Ucciso da un nemico in uniforme dell’esercito afghano: così è morto il 18 gennaio 2011 in Afghanistan, in uno sperduto avamposto della zona di Bala Murghab, l’alpino Luca Sanna, 33 anni, di Oristano, mentre un altro è rimasto ferito in modo molto grave.
Il fatto è avvenuto alle 12.05 italiane, nell’avamposto Highlander, a circa 10 chilometri dalla base italiana Columbus di Bala Murghab dove due squadre di alpini vivono a stretto contatto, in due separate postazioni fortificate e circondate da filo spinato, con i soldati afghani con cui condividono il compito di garantire la security bubble di circa 14 chilometri.
Un uomo, con indosso un’uniforme militare, proveniente dal caposaldo afghano si è avvicinato ai due soldati italiani che si trovavano vicino a un veicolo Vtlm Lince ed ha aperto il fuoco. C’è stato un tentativo di risposta, anche da parte dei soldati afghani, ma l’uomo è riuscito ad allontanarsi, sfruttando l’effetto sorpresa.
Questo è quanto si è saputo dalla stampa nazionale. Poco di più è stato possibile raccogliere dai media internazionali, compresi quelli afghani poiché quello di ieri, è solo uno dei caduti stranieri che segnano il trascorrere quotidiano della missione in Afghanistan, giorno dopo giorno.
Un «terrorista» afghano, è stato detto, con indosso l’uniforme dell’esercito regolare. Ma chi era in realtà l’uomo che ha ucciso sul campo di battaglia l’alpino italiano? Si tratta di un soldato dell’esercito afghano – ha sostenuto una fonte locale in condizione di anonimato – arruolato da pochi mesi - tre citano le fonti - e da poco più di quarantacinque giorni in servizio presso la base avanzata dell’Afghan National Army di Bala Murghab. Il suo nome è Gullab Ali Noor, originario della provincia di Kunduz,distretto di Archi, villaggio di Sufi Zaman.
Chiamare Gullab Ali Noor semplicemente terrorista, come di recente avvenuto, significa rischiare di sminuire l’entità della minaccia nel suo complesso. Una minaccia caratterizzata da un fenomeno insurrezionale sempre più forte e aggressivo, in grado di penetrare all’interno delle stesse istituzioni governative, nelle sue forze di sicurezza. Dunque l’alpino italiano è morto per mano di un nemico, un mujaheddin, un taliban o, meglio, un insorto. Messa in questi termini la situazione può essere più facilmente compresa nella sua cruda realtà: un militare caduto in guerra, e non una vittima di un volutamente generico terrorismo; la “guerra” combattuta dai militari italiani al fianco degli alleati della Nato e della coalizione internazionale. Una guerra che richiede di combattere insieme all’esercito di Kabul, nonostante i rischi potenziali.
Si tratta di una modalità - ha proseguito La Russa - non nuova per l’Afghanistan; ma, contrariamente a quanto affermato dal ministro non è la prima volta che i militari italiani vengono attaccati in questo modo. Era successo poco più di un anno fa, nella Fob Culumbus di Bala Murghab; ma allora non ci fu nessun ferito e la notizia passò senza l’interesse amplificato dei media. Oggi, con un morto e un ferito grave, la notizia ha fatto il giro dei telegiornali nazionali come se, all’improvviso, fosse drammaticamente precipitata la situazione in Afghanistan. Non è così. La situazione sta progressivamente degenerando – pur tenendo conto della naturale stasi invernale – e il 2010 si è concluso con più di 700 caduti tra le fila della Coalizione: una media di circa due soldati stranieri uccisi ogni giorno. Un dato inquietante, che tende ad aumentare ogni giorno che passa; il soldato caduto ieri rientra nelle fredde statistiche, quelle fatte di colonne e percentuali. Nel frattempo i taliban, come più volte annunciato, continuano con la tattica di infiltrazione dei propri «soldati» all’interno delle forze di sicurezza afghane.
19 gennaio 2011
Il fatto è avvenuto alle 12.05 italiane, nell’avamposto Highlander, a circa 10 chilometri dalla base italiana Columbus di Bala Murghab dove due squadre di alpini vivono a stretto contatto, in due separate postazioni fortificate e circondate da filo spinato, con i soldati afghani con cui condividono il compito di garantire la security bubble di circa 14 chilometri.
Un uomo, con indosso un’uniforme militare, proveniente dal caposaldo afghano si è avvicinato ai due soldati italiani che si trovavano vicino a un veicolo Vtlm Lince ed ha aperto il fuoco. C’è stato un tentativo di risposta, anche da parte dei soldati afghani, ma l’uomo è riuscito ad allontanarsi, sfruttando l’effetto sorpresa.
Questo è quanto si è saputo dalla stampa nazionale. Poco di più è stato possibile raccogliere dai media internazionali, compresi quelli afghani poiché quello di ieri, è solo uno dei caduti stranieri che segnano il trascorrere quotidiano della missione in Afghanistan, giorno dopo giorno.
Un «terrorista» afghano, è stato detto, con indosso l’uniforme dell’esercito regolare. Ma chi era in realtà l’uomo che ha ucciso sul campo di battaglia l’alpino italiano? Si tratta di un soldato dell’esercito afghano – ha sostenuto una fonte locale in condizione di anonimato – arruolato da pochi mesi - tre citano le fonti - e da poco più di quarantacinque giorni in servizio presso la base avanzata dell’Afghan National Army di Bala Murghab. Il suo nome è Gullab Ali Noor, originario della provincia di Kunduz,distretto di Archi, villaggio di Sufi Zaman.
Chiamare Gullab Ali Noor semplicemente terrorista, come di recente avvenuto, significa rischiare di sminuire l’entità della minaccia nel suo complesso. Una minaccia caratterizzata da un fenomeno insurrezionale sempre più forte e aggressivo, in grado di penetrare all’interno delle stesse istituzioni governative, nelle sue forze di sicurezza. Dunque l’alpino italiano è morto per mano di un nemico, un mujaheddin, un taliban o, meglio, un insorto. Messa in questi termini la situazione può essere più facilmente compresa nella sua cruda realtà: un militare caduto in guerra, e non una vittima di un volutamente generico terrorismo; la “guerra” combattuta dai militari italiani al fianco degli alleati della Nato e della coalizione internazionale. Una guerra che richiede di combattere insieme all’esercito di Kabul, nonostante i rischi potenziali.
Si tratta di una modalità - ha proseguito La Russa - non nuova per l’Afghanistan; ma, contrariamente a quanto affermato dal ministro non è la prima volta che i militari italiani vengono attaccati in questo modo. Era successo poco più di un anno fa, nella Fob Culumbus di Bala Murghab; ma allora non ci fu nessun ferito e la notizia passò senza l’interesse amplificato dei media. Oggi, con un morto e un ferito grave, la notizia ha fatto il giro dei telegiornali nazionali come se, all’improvviso, fosse drammaticamente precipitata la situazione in Afghanistan. Non è così. La situazione sta progressivamente degenerando – pur tenendo conto della naturale stasi invernale – e il 2010 si è concluso con più di 700 caduti tra le fila della Coalizione: una media di circa due soldati stranieri uccisi ogni giorno. Un dato inquietante, che tende ad aumentare ogni giorno che passa; il soldato caduto ieri rientra nelle fredde statistiche, quelle fatte di colonne e percentuali. Nel frattempo i taliban, come più volte annunciato, continuano con la tattica di infiltrazione dei propri «soldati» all’interno delle forze di sicurezza afghane.
19 gennaio 2011
Chiamare Gullab Ali Noor semplicemente terrorista, come di recente avvenuto, significa rischiare di sminuire l’entità della minaccia nel suo complesso.
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