di Claudio Bertolotti
Con l’avvicinarsi della transizione e al conseguente disimpegno
militare della Nato, aumentano le spinte dirette e indirette volte a
portare l’Afghanistan verso un processo di progressiva destabilizzazione
interna.
Ismail Khan, ricco e potente ex-mujaheddin e “warlord”, attualmente
ministro del governo afghano, ha manifestato preoccupazione e mancanza
di fiducia nei confronti dello stesso governo di cui fa parte e delle
forze di sicurezza nazionali (Ansf) chiamando a raccolta i suoi seguaci,
alleati e compagni di Herat al fine di creare una milizia di difesa
anti-taliban.
Una situazione paradossale e preoccupante al tempo stesso,
che mette in luce l’umore serpeggiante all’interno delle stesse
istituzioni afghane.
Le reazioni non sono mancate, così come le critiche e i riferimenti a
una potenziale escalation della violenza all’indomani del disimpegno
delle forze della Nato.
L'iniziativa di riorganizzare le milizie armate non rappresenta di certo una novità nel panorama afghano.
Le forze di polizia locale, (circa 13-20.000 uomini) volute e
sostenute dagli Stati Uniti, rappresentano un esempio di non-successo
nel complesso dei piani e delle attività avviate per garantire il
controllo del territorio e contenere il fenomeno insurrezionale, un
fallimento che ha contribuito al rafforzamento e alla legittimazione di
molti warlord.
La più grande preoccupazione è che queste milizie possano concorrere
alla destabilizzazione locale, ma ancor più ad acutizzare le già
profonde linee di demarcazione tribali, etniche e di fazione presenti
all’interno delle Ansf e che potrebbero accentuarsi all’indomani del
disimpegno della Nato.
In tale contesto, il timore non sarebbe quello di
un’escalation di violenza da parte dei taliban, bensì la frammentazione
delle Ansf e le ripercussioni sull’ipotesi di guerra civile.
Ciò che va attentamente preso in considerazione sono le potenziali
ripercussioni sul piano politico e sociale, in particolare sull’opinione
pubblica afghana.
Se da un lato non è possibile escludere la riaccensione di
contrasti di natura politica e, principalmente, etnica (per
semplificazione “pashtun” versus “non pashtun”) dalle conseguenze
tutt’altro che contenibili, dall’altro è bene considerare gli effetti
amplificati che tali prese di posizione avrebbero sulle conflittualità
latenti a cui si uniranno il generale e diffuso disagio e l’alto tasso
di disoccupazione.
In questa situazione gli attori regionali, in una sorta di gioco
degli equilibri instabili, tenteranno con buona probabilità di sostenere
i gruppi di potere affini in una forma di competizione parallela.
È dunque prevedibile che il disimpegno della Nato potrà essere
accompagnato da una sensibile intensificazione del conflitto che
porterebbe all’indesiderato, quanto difficilmente reversibile sul
breve-medio termine, effetto di guerra civile su più livelli alimentato
da competizione e scontro tra fazioni afghane e relativi supporter esterni.
Il rischio potenziale di una nuova fase di guerra civile afghana,
sostenuta dall’amplificazione degli scontri locali coinvolti e
proiettati in un più ampio e pericoloso conflitto transnazionale e
regionale, non è dunque da escludere.
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