A
meno di un anno dalla conquista di Mosul, seconda più grande città del vecchio
Iraq, l’ISIS continua la sua strategica espansione dal Syraq a tutto il Grande
Medio-Oriente, dalla Libia all’Afghanistan, attraverso una politica
apparentemente inclusiva delle rivendicazioni e delle ambizioni dei gruppi
insurrezionali, terroristici, e di opposizione armata che abbiano accettato di
riconoscersi nello Stato islamico guidato da Abu Bakr al-Bagdadi.
L’obiettivo
dell’ISIS è l’abbattimento dei vecchi confini imposti dall’occidente il secolo
scorso e il ristabilimento del califfato islamico attraverso la
destabilizzazione dell’area mediorientale. Inoltre, anche nel sub-continente
indiano, l’ISIS si contrappone a un’al-Qa’ida che sembra aver ripreso energia
proprio con la comparsa del nuovo competitor; un competitor che è alla ricerca
di ulteriori basi operative e nuovi alleati: in questo modo Pakistan e Afghanistan
sono entrati a pieno titolo nella strategia della violenza dello Stato Islamico
che si è imposto nel sub-continente indiano attraverso il brand “ISIS Wilayat Khorasan”.
Dopo
la comparsa in Libia, con l’attacco suicida al Corinthia Hotel di Tripoli nel
mese di gennaio, l’ISIS si è imposto formalmente in Afghanistan attraverso
l’azione portata a termine da un commando-suicida
che, il 18 aprile, ha ucciso 34 persone ferendone altre 125 a Jalalabad,
capoluogo della provincia di Nangarhar, nell’est dell’Afghanistan.
Capacità tecnica e
volontà offensiva
Quello
a cui assistiamo è un aumento degli attacchi suicidi sui piani quantitativo, qualitativo
e geografico. Dalla Libia, all’Afghanistan, passando per il Syraq, gli attacchi
suicidi si sono imposti come tecnica vincente sotto differenti punti di vista;
questo al di là degli effettivi risultati sul campo di battaglia.Vediamo come e
perché.
L’aumento
della frequenza degli attacchi suicidi e la loro diffusione geografica sono chiari
indicatori dell’accresciuta capacità ed esperienza tecnica e della permeabilità
dei teatri operativi a gruppi insurrezionali esogeni. Ciò mostra quanto sia
maturata nel tempo la consapevolezza dell’utilità di tale tecnica in un’ottica
strategica di opposizione e non semplicemente come tattica sul campo di
battaglia. In tale quadro si configurerebbe un processo evolutivo del fenomeno
giunto ai giorni nostri attraverso un’amplificazione dell’offensiva sempre più
spettacolare e strutturata, oltre che capace di adattarsi molto velocemente
alle contromisure messe in atto dalle forze di sicurezza.
La
competizione tra gruppi insurrezionali differenti, a cui contribuiscono le
dinamiche derivanti dal cambio generazionale ai vertici degli stessi, sarebbe
all’origine dell’introduzione di tecniche nuove e sempre più spregiudicate: dai
più semplici attacchi uomo-bomba/auto-bomba ai più complessi e strutturati commando-suicidi (supportati da unità di
combattimento convenzionale), al più recente utilizzo in Syraq di veicoli
blindati dall’alto potenziale esplosivo e dirompente utilizzati per lo
sfondamento delle linee di sicurezza.
Successo o fallimento:
quali i risultati?
Gli
attacchi suicidi hanno confermato di essere una tecnica vincente su differenti
piani.
Innanzitutto
sul piano mediatico. Anno dopo anno i gruppi di opposizione armata hanno saputo
convogliare l’attenzione massmediatica, prima sul conflitto afghano e poi su
quello in Syraq, attraverso una razionale regia strategica incentrata su azioni
mediaticamente appaganti come gli attacchi suicidi multipli (commando); questo indipendentemente dal
risultato «tattico» raggiunto.
In
secondo luogo, hanno ottenuto risultati positivi sul piano della funzionalità
operativa dove l’approccio razionale dei gruppi di opposizione ottiene come risultato
tangibile il cosiddetto «blocco funzionale» (o «stop operativo»): danneggiamento
di veicoli e installazioni, ferimento di addetti alla sicurezza, limitazione della
capacità di manovra, riduzione del vantaggio tecnologico e del potenziale
operativo. I risultati sono tangibili e, nel periodo 2011-2014, gli
attacchi hanno
ottenuto un successo relativo (il blocco funzionale) in media nel 78%
dei casi.
I risultati
conseguiti a danno delle forze di sicurezza ne confermano la validità; e dunque
per questa ragione la tecnica è stata utilizzata e affinata. Inoltre, ciò che
si evince da un’analisi complessiva è che i gruppi di opposizione, grazie a un
buon livello di information-sharing sono oggi in grado di condividere molto
velocemente le nuove tecniche e tattiche.
Stando
così le cose, l’impatto della tecnica suicida contribuirà a rendere più onerosa
la missione di contrasto all’ISIS e i suoi affiliati?
I
risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre
meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E, in
fatto di aggiornamento e adeguamento, i gruppi di opposizione tendono ad
anticipare le forze di sicurezza: aumentare la capacità offensiva e il
potenziale distruttivo di un attacco suicida è più veloce ed economico che non
progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi).
Se
sul piano propriamente militare si può quindi affermare che la rilevanza delle
azioni suicide è significativa, è altresì evidente l’efficacia nell’attività di
reclutamento degli aspiranti attaccanti. In sintesi:
-
a livello strategico gli attacchi
suicidi hanno ottenuto l’attenzione dei media regionali e internazionali nel
78% dei casi mentre le azioni multiple/commando
hanno ottenuto un’attenzione mediatica pari al 100%.
-
a livello operativo gli attacchi hanno
causato il blocco funzionale delle forze di sicurezza in sette casi su dieci
(73% in media).
-
Infine, a livello tattico il successo è
pari, nel 2011, al 57% dei casi a fronte di un 36% di atti formalmente
fallimentari, mentre il 2014 si è stabilizzato su una percentuale di successo
del 54% e di fallimento del 30%.
Gli
attacchi suicidi hanno dunque una rilevanza significativa tanto a livello
operativo (limitazione della funzionalità operativa delle forze di sicurezza)
quanto sul piano mediatico; quest’ultimo sfruttato a fini
politico-propagandistici. Si può dunque parlare di strategia politico-militare
i cui veri obiettivi consisterebbero prioritariamente in:
1.
attrarre l’attenzione mediatica al fine
di influenzare le opinioni pubbliche, locali e straniere;
2.
concorrere a imporre una condizione di stress operativo (in particolare
attraverso il «blocco funzionale»);
3.
creare uno stato di insicurezza generale
con ripercussioni su opinione pubblica, piano sociale interno e lotta per il
potere a livello locale.
Valutazioni previsionali
Il
continuo mutare e adeguarsi delle tecniche e delle procedure operative confermano
la razionalità strategica di fondo.
Costi
contenuti ed effetti immediati e amplificati sono i punti di forza alla base
degli attacchi suicidi; una tecnica che, limitatamente contrastata e
contrastabile, continuerà a contribuire al raggiungimento di significativi risultati
a livello strategico, operativo, e non trascurabili sul piano tattico.
Sul
piano qualitativo, il 2014 si è dimostrato essere l’anno dei maggiori risultati
ottenuti dai gruppi di opposizione armata attraverso la spettacolarizzazione degli
attacchi suicidi: aumento del blocco funzionale, incremento nel numero di
uccisi e maggiore attenzione mediatica.
In
conclusione – rimandando per un approfondimento all’articolo che verrà
pubblicato sul secondo numero di “Sicurezza,
Terrorismo e Società” – possiamo valutare come altamente
probabile già nel breve-medio periodo un’evoluzione incrementale degli attacchi
suicidi sia sul piano quantitativo-qualitativo sia su quello geografico.
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