Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

domenica 12 agosto 2012

Afghanistan. La conferenza di Tokyo e la transizione "irreversibile"



di Claudio Bertolotti

Nel gennaio del 2002, oltre sessanta nazioni e venti organizzazioni internazionali presero parte all’Afghanistan Recovery and Reconstruction Conference a Tokyo, promettendo circa due miliardi di dollari per quell’anno e più del doppio per il quinquennio successivo da destinare alla ricostruzione dell’Afghanistan.
Dieci anni dopo, l’8 luglio 2012, oltre settanta nazioni e organizzazioni internazionali si sono date appuntamento nella stessa città per definire i termini quantitativi dell’impegno internazionale nella fase «transizione» che ha seguito quella di una «stabilizzazione» dichiarata conclusa sul piano formale ma non certamente su quello reale. Non solo sicurezza: l’impegno collettivo si rivolgerà certamente al sostegno delle forze armate afghane ma principalmente ai progetti infrastrutturali e al supporto dello Stato afghano e alle sue esigenze in termini di sviluppo infrastrutturale e socio-economico.
Sedici miliardi di dollari, a tanto corrisponde l’impegno collettivo della Comunità internazionale nei confronti dell’Afghanistan per i prossimi quattro anni; uno sforzo economico non indifferente ma inversamente proporzionale all’impegno militare che progressivamente verrà ridimensionato da parte di tutti i componenti l’Alleanza, chi più e chi meno, sino al raggiungimento di un equilibrio di forze non ancora reso pubblico ma che dovrebbe consistere in 10-30.000 soldati. 
La prospettiva di un disimpegno significativo della Nato dal teatro operativo afghano porta a riflettere circa le possibili ripercussioni sul processo di pace e stabilizzazione dell’Afghanistan, sul ruolo dei gruppi di opposizione che si battono per il potere e sull’evoluzione della sicurezza a livello regionale e globale. La «transizione irreversibile» – come l’ha definita Obama – contribuirà alla stabilità del Paese o piuttosto ad alimentare un variegato conflitto armato interno?
La storia recente dell’Afghanistan induce a un’analisi orientata a non escludere il riaccendersi di intensi conflitti armati interni dopo il disimpegno della Nato, così come avvenne dopo il ritiro dei Sovietici alla fine degli anni Ottanta e successivi anni Novanta; è questo un quadro certamente non rassicurante che troverebbe riscontro nell’accesa conflittualità dei gruppi di potere – a cui si uniscono quelli di opposizione armata – pashtun e non-pashtun. Taliban ed ex Alleanza del Nord potrebbero dunque trovarsi nel breve periodo impegnati in un violento confronto dagli esiti tanto incerti quanto irreversibili.
Ciò che però appare confortante è l’apparente disponibilità di alcuni dei soggetti impegnati nei conflitti afghani a una soluzione negoziale e di compromesso; certo sono ancora pochi i risultati sinora raggiunti, ma si intravvede una qualche forma di apertura.
La riconciliazione nazionale, alla quale sono stati chiamati ad aderire tutti gli attori afghani coinvolti nel conflitto, può rappresentare una formula in grado di convincere se non tutti almeno una significativa parte dei concorrenti alla lotta per il potere; i vantaggi politici potrebbero essere equamente distribuiti, e con essi certamente quelli economici derivanti dallo sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie del sottosuolo afghano e dai diritti di passaggio delle pipeline. Un buon incentivo, tanto per cominciare, a cui si unirebbe l’impegno della Comunità internazionale a sostenere economicamente l’Afghanistan per i prossimi quattro anni.

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