nazionale ottenibile, sul lungo termine, attraverso:
• Intervento dello Stato e della Comunità internazionale nel processo di educazione e sviluppo (sociale ed economico);
• Riconoscimento dei poteri locali come «soggetti mediatori»;
• Costruzione di una coscienza nazionale e statale nel rispetto delle tradizioni culturali;
• Smilitarizzazione della società (no alle milizie tribali);
• (Ri)costituzione di forze di sicurezza davvero nazionali;
• Inclusione delle associazioni/istituzioni non governative nei «dialoghi afghani», al fianco dei rappresentanti tradizionali.
4 ottobre 2010
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