Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

martedì 30 luglio 2013

2013-2015: Resolute Support. Tra il dialogo con i taliban in Qatar e la nuova missione della Nato in Afghanistan

articolo pubblicato sull'Osservatorio Strategico CeMiSS (pp.81-84)


Dopo un inizio di primavera caratterizzato da un aumento significativo di attacchi spettacolari e simbolici a strutture governative in tutto l’Afghanistan, è valutabile che l’ondata di attacchi contro ISAF, le forze di sicurezza afghane e gli obiettivi istituzionali di Kabul continuerà sino alle elezioni presidenziali del prossimo aprile, in particolare dopo il ritiro delle truppe straniere e il passaggio di responsabilità alle autorità afghane… (vai all’articolo completo)

giovedì 25 luglio 2013

CeMiSS - Le questioni aperte dell'Afghanistan contemporaneo: I limiti attuali della sicurezza interna ed esterna afghana

Articolo pubblicato su
CeMiSS Osservatorio Strategico
Rubrica Sotto la Lente (pp 79-82)

di Claudio Bertolotti

Se i tentativi di dialogo e soluzione negoziale da parte del presidente afghano verso i gruppi di opposizione armata possono aprire qualche spiraglio di speranza su un processo di pacificazione basato sul compromesso, la violenta offensiva di primavera dei taliban e gli attacchi ad alta risonanza mediatica, da questi portati a compimento, allontanano sempre più la realizzazione di tale progetto e con esso le possibilità di conclusione del conflitto afghano, nonostante il disimpegno avviato dalle forze della Coalizione a guida statunitense.
Gli Stati Uniti hanno affermato di voler concludere nei tempi previsti la transizione della sicurezza in Afghanistan; lo sforzo principale dei paesi partecipanti alla missione a guida NATO resta dunque la formazione delle locali forze di sicurezza, sebbene non sia al momento definito il livello di equipaggiamento che queste riceveranno per operare. In particolare, nulla è stato ancora definito in merito ad un’eventuale dotazione aerea (elicotteri) necessaria al trasporto delle truppe, al sostegno alle operazioni terrestri e all’evacuazione dei feriti dal campo di battaglia…(vai alla pubblicazione completa)

lunedì 8 luglio 2013

INSTITUTE FOR CULTURAL DIPLOMACY - AFGHAN VARIABILES. A PROSPECTIVE ANALYSIS: 2013-2014 POSSIBLE SCENARIOS






Abstract
If compared with a ‘new civil war’ scenario (consequential to the dissolution of the Afghan State and the Afghan National Security Forces and the victory for the Armed Opposition Groups), events during 2012 tend to suggest a 2013-2014 scenario characterised by: an increase of local level conflicts; a political and social instability of the Afghan state and an ANSF unpreparedness – partially counterbalanced by
NATO’s effort and support. The end result in the medium term is that Afghanistan will be kept in a condition of
unstable ‘dynamic stalemate’.
2013-2014 will be characterized by the implementation of the U.S.-Afghan Strategic Partnership Agreement which will guarantee the new formula of a U.S. military presence on the Afghan soil based on the medium-long term concession of strategic military bases.
The United States and the NATO, renouncing a real Afghan stabilisation, will proceed with the transition phase with a significant assistance and support to the ANSF (Afghan National Security Forces), at the moment unable to guarantee an effective control of the country.
The Taliban – formally and substantially undefeated – are military able, yet at the same time unable to defeat NATO-ISAF and ANSF troops on the battlefield.
Therefore, the Taliban will try to limit significantly the ANSF operational potential (and thus the effectiveness of transition) through the ‘trust-undermining’ process between NATO-ISAF advisors/trainers and mentored ANSF individuals.
A direct effect of this process is the increasing phenomenon of the ‘green on blue attacks’ (Afghan soldiers who attack their advisors and mentors), contributing to a further acceleration of the disengagement from the country.
Internally, political and electoral processes (characterized by limited transparency and evident frauds) will be influenced by the AOGs (Armed Opposition Groups) especially in rural and peripheral areas, in particular the Pashtun-dominated ones.
 
Observing the current situation, we cannot exclude attempts of political partition of the country based on the willingness to obtain access to the economical advantages deriving from the mineral and energy resources. This would create ‘fault line conflicts’, amplified by the limited governmental administrative capabilities and
its high corruption level.
A positive role will be played by regional actors, which will increase their political and economical involvement.
In brief, in the next two years Afghanistan is going to be:
• relatively unstable from a domestic political perspective and exposed to the risk of a reduction of the role of the central government (advantaging local and peripheral powers),
• seriously precarious regarding its security and governance,
• inadequate vis-à-vis the transparency required by the international community’s economical support agreements due to an endemic corruption,
• surrounded by a dynamic and flexible environment regarding regional...

lunedì 1 luglio 2013

Quanti soldati italiani rimarranno in Afghanistan dopo il 2014?


di Claudio Bertolotti

Il 1° gennaio 2015, conclusa la missione Isaf, verrà dato il via al nuovo impegno della Nato in Afghanistan attraverso la Resolute Support Mission. Quale contributo darà l’Italia?
1.800 (circa) è il numero di militari italiani che rimarranno in Afghanistan a partire dal 2015. «Il numero preciso verrà stabilito nel corso di incontri tecnici con gli altri stati che partecipano alla missione» – queste le parole del ministro della Difesa Mario Mauro del 1° luglio. Del totale, almeno un terzo sarà costituito da unità di istruttori e addestratori di varia tipologia (componente terrestre e aerea).
È noto che la Nato, come concordato al vertice dei ministri della difesa dell’Alleanza atlantica il 4-5 giugno, concluderà l’attuale missione Isaf (International Security Assistance Force to Afghanistan) il 31 dicembre del 2014, ma rimarrà in Afghanistan ben oltre tale data.
La missione muta denominazione, entità, responsabilità e mandato. Ma non variano i principi regolatori di una presenza a lungo termine da tempo annunciata. Nella realtà si tratta di un cambio sostanziale dell’impegno militare e politico, in particolare per quei paesi che hanno dato la propria disponibilità ad assumersi oneri impegnativi. Così sarà per gli Stati Uniti che, nazione leader nella condotta delle operazioni militari e politiche in Afghanistan, assumeranno la responsabilità dei futuri comandi militari delle regioni Est e Sud del paese; lo stesso sarà per la Germania, che ha confermato il proprio ruolo di comando nella regione Nord; probabile l’impegno della Turchia nella capitala Kabul; e, infine, garantito il ruolo di comando di primo piano dell’Italia nell’area Ovest.
A fronte di impegni internazionali e delle relazioni tra gli Stati membri dell’Alleanza, non poteva essere diversamente. La scelta responsabile dell'Italia non sorprende, né rappresenta un cambio di strategia dato il ruolo di rilievo in seno alla missione Isaf e l’impegno prolungato nell’area di Herat. Se il compito dei componenti l’Alleanza atlantica è (anche) quello di addestrare gli oltre trecentomila membri delle forze di sicurezza afghane, l’Italia darà il proprio contributo attraverso i suoi “consiglieri militari”, nonostante i vertici militari siano sempre più preoccupati dal concreto pericolo degli attacchi green on blue, la minaccia interna delle reclute afghane che attaccano (e uccidono) i propri istruttori stranieri. E forse per questa ragione, l’impegno si concentrerà non più sui livelli più bassi delle unità afghane (battaglioni e brigate), bensì su quelli superiori (corpi di armata) e meno esposti ai pericoli interni (il ché potrebbe essere letto come sostanziale ammissione di impotenza e incapacità nel contenimento della minaccia).
Perché un contingente di 1.800 uomini? Lasciamo che siano i numeri a dare una risposta alle possibili (e probabili) contestazioni che da più parti potrebbero arrivare in merito al nuovo impegno dell’Italia nell’Afghanistan post-2014.
Perché a quei 5/700 consiglieri militari - dichiarazione del Ministro Mauro del 21 giugno - promessi dall’Italia (e indispensabili per la condotta della missione) va aggiunta una componente logistica adeguata a sostenerne gli sforzi in un’area ad alta intensità operativa, così come è necessaria una parte deputata alla sicurezza della base principale (Herat) e del suo aeroporto e, infine, non può mancare la componente dedicata alla gestione del comando di una missione di livello internazionale; impensabile poter fare tutto ciò con una ridotta componente di supporto costituita da alcune centinaia di uomini, a meno che non si vogliano esporre le proprie truppe a rischi decisamente superiori.
Sull’opportunità di garantire il rispetto di impegni internazionali, e in particolare le missioni militari, il ministro Mauro ha aggiunto che «ci sono delle condizioni in cui il “fattore deterrenza” è necessario per contenere i conflitti e perseguire l'obiettivo della pace. Siamo da dieci anni in Afghanistan, ma anche da 20 anni in Bosnia e da 15 in Kosovo (sebbene in  realtà gli anni siano 14!, nda). Nel 2014 la nostra missione in Afghanistan terminerà, ma è impensabile lasciare quel paese proprio nella fase di stabilizzazione democratica. Si debbono fare distinzioni, ma il tema della pace passa sempre attraverso l'obbligo della democrazia. L'Italia è chiamata a fornire elementi utili per trovare soluzioni di pace».
Una dichiarazione di natura politica difficilmente sostenibile quella del ministro – la nostra missione non terminerà, come confermato dai fatti, mentre «pace»  e «democrazia» in Afghanistan sono obiettivi informalmente archiviati – , ma condivisibile nel merito e nelle ragioni di fondo. In particolare, il fattore democrazia è l’ultimo degli argomenti in grado di preoccupare le cancellerie europee e l’amministrazione statunitense; va però tenuta in forte considerazione la questione delle elezioni presidenziali del 2014. Manca meno di un anno all’elezioni del nuovo presidente afghano, un anno particolarmente delicato. Per la prima volta dal 2001, l’Afghanistan avrà un nuovo presidente, un nuovo esecutivo e un nuovo parlamento (le elezioni parlamentari sono previste per il 2015): una transizione dei poteri che potrebbe avere significative ripercussioni sull’impegno e sulla presenza delle forze militari straniere che rimarranno sul suolo afghano, e conseguenze significative sul piano politico interno. Non possono essere esclusi il rischio di guerra civile e una parziale o totale disintegrazione dello Stato afghano, in particolare a causa delle conflittualità più o meno latenti tra i gruppi di potere non-pashtun e quelli pashtun (tra i quali i taliban, tra l’altro coinvolti nel processo negoziale sostenuto dalla Comunità internazionale).
A oggi rimangono alcune, poche, certezze: l’Afghanistan non è un paese pacificato, il processo democratico di stampo occidentale non ha raggiunto gli obiettivi essenziali prefissati, il narcotraffico si diffonde incontrastato,  lo Stato afghano è a un passo dal fallimento sostanziale, le sue forze di sicurezza non sono in grado di garantire il controllo del territorio e di contenere la capacità operativa dei gruppi di opposizione armata, infine la presenza dei taliban viene registrata in oltre l’80% del paese.
Una missione fallita? Nella sostanza sì, Isaf non ha raggiunto i suoi scopi dichiarati, sebbene non manchino alcuni risultati positivi: la formazione di una società civile in continua fase di crescita, l’aumento del tasso di alfabetizzazione, un maggiore accesso ai servizi essenziali; certamente poco, ma non pochissimo.
Dunque, la nuova missione della Nato è una soluzione di compromesso basata sulla riduzione rilevante della presenza di soldati stranieri – ma comunque sufficiente per intervenire in maniera efficace “anche” a sostegno delle forze afghane – a fronte della ristrutturazione dell’organizzazione militare di comando e controllo. In quest’ottica va riconsiderato il ruolo dell’Italia nel teatro afghano del 2015, e oltre: Italia-Afghanistan è un binomio confermato per i prossimi (10?) anni.