di Claudio Bertolotti
Primavera 2013. La bella stagione segna l’inizio dell’offensiva
insurrezionale e della coltivazione di oppio: due fattori strettamente
correlati anche nella provincia di Herat – area di operazioni del
contingente italiano –, dove i talebani sono legati da un rapporto di
collaborazione-competizione con i “warlord” e i “druglord” locali, e con
le molteplici organizzazioni criminali.
Un recente report dell’Onu confermerebbe la correlazione tra la
scarsa assistenza all’agricoltura e la coltivazione dell'oppio: i
villaggi più 'abbandonati' ne produrrebbero di più rispetto a quelli che
avrebbero ricevuto incentivi.
Nel complesso, le province di Farah, Baghdis e Nimroz sono quelle
in cui è stato registrato un incremento moderato nella produzione di
oppio, mentre un aumento significativo ha caratterizzato la provincia di
Herat (area di Shindand).
In sintesi, riporta lo studio dell’Onu, le aree rurali
classificate come “meno sicure” hanno una probabilità maggiore di
coltivare l’oppio di quelle con migliori condizioni di sicurezza.
Le comunità rurali periferiche, dovendo scegliere tra il debole
governo afghano e gli insorti, sulla base dei benefit e delle politiche
adottate dall’uno e dagli altri, tenderebbero ad optare per la parte che
è davvero in grado di sostenere l’economia locale.
I talebani si sarebbero così avvicinati alla popolazione civile con
fine ed efficace azione di convincimento e propaganda, ma anche
attraverso delle risposte concrete ai bisogni immediati di comunità ai
margini di uno Stato a rischio di fallimento.
I numeri di questo fronte non secondario del conflitto afghano ci
descrivono una situazione molto critica, tanto sul piano della sicurezza
quanto su quello del disagio sociale.
L’Afghanistan produce il 90% di tutte le droghe oppiacee al
mondo, sebbene sino a tempi recenti non ne fosse un importante
consumatore.
Al contempo, in un anno la produzione di eroina è aumentata del
18%, portando da 131.000 a oltre 154.000 gli ettari di terreno agricolo
dedicati alla coltivazione del papavero da oppio.
Secondo l'United Nations Office on Drugs and Crime (UNODC), i
talebani sarebbero attualmente in grado di ricavare economicamente dalla
droga più di quanto non lo fossero durante il regime del loro Emirato
islamico negli anni Novanta: un business che garantirebbe
all’insurrezione entrate più che necessarie a sostenere una "macchina da
guerra" funzionale ed efficace, tanto sul piano militare quanto su
quello politico-economico.
Secondo stime della Nato, metà dei fondi a disposizione dell’insurrezione proverrebbe proprio dal narcotraffico.
Oggi l’economia afghana dipende, quasi esclusivamente, da due fonti
di reddito: gli aiuti concessi dalla comunità internazionale e il
traffico dell’oppio.
Il paese, con una popolazione teorica di 35 milioni di abitanti,
presenta un preoccupante livello di tossicodipendenza: oltre un milione
di individui – poco meno della metà (40%) sarebbero donne e minori.
Le ragioni di questo fenomeno?
Data l’elevata quantità, l’oppio è un diversivo a buon mercato –
meno di cinque euro/grammo (il prezzo dell’oppio grezzo è di poco
superiore ai 200 euro al chilogrammo): domanda e offerta si incontrano
sostenendosi vicendevolmente.
Se il ministero degli Interni afghano ha dimostrato incapacità nel
contrasto del narcotraffico, il collega alla Salute non ha potuto fare
di meglio finanziando complessivamente non più di 100 centri di
riabilitazione e disintossicazione, per un bacino di utenza di 2500
assistiti e un budget inferiore ai tre euro/anno per ognuno dei soggetti
in cura.
E' evidente l’inefficacia dello strumento sanitario, così come è
evidente l’assenza di una volontà strategica di limitare produzione e
commercio della materia prima.
Senza contare che sul piano dei vantaggi commerciali e
dell’investimento in tecnologie e attrezzature per la produzione, il
papavero non ha eguali.
Questo avrebbe portato due milioni e mezzo di persone, per lo più
contadini con le loro famiglie, a vivere oggi del raccolto di oppio; una
condizione destinata a rimanere invariata anche nel 2013.
A poco, o nulla, sono serviti i numerosi tentativi di sostituirlo
con altri prodotti agricoli: al fine di limitare la produzione di oppio,
nella seconda metà del 2010 sono state distribuite oltre 50 tonnellate
di bulbi di zafferano (a cura del Provincial reconstruction team
italiano di Herat), destinate alla coltivazione di almeno trenta ettari.
I risultati sono stati tutt’altro che soddisfacenti:
- produzione, lavorazione e mercato dello zafferano non sono stati sviluppati in maniera coordinata;
- l’assenza di specifici
processi di trattamento – causa della perdita di colore e profumo dello
zafferano – ne ha precluso la vendita all’estero (a fronte di una
sostanziale assenza di mercato interno);
- le vie di accesso ai mercati regionali e internazionali sono limitate e di difficile praticabilità;
- gli aiuti economici promessi
ai coltivatori afghani sono stati disattesi – convincendo molti di
questi a proseguire o a riavviare la coltura dell’oppio.
In sintesi, "l’offensiva dello zafferano" è fallita.
Anche sul piano politico-finanziario non sono stati ottenuti
risultati soddisfacenti, avendo mancato di raggiungere un obiettivo di
rilevanza strategica: il taglio del flusso di denaro – correlato al
narcotraffico – dalle organizzazioni criminali ai gruppi insurrezionali.
Circa il 15% del PNL afghano dipende dall’esportazione di droga, per un totale di 2,4 miliardi di dollari l’anno (fonte Onu).
E così, all’evidente impossibilità da parte della comunità
internazionale di contrastarne la produzione e il commercio, si unirebbe
l’interesse di alcuni istituti finanziari internazionali nella gestione
del denaro derivante dai traffici illeciti.
L’incremento nella produzione, incentivato anche dall’aumento del
prezzo di mercato, suggerisce che gli afghani starebbero concentrandosi
sui traffici illegali in previsione della probabile crisi economica che
potrebbe derivare dal disimpegno dei contingenti militari stranieri alla
fine del 2014.
Il rischio potenziale – a fronte del disimpegno internazionale a
cui farà seguito il passaggio di responsabilità alle impreparate forze
di sicurezza locali e al debole stato afghano – è che l’Afghanistan si
trasformi nel medio termine un 'narco-stato'.
caro Claudio,
RispondiEliminaLa nascita di un "narco - stato " segnerebbe, senza ombra di dubbio, la sconfitta e la vanificazione di tutti gli sforzi da parte della comunità internazionale, nel voler "risolvere" con metodologia occidentale situazioni antiche e atavici problemi presenti in tutta l'area ...
se pensiamo alle risorse impiegate, vedremmo bene che in fondo, se ci limitassimo a pagare lo "stipendio" ai coltivatori di oppio, pagheremmo sicuramente meno che mantenere una forza multinazionale in teatro, ma NON è questa la soluzione, ovviamente! che fare? Personalmente io, propugnatore strenuo del "soluzioni locali a problemi locali " comincerei a pensare di provare anche a risolvere localmente il problema che è alla base degli altri: la domanda interna di droga di "tutto ciò che non è Afghanistan" : è evidente che con un calo di domanda ci sarebbe un calo di offerta. su cosa potrebbero orientarsi poi i farmers afghani? e qui potrebbe innestarsi, forse in maniera più incisiva di quanto siano riusciti a fare finora le organizzazioni internazionali.
certo ridurre la domanda esterna di stupefacenti non è cosa facile, dato che si tratta di offrire alla popolazione mondiale, attualmente di fronte a una caduta di valori morali ed etici generalizzata, un qualcosa che validamente sostituisca i paradisi artificiali della mente legati al consumo di droga. ciò si potrebbe, forse, attuare mediante una "info - campaign" più incisiva, in ambito familiare, scolastico, eccetera, non solo mirata al "fa' attenzione che può far male!" ... trattasi, in ultima sintesi, di un approccio diverso, da considerarsi come tessera della "cultura" nel senso più ampio del termine.
Grazie per l'ottimo update!
Edgardo