Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

Visualizzazione post con etichetta attentato kabul. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta attentato kabul. Mostra tutti i post

sabato 3 giugno 2017

Afghanistan: cambiano i tempi, non cambia il paese

L'#Afghanistan è la guerra persa in cui stiamo affondando.
Quella afghana è una guerra che vede impegnata la NATO da oltre 16 anni ed è costata più di 115 miliardi di dollari. E il risultato non è incoraggiante, con un paese in uno stato di guerra cronico che è caratterizzato da limiti strutturali di governabilità derivanti da una diarchia di potere, dove il fronte insurrezionale controlla il 45% del territorio (ma il governo non è in grado di controllare il restante 55%) e dove i civili uccisi e feriti nel 2016 rappresentano il più elevato numero di sempre: 11.418.
E’ un Paese dove ancora le forze di sicurezza non sono in grado di contrastare il fenomeno insurrezionale, nonostante i 68 miliardi di dollari spesi solo dagli Stati Uniti per l’assistenza all’esercito e alla polizia afghani, con l’economia dell’oppio che continua a essere l’unica in crescita, insieme alla corruzione, tra le più elevate al mondo, e l’incontrollata gestione dei fondi internazionali. Questa è la situazione in cui si trova oggi l’Afghanistan.
In Afghanistan cambiano i tempi, non cambia il paese, ma peggiora la situazione per i civili.

domenica 12 febbraio 2012

Diplomazia e propaganda

Anche i taliban si interessano agli sviluppi di politica interna e relazioni internazionali. E infatti non hanno perso tempo giungendo a dichiarare formale vittoria attraverso il loro sito internet.

L’Emirato Islamico dell’Afghanistan, affermano i taliban, «ha dimostrato al mondo intero di essere uno Stato funzionale ed efficace, tanto sul piano politico quanto su quello militare». E proprio questa presunta capacità li indurrebbe a «non accettare imposizioni provenienti da potenze che, dopo una guerra più che decennale, hanno dovuto cambiare politica strategica ammettendo l’impossibilità di poter assoggettare gli afghani».

Quello che emerge dalle parole dei taliban – che si definiscono «non fenomeno tribale ma movimento ideologico e nazionale in grado di imporre e gestire un processo politico definito e pragmatico – è l’orgoglio di una cultura indipendente, poco propensa a soluzioni imposte e ben decisa ad affrontare il problema anche a costo di pesanti sacrifici» pur di giungere a soluzioni di compromesso che apriranno la strada, con molta probabilità, ad altre rivendicazioni e pretese.

Nel frattempo, è tornato a far parlare di sé anche un altro attore storico delle passate e presenti battaglie afghane, Gulbuddin Hekmatyar, il quale, in conclusione della propria analisi, ha sentenziato il fallimento della guerra statunitense in Afghanistan e l’illegittimità della Strategic Partnership Stati Uniti-Afghanistan.

mercoledì 7 dicembre 2011

Radio Onda d'Urto. L’eccezione del Lashkar-e-Jhangvi: i cinquantotto sciiti morti a Kabul. Intervista a C. Bertolotti

di Claudio Bertolotti

Ascolta l'intervista su Radio Onda d'Urto


Il sangue continua a scorrere anche nella giornata in cui gli sciiti celebrano l'Ashura, il martirio del nipote del profeta Maometto, Hussein, nella battaglia di Kerbala del 680. Il 6 dicembre 2011 un doppio attentato scuote l'Afghanistan. E' di cinquantotto morti il primo bilancio dell'attacco, più di cento i feriti, tra questi donne e bambini in gravi condizioni. L'esplosione ha avuto luogo all'ingresso di uno dei santuari della capitale afghana, dove si celebrava l'Ashura, festa sacra per gli sciiti; contemporaneamente altre quattro persone perdevano la vita nella città di Mazar-i-Sharif a seguito di un altro attentato esplosivo.
L’attentato, condannato dal presidente afghano, dalle nazioni Unite, dal comando Isaf e dagli stessi taliban, è stato rivendicato dal gruppo Lashkar-e-Jhangvi, un movimento pakistano di opposizione armata sunnita di orientamento deobandi nato nel 1996 da una costola di un altro importante soggetto politico radicale pakistano, il Sipah-e-Sahaba (SSP). Il Lashkar-e-Jhangvi, classificato come “organizzazione terrorista” da Pakistan e Stati Uniti, che ha principalmente indirizzato i propri attacchi contro la comunità sciita pakistana ed è giunto agli onori della cronaca per un tentativo di assassinio del primo ministro pakistano Nawaz Sharif nel 1999, è un gruppo radicale che che vanta legami con i principali gruppi di opposizione armata a livello regionale, dai taliban, ad Al-Qaida, all’IMU – il movimento islamico per l’indipendenza dell’Uzbekistan – e gode dell’ospitalità dei taliban in territorio afghano, un ospitalità che porta a un fruttuoso e reciproco sostegno tra i due soggetti.
La situazione afghana a partire dalla fine del 2001 – anno dell’abbattimento del regime taliban – si è visibilmente deteriorata. La missione internazionale Isaf, e con essa la Nato, non ha raggiunto i suoi obiettivi ed è ormai chiaro che non è più possibile «vincere questa guerra»; si tratta piuttosto di giungere a una soluzione politica di compromesso tra le parti e «ridurre l'insurrezione a un livello gestibile, in modo che possa quindi essere contenuta dall'esercito afghano» sostenuto da una ridotta presenza militare straniera.
Dal 2008, i gruppi di opposizione sono tornati a essere in grado di operare militarmente in una porzione di territorio pari al 72% dell’intero Afghanistan, mentre una "concreta" attività insurrezionale è stata registrata nel 21% del Paese. Oggi, il Paese, vede un relativa libertà di azione dei taliban su circa l’80% del territorio afghano.
Il fenomeno degli attacchi suicidi ha fatto la sua prima comparsa in Afghanistan nel 2001 e, in maniera progressiva e incontenibile, si è diffuso a macchia d’olio in tutte le province del Paese; inizialmente concentrata nelle aree pashtun (di professione religiosa sunnita), si è gradualmente imposto anche in quelle zone contraddistinte da una forte presenza non-pastun. Perché ciò sia avvenuto può trovare una possibile risposta nella situazione politico-sociale-militare interna del Paese, così come nella significativa ingerenza di organizzazioni radicali esogene. Tra le quali anche gruppi pakistani come Lashkar-e-Toiba e, appunto, Lashkar-e-Jiangvi.
Gli attacchi del 6 dicembre vanno ad inserirsi in un sempre più ampio gioco di destabilizzazione regionale che i singoli gruppi, in una condizione che possiamo definire di competizione collaborativa, stanno portando avanti da diverso tempo. Certo è che questi attacchi e la partecipazione del gruppo Lashkar-e-Jiangvi rappresentano – almeno al momento – un’eccezione nella migliore delle ipotesi o, nella peggiore, un ulteriore inasprimento del conflitto che si presenta come sempre più inarrestabile. Così come non è escluso che gli attacchi possano essere una sorta di risposta, in primis, alla discussa Loya Jirga che ha “agevolato” gli accordi di Strategic Partnership tra Afghanistan e Stati Uniti e, in secondo luogo, alla Seconda conferenza di Bonn che si è appena conclusa. (ascolta l'intervista su radio Onda d'urto)