Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

venerdì 29 giugno 2012

L’irreversibile transizione della NATO in Afghanistan tra opportunità strategica, volontà politica e capacità operativa


La guerra in Afghanistan è stata il leit motiv del summit della NATO a Chicago del 20-21 maggio, e la questione pakistana, al di là delle cortesie diplomatiche riservate al presidente Asif Alì Zardari, ha rappresentato un’occasione per mettere sotto pressione il governo pakistano al fine di definire un rapporto di concreta collaborazione tra Washington e Islamabad. Il Pakistan è necessario, su questo non si discute; in primis per la prosecuzione dei dialoghi con i taliban e per la questione dei rifornimenti logistici che proprio dal Pakistan devono transitare. Non va poi messa in secondo piano la sua importanza nella stabilità e nella sicurezza a livello regionale. Il Presidente Obama...(Vai al documento completo).

lunedì 25 giugno 2012

La prospettiva regionale sulla questione afghana

Gli Stati dell’Asia centrale, riunitisi a Beijing agli inizi di giugno, hanno dichiarato di volersi impegnare per assumere un ruolo significativo nel processo di stabilizzazione dell’Afghanistan in previsione del disimpegno formale delle truppe internazionali a partire dal 2014; la Cina, ovviamente, ambirebbe al ruolo di Paese guida.
Il prossimo passo del blocco della Shanghai Cooperation Organization (SCO) – comprendente
Cina, Russia, e quattro attori dell’Asia centrale – appare orientata verso una comune politica economica e di sicurezza che si manifesterà formalmente in regolari riunioni di coordinamento ed esercitazioni militari congiunte finalizzate alla lotta ai movimenti separatisti, gli estremismi religiosi e il traffico di droga; insomma un biglietto da visita politicamente esplicito e mediaticamente accattivante. A ciò va ad aggiungersi la posizione – palesata dalla Cina attraverso una dichiarazione del Presidente Hu Jintao sul giornale di Stato, People's Daily – chiaramente anti intromissione di attori esterni non regionali (i riferimenti sono espliciti) e a favore di un ruolo forte della stessa SCO.
Come ciò verrà messo in atto ancora non è chiaro; ciò che invece è evidente è l’impegno di Cina e Russia nel dirigere l’Organizzazione verso un’attività diplomatica e politica volta a limitare e progressivamente ridurre l’influenza statunitense nella regione considerata, a buon titolo, di competenza «locale». Un interessante esercizio diplomatico funzionale all’opera di avvicinamento tra Mosca e Beijing anche sul piano della cooperazione militare e della politica internazionale (a tal proposito è sufficiente ricordare come i seppur tiepidi rapporti tra i due soggetti siano stati in grado di controbilanciare il peso statunitense nella questione siriana).
La Russia e i suoi alleati satelliti – Uzbekistan, Kirghizistan e Kazakistan, ma non il Tagikistan – si sono così fatti parte attiva nell’agevolare l’uscita delle truppe internazionali impegnate in Afghanistan alle quali il Pakistan ha – al momento e in maniera plateale – chiuso le porte di ingresso e uscita; mentre degna di nota è la riflessione sul futuro delle operazioni militari interessanti la base aerea Kirghisa di Manas, al centro di un vivace dibattito concentrato sul ruolo delle basi strategiche degli Stati Uniti nella regione.
La Cina, confinante con l’Afghanistan attraverso uno stretto lembo di terra, è però il più dinamico e intraprendente tra gli attori regionali (e non solo quelli) interessati alle potenzialità economiche e agli sviluppi afghani. E tra le speranze di Kabul – con particolare riferimento al disimpegno statunitense e alla conseguente riduzione di investimenti occidentali in conseguenza del disimpegno militare – vi è proprio un interessamento cinese verso le risorse minerarie ed energetiche del sottosuolo afghano; un interesse che, in verità, la Cina non ha mai tenuto nascosto ma che, da sempre, è stato fortemente vincolato alla sicurezza e alla stabilità dell’Afghanistan. Oggi, con l’accesso dell’Afghanistan nella SCO in qualità di osservatore, i primi passi verso questo coinvolgimento attivo degli attori regionali sono stati fatti così come è stata formalmente avviata la cooperazione a livello economico e per la sicurezza.
Da mille a tremila miliardi di dollari: tanto è stato stimato il valore del sottosuolo afghano; e la Cina, prima e meglio di tutti, ha saputo muoversi per aggiudicasi importanti ed esclusivi contratti. La National Petroleum Corp. è stata la prima compagnia di Stato cinese ad aver ottenuto il diritto di effettuare prospezioni per la ricerca di gas e petrolio, tre anni dopo l’autorizzazione ottenuta dalla China Metallurgical Construction Co. per lo sfruttamento dei giacimenti minerari di Aynak, nella provincia di Logar. A corollario del’impegno verso le risorse del sottosuolo, la Cina ha avviato significativi e politicamente appaganti investimenti nel processo di ricostruzione dell’Afghanistan, attraverso progetti di sostegno allo sviluppo economico locale, attività di sostegno, addestramento ed equipaggiamento di unità militari e organizzazioni governative e, ancora, investimenti infrastrutturali e nell’educazione; insomma un ruolo di primo piano ed estremamente raffinato per un attore che non ha neppure un soldato impegnato nella lunga guerra afghana.
Anche la Russia, nel suo piccolo, ha voluto dare un contributo significativo sul piano del sostegno allo sviluppo afghano e lo ha fatto attraverso la ricostruzione e riattivazione delle centrali elettriche e delle dighe costruite in epoca sovietica impegnandosi al tempo stesso in attività di ricerca ed estrazione delle risorse minerarie del sottosuolo – in questo ponendosi come competitor nei confronti della Cina – e, contemporaneamente, implementando le proprie capacità intelligence in Afghanistan con il fine ufficiale di contrastare con efficacia il narcotraffico verso la stessa Russia.
Volendo considerare quello attuale come un possibile processo di costruzione di un’«identità asiatica», è evidente quanto ciò non possa di certo rappresentare un risultato auspicabile sullo scacchiere geopolitico disegnato dagli Stati Uniti. Ma la realtà dei fatti, o almeno ciò che appare evidente – al di là dei risultati sinora ottenuti – è il ruolo sempre più significativo e di primo piano che la SCO starebbe definendo per sé stessa nella successiva fase delle competizioni afghane.

martedì 5 giugno 2012

Taliban, oppio e consenso: Il segreto del successo dell’opposizione armata



 Il cambio della strategia e il nuovo corso della guerra afghana proiettata verso la necessaria e “irreversibile” transizione, hanno indotto a una riduzione dell’attenzione mediatica sul conflitto, in particolare sul ruolo dei taliban sul campo di battaglia convenzionale e su  quello politico e sociale. Eppure, anche nel dodicesimo anno di guerra i taliban hanno ottenuto buoni risultati nell’opera di  allargamento operativo che dal sud e dal sud-est li ha spinti anche verso il nord e l’ovest. La loro espansione è stata caratterizzata da un eccezionale progresso sul terreno della tattica militare: più e maggiormente sofisticate tecniche di imboscata, attacchi suicidi perfezionati, Ied sempre più devastanti, attacchi multipli coordinati, rapimenti e uccisioni mirate con lo scopo di demoralizzare funzionari locali e stranieri. Tattica militare e politica accorta hanno consentito ai gruppi di opposizione di espandere sempre più la loro presenza sul terreno e tra la popolazione, proprio laddove si è per un po’ concentrato lo sforzo maggiore della strategia dell’Occidente: il terreno umano.
La situazione particolarmente critica dimostra come i taliban abbiano perseguito una politica della doppia velocità volta, da un lato, a occupare gli spazi lasciati vuoti dalle forze della Coalizione e, dall’altro, a colpire sempre più incisivamente proprio laddove l’impegno militare delle forze occidentali e governative avrebbe dovuto dimostrarsi maggiormente efficace. I taliban hanno invece dato prova di essere in grado di portare a un escalation della violenza proprio nei punti chiave dell’Afghanistan da pacificare, le provincie di Kandahar, Paktya, Kabul, ma anche Herat, Nangarhar e Kunduz. Le tecniche operativamente e psicologicamente più destabilizzanti sono quelle gli attacchi con ordigni esplosivi improvvisati (Ied, improvised explosive devices) e attacchi suicidi, migliorati con l’applicazione della tecnica Suicide Commando (SC), ma alta è anche la preoccupazione per le azioni tipiche della guerriglia, le imboscate. Ma i mandanti o gli oppositori non sempre sono taliban propriamente detti; il narcotraffico ha portato alla nascita di gruppi para-insorti che si pongono quale obiettivo il massimo profitto dal commercio di droga, nascondendosi formalmente tra i gruppi di opposizione e spesso collaborando con loro, sebbene non condividendone la spinta ideologica o politica. La criminalità dunque si affianca ai gruppi di opposizione uccidendo “rivali in affari”, politici ostili, funzionari dell’apparato di giustizia.
Qual è il segreto del successo dei gruppi di opposizione?
La risposta è data dalla scelta della strategia, tanto ovvia quanto micidiale, che alla fine si è dimostrata essere vincente: l’adattamento a un conflitto asimmetrico fortemente limitante per le capacità iper-tecnologiche delle forze militari straniere. Tale asimmetria ha imposto agli eserciti occidentali di ridurre le potenzialità di manovra sul campo di battaglia imponendo ai suoi soldati di scendere sul terreno del conflitto “corpo a corpo”, contro un “nemico invisibile” in grado di dileguarsi tra la popolazione civile e trovare protezione in essa.
La complessa e strutturata organizzazione dei gruppi di opposizione ha così raggiunto risultati eccezionali muovendosi all’interno delle regole che ha saputo imporre a una guerra apparentemente senza possibilità di successo. Strategia del terrore, organizzazione dell’intelligence, costituzione di un apparato parastatale funzionante, “legittimazione” delle proprie azioni e della propria ideologia: tutto questo ha consentito di gestire l’instabilità afghana a proprio vantaggio attraverso una proficua e indiscriminata campagna di violenza che non si è limitata alle aree periferiche del paese ma che è andata a colpire anche, e sempre più, il cuore stesso del potere politico ed economico dell’Afghanistan; città come Kabul e Kandahar sono state sempre più oggetto di attacchi spettacolari e mediaticamente efficaci.
Sebbene l’Occidente si sia adeguato alla tipologia di conflitto dotandosi di uno “strumento” di guerra differente, ossia la dottrina denominata counterinsurgency, anche i gruppi di opposizione hanno fatto propri gli insegnamenti e le contromisure della lotta all’insurrezione. La lotta per la “conquista di cuori e menti” della popolazione civile ha fatto parte di questo processo evolutivo nella competizione con il nemico sul campo di battaglia, non più terreno – o non solo – ma anche umano. E in questa fase dello scontro il peso della droga, ancora una volta, si è fatto sentire.
Mentre il governo centrale si è, seppur pigramente, impegnato nel processo di eradicazione del papavero da oppio – unica fonte di sostentamento per molte delle comunità rurali dell’Afghanistan – gli insorti ne hanno garantito la sicurezza dei campi, l’acquisto delle produzioni stagionali con pagamenti anticipati e il supporto logistico alle comunità che hanno deciso di dedicarsi a questo tipo di coltura. Le piccole e povere comunità di campagna, dovendo scegliere tra governo e insorti sulla base dei benefit e delle politiche adottate dall’uno e dagli altri, hanno scelto di stare dalla parte di chi è stato in grado di sostenere l’economia locale. Questa è stata la ragione di base per la diffusa tolleranza, quando non di simpatia, verso i gruppi di opposizione da parte delle popolazioni rurali e del parallelo scetticismo misto a ostilità nei confronti del governo centrale e delle forze di sicurezza internazionali considerati incapaci di dare risposte concrete alle necessità sociali di base.
I taliban si sono avvicinati alla popolazione civile con fine ed efficace azione di convincimento basata sulla propaganda e su risposte concrete ai bisogni immediati di comunità ai margini di uno Stato a rischio di fallimento. Gli ambiziosi progetti di rilancio economico non hanno avuto successo, almeno nel breve periodo, e questo è stato accolto, spesso a torto, come un fallimento irreversibile, addirittura un’illusione calcolata a tavolino. Al contrario i taliban, che non sono in grado di proporre modelli di sviluppo su larga scala e a medio-lungo termine, sono stati capaci di sfruttare modelli tradizionali di micro-economia in grado di dare risultati modesti ma concreti sul breve periodo: una strategia che alla fine si è dimostrata essere quella vincente.