Gli Stati dell’Asia centrale, riunitisi
a Beijing agli inizi di giugno, hanno dichiarato
di volersi impegnare per assumere un ruolo significativo nel processo di
stabilizzazione dell’Afghanistan in previsione del disimpegno formale delle
truppe internazionali a partire dal 2014; la Cina, ovviamente, ambirebbe al
ruolo di Paese guida.
Il prossimo passo del blocco della Shanghai Cooperation Organization (SCO)
– comprendente
Cina, Russia, e quattro attori dell’Asia
centrale – appare orientata verso una comune politica economica e di sicurezza
che si manifesterà formalmente in regolari riunioni di coordinamento ed
esercitazioni militari congiunte finalizzate alla lotta ai movimenti
separatisti, gli estremismi religiosi e il traffico di droga; insomma un
biglietto da visita politicamente esplicito e mediaticamente accattivante. A
ciò va ad aggiungersi la posizione – palesata dalla Cina attraverso una
dichiarazione del Presidente Hu Jintao sul giornale di Stato, People's Daily – chiaramente anti
intromissione di attori esterni non regionali (i riferimenti sono espliciti) e
a favore di un ruolo forte della stessa SCO.
Come ciò verrà messo in atto ancora non
è chiaro; ciò che invece è evidente è l’impegno di Cina e Russia nel dirigere
l’Organizzazione verso un’attività diplomatica e politica volta a limitare e
progressivamente ridurre l’influenza statunitense nella regione considerata, a
buon titolo, di competenza «locale». Un interessante esercizio diplomatico
funzionale all’opera di avvicinamento tra Mosca e Beijing anche sul piano della
cooperazione militare e della politica internazionale (a tal proposito è
sufficiente ricordare come i seppur tiepidi rapporti tra i due soggetti siano
stati in grado di controbilanciare il peso statunitense nella questione
siriana).
La Russia e i suoi alleati satelliti –
Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan, ma non il Tagikistan – si sono così
fatti parte attiva nell’agevolare l’uscita delle truppe internazionali
impegnate in Afghanistan alle quali il Pakistan ha – al momento e in maniera
plateale – chiuso le porte di ingresso e uscita; mentre degna di nota è la
riflessione sul futuro delle operazioni militari interessanti la base aerea
Kirghisa di Manas, al centro di un vivace dibattito concentrato sul ruolo delle
basi strategiche degli Stati Uniti nella regione.
La Cina, confinante con l’Afghanistan
attraverso uno stretto lembo di terra, è però il più dinamico e intraprendente
tra gli attori regionali (e non solo quelli) interessati alle potenzialità
economiche e agli sviluppi afghani. E tra le speranze di Kabul – con
particolare riferimento al disimpegno statunitense e alla conseguente riduzione
di investimenti occidentali in conseguenza del disimpegno militare – vi è proprio
un interessamento cinese verso le risorse minerarie ed energetiche del
sottosuolo afghano; un interesse che, in verità, la Cina non ha mai tenuto
nascosto ma che, da sempre, è stato fortemente vincolato alla sicurezza e alla
stabilità dell’Afghanistan. Oggi, con l’accesso dell’Afghanistan nella SCO in
qualità di osservatore, i primi passi verso questo coinvolgimento attivo degli
attori regionali sono stati fatti così come è stata formalmente avviata la
cooperazione a livello economico e per la sicurezza.
Da mille a tremila miliardi di dollari:
tanto è stato stimato il valore del sottosuolo afghano; e la Cina, prima e
meglio di tutti, ha saputo muoversi per aggiudicasi importanti ed esclusivi
contratti. La National Petroleum Corp. è stata la prima compagnia di Stato
cinese ad aver ottenuto il diritto di effettuare prospezioni per la ricerca di
gas e petrolio, tre anni dopo l’autorizzazione ottenuta dalla China
Metallurgical Construction Co. per lo sfruttamento dei giacimenti minerari di
Aynak, nella provincia di Logar. A corollario del’impegno verso le risorse del
sottosuolo, la Cina ha avviato significativi e politicamente appaganti
investimenti nel processo di ricostruzione dell’Afghanistan, attraverso
progetti di sostegno allo sviluppo economico locale, attività di sostegno,
addestramento ed equipaggiamento di unità militari e organizzazioni governative
e, ancora, investimenti infrastrutturali e nell’educazione; insomma un ruolo di
primo piano ed estremamente raffinato per un attore che non ha neppure un soldato
impegnato nella lunga guerra afghana.
Anche la Russia, nel suo piccolo, ha
voluto dare un contributo significativo sul piano del sostegno allo sviluppo
afghano e lo ha fatto attraverso la ricostruzione e riattivazione delle
centrali elettriche e delle dighe costruite in epoca sovietica impegnandosi al
tempo stesso in attività di ricerca ed estrazione delle risorse minerarie del
sottosuolo – in questo ponendosi come competitor nei confronti della Cina – e,
contemporaneamente, implementando le proprie capacità intelligence in
Afghanistan con il fine ufficiale di contrastare con efficacia il narcotraffico
verso la stessa Russia.
Volendo considerare quello attuale come
un possibile processo di costruzione di un’«identità asiatica», è evidente
quanto ciò non possa di certo rappresentare un risultato auspicabile sullo
scacchiere geopolitico disegnato dagli Stati Uniti. Ma la realtà dei fatti, o
almeno ciò che appare evidente – al di là dei risultati sinora ottenuti – è il
ruolo sempre più significativo e di primo piano che la SCO starebbe definendo
per sé stessa nella successiva fase delle competizioni afghane.
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