di Claudio Bertolotti
Il summit trilaterale Pakistan-Afghanistan-Iran di febbraio – un’iniziativa tenutasi a Islamabad e focalizzata su lotta al terrorismo, politica regionale e collaborazione economica – ha messo in evidenza le criticità del processo di pace afghano. Molto è cambiato dal precedente summit del giugno 2011: in primis, il surge militare degli Stati Uniti ha dimostrato la sua inefficacia e, al contempo, le forze di sicurezza afghane sono ben lontane dagli obiettivi prefissati, compresa la capacità di assumere la responsabilità del controllo del territorio. In compenso il coinvolgimento politico degli stessi taliban lascia intravvedere un possibile futuro scenario per l’Afghanistanpost-2014. Mentre gli Stati Uniti accelerano verso l’uscita dal conflitto, i taliban pregustano la propria vittoria insieme al Pakistan, pronto a intervenire al momento opportuno difendendo al tempo stesso gli interessi nazionali e riallacciando i rapporti privilegiati con Washington. Tale contesto pone il Pakistan in una posizione privilegiata per il finale della partita afghana poiché offrirebbe a Islamabad una straordinaria opportunitàdi essere protagonista, e non comparsa, nel processo di pace, inserendosi nella fase negoziale avviata dagli Stati Uniti in Qatar; e questo nonostante il raffreddamento delle relazioni con Washington dell’ultimo anno e a scapito del ruolo di Karzai, divenuto progressivamente secondario per Islamabad. Un Pakistan che, in relativa controtendenza, si è aperto al dialogo anche con i gruppi di potere non-pashtun (leggasi ex Alleanza del Nord) pur di contrastare la (ri)nascita di un efficace fronte anti-taliban e con l’obiettivo di approfittare di una mutata situazione regionale che vede transitare per Kabul le attenzioni – e gli interessi – di Russia, Iran e degli Stati dell'Asia centrale. In questi termini, Islamabad ha indirizzato il summit trilaterale in modo tale da dare vita a un’«iniziativa regionale» che possa garantire, pur mantenendo con Washington un atteggiamento di conciliante collaborazione, un proprio ruolo determinante nell’ipotesi di un consistente disimpegno degli Stati Uniti. In linea con questa politica rientrerebbe l’atteggiamento vagamente ambiguo per quanto concerne i progetti legati alle risorse energetiche regionali, come l’Ipi (che coinvolgerebbe anche l’Iran) e il più probabile Tapi (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) sostenuto anche da Washington, e agli accordi commerciali (tra i quali il Transit con i paesi dell'Asia centrale, siglato con il diretto coinvolgimento degli Stati Uniti). Per contro, anche i rapporti con l’Iran si sono ulteriormente rafforzati. Proprio il Pakistan, parallelamente alla discussione di importanti progetti di fornitura energetica, ha proposto una formula di collaborazione commerciale con Teheran al fine di eludere le sanzioni punitive volute dagli Stati Uniti. Insomma, il Pakistan è riuscito nel tentativo di inserirsi a un livello intermedio della politica regionale che gli consentirebbe di dialogare con tutti gli attori direttamente o indirettamente coinvolti nel conflitto afghano, divenendo al contempo soggetto necessario ai fini della strategia a breve termine degli Stati Uniti. Lo ha ben compreso Karzai, che nulla è riuscito a ottenere di quanto richiesto a Islamabad in termini di azioni concrete ed efficaci per agevolare un dialogo intra-afghano tra il governo di Kabul e il movimento taliban. L’opzione pakistana si presenta dunque come una soluzione dal doppio binario. Il primo vedrebbe il Pakistan svolgere una funzione da intermediario privilegiato tra le parti in causa; il secondo, ammesso che la prima opzione possa non ottenere gli effetti desiderati, vedrebbe proprio nell’«iniziativa regionale» il giusto compromesso in grado di consentire al Pakistan di giocare in un ruolo, anche in questo caso, di primo piano.
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