Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

mercoledì 24 marzo 2010

Dialoghi afghani: come reagiranno i radicali?

La grave situazione sociale ed economica in cui versa l’Afghanistan è ulteriormente aggravata dal problema della sicurezza interna. I risultati negativi attribuiti al presidente Hamid Karzai in questi anni (ma di politica negativa tout court non è corretto parlare) hanno avuto forti ripercussioni sulla politica governativa centrale, sempre più lontana da un effettivo esercizio di potere. Parlare di sicurezza è un eufemismo, il governo centrale è stretto nella morsa tra gruppi di opposizione e necessità del supporto militare dell’Occidente. Gli aiuti economici provenienti dall’esterno sono una necessità imprescindibile e la lotta al narco-traffico è solo un progetto.
In questa situazione il presidente Hamid Karzai è riuscito a mantenere un’apparenza di relativo controllo, per quanto questa stabilità precaria non possa durare a lungo. La svolta necessaria è stata identificata nella parziale riconciliazione con elementi del passato regime e con una loro integrazione nell’organizzazione dello Stato; in tale contesto non ha sorpreso il tentativo di avvicinamento e dialogo con i maggiori attori della vicenda afghana: Hekmatyar e i Taleban.
Mentre il primo ha avanzato direttamente una proposta di riconciliazione, dopo essere stato espulso dall’Iran che lo ospitava, i secondi hanno ricevuto un’offerta di dialogo da parte del presidente afghano in conseguenza della continua pressione sulla sicurezza interna del Paese. Per quanto non confermato o ufficializzato, risalirebbero già alla fine del 2007 i primi negoziati intrapresi tra i rappresentanti del governo di Kabul – tra i quali il fratello del presidente, Qayum Karzai – e delegati del mullah Omar. A tali incontri sarebbero intervenuti due membri della famiglia di Karzai e rappresentanti dei Taliban afghani e pakistani con la collaborazione e il supporto di alcuni alti ufficiali dell’Isi pakistano.
Tale “avvicinamento”, per quanto tra gli stessi Taliban abbia creato ulteriori divergenze di opinioni, può essere considerato come il frutto della politica lungimirante messa in atto da Karzai che già da molto tempo ha assegnato cariche istituzionali, in punti chiave dell’area a maggior influenza talebana, proprio a rappresentanti del passato regime. Ciò potrebbe consentire, in un futuro non meglio definito, una relativa stabilizzazione dell’area oppure, cosa che ritengo molto probabile, una tendenza verso posizioni radicali della politica interna del Paese.
Ma al momento la scelta dell’assimilazione pare essere l’unica via d’uscita da una situazione non più gestibile altrimenti. Il dialogo, unito al compromesso, potrebbe portare a un risultato accettabile. Non è da escludere al tempo stesso che la politica americana del tempo di Bush, dimostratasi non in grado di risolvere “la questione afghana” seguendo la via militare, abbia optato per questa sorta di “dialogo tra pashtun” pur di rendere sicura l’area appoggiando, o meglio, suggerendo quest’iniziativa al presidente Karzai sul quale, in caso di fallimento, sarebbe ricaduta ogni responsabilità. La politica del successore alla presidenza statunitense, Barack Obama, ha invece optato per un concreto avvio del metodo di dialogo – coraggiosa ed ultima chance di compromesso – basato sull’intesa tra afghani. Contrario a questa politica sarebbe però il segretario generale dell'Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva – «l'anti-Nato» a guida russa comprendente, oltre a Mosca, Armenia, Bielorussia, Kazakistan, Kirgistan, Tagikistan e Uzbekistan – che invece vedrebbe nel dialogo «con le tribù e le diverse fazioni, ma non con i Taliban» una possibile via d’uscita.
In un’intervista del 2008, il generale Hamid Gul – ex capo dell'Isi pakistana –ha espresso la sua opinione in base alla quale i Taliban, che hanno partecipato alla serie di colloqui mediati da re Abdallah in Arabia Saudita con rappresentanti del governo afghano, sarebbero «solo esponenti della vecchia guardia, senza più legami diretti con gli attuali comandanti, primo fra tutti il mullah Omar, leader dei taliban» con cui invece si dovrebbe parlare.
I capi Taliban di medio/basso livello potrebbero in effetti trarre vantaggio da questo tentativo di riconciliazione e “perdono” per quanto una domanda importante non ha ancora trovato una risposta soddisfacente: come reagiranno i radicali? Come ho già detto, per questi il compromesso non esiste e per certo non rinunceranno alla battaglia ingaggiata. Ma una accorta e cauta politica del compromesso, basata sul coinvolgimento delle tribù nel processo di ricostruzione politica del Paese e nel rispetto delle gerarchie sociali tradizionali, potrebbe portare ad una loro emarginazione da parte di quei “moderati” propensi ad una tregua. Una soluzione “totalmente indolore” non è al momento ipotizzabile, tutto sta nel pesare attentamente i rischi e le opportunità della politica del dialogo. L’Afghanistan, si sa, è tutto e il contrario di tutto.

Claudio Bertolotti
25 novembre 2009

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