Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

mercoledì 9 marzo 2011

Afghanistan 2011: l’offensiva di primavera e il dialogo con il nemico

di Claudio Bertolotti


Aumenta la violenza aggressiva dei gruppi di opposizione armata in Afghanistan. Anche nel 2011 i taliban e i loro alleati confermano un’accresciuta capacità operativa e una concreta volontà offensiva. E questo nonostante la Coalizione abbia ufficialmente dichiarato un numero di nemici uccisi superiore alle cinquemila unità, ma che non è bastato a far calare il totale dei presunti insorti schierati sul campo di battaglia che rimangono attestati sulla cifra di 35.000 combattenti. Non sono diminuiti gli attacchi ai rappresentanti istituzionali del governo di Kabul, forze di sicurezza, politici e semplici amministratori, ormai nel mirino dell’esercito dell’Emirato Islamico del mullah Omar; gli Ied e le azioni mordi e fuggi continuano a colpire senza soluzione di continuità dimostrando la grande flessibilità e la capacità di adattamento dell’opposizione armata alle contromisure adottate dalla Coalizione internazionale. E ancora, coordinati attacchi suicidi in grande scala, micidiali e in grado di colpire ovunque e aumento inarrestabile del numero di aspiranti martiri, il cui bacino di reclutamento si amplia sempre più grazie a una fine ed efficace propaganda: l’opposto di quanto sperato dalle forze della Coalizione attraverso la «conquista dei cuori e delle menti» della popolazione civile. E mentre i taliban colpiscono a fondo, la Coalizione internazionale non si ferma nello spiegamento di uno strumento militare sempre più potente ma non per questo efficace sul piano sociale.
I taliban stanno probabilmente attendendo il momento giusto per dare inizio, come ogni anno, all’offensiva di primavera. Così come hanno fatto nelle precedenti nove primavere; così come hanno dimostrato di saper fare l’anno scorso con la travolgente offensiva Al-Faath (Vittoria) che ha provocato la morte di 711 soldati della Coalizione internazionale in soli dodici mesi. Il movimento degli studenti coranici, forte ormai di un numero consistente di combattenti in grado di muoversi in maniera relativamente sicura in quasi tutto il territorio dell’Afganistan, si sta preparando per riprendere quanto strappato dalla Coalizione a partire dall’agosto dell’anno scorso; non molto a dire il vero, ma sufficiente per presentare la guerra afghana all’opinione pubblica internazionale come una campagna, se non vittoriosa, quantomeno non così disastrosa come invece i numeri e le statistiche dimostrerebbero.
Verosimilmente, e sulla traccia di quanto messo in atto nell’ambito della precedente offensiva di primavera – che si è protratta senza soluzione di continuità sino all’inverno che si sta ora concludendo – aumenteranno le azioni dirette contro obiettivi remunerativi, sia sul campo di battaglia che sul piano mediatico; dunque attentati suicidi multipli e spettacolari, con un aumento del numero medio di attentatori impegnati in ogni singola azione: i temuti Suicide Commando. Aumenterà il rischio di attacchi diretti contro infrastrutture, caserme e basi avanzate (Fob) della Coalizione, delle Forze di sicurezza e governative afghane. Aumenteranno anche gli attacchi contro le neonate forze di polizia locale, sempre che queste – essendo composte anche da ex-taliban – non decidano di collaborare con le forze insurrezionali.
Saranno sufficienti i poco meno di 70.000 nuovi soldati dell’esercito nazionale afghano? I dati relativi al potenziale operativo delle Forze di sicurezza governative non sono confortanti con un tasso di diserzione al 23 percento e con solamente il 21 percento delle unità dell’esercito in grado di operare autonomamente e senza il supporto delle forze straniere. Un risultato che non soddisfa ma che, ottimisticamente parlando, non può che offrire margini di miglioramento sul medio termine.
Il livello di violenza è aumentato, e non è stato caratterizzato da una diminuzione nell’intensità e nel numero di attacchi durante la stagione invernale, sfatando ancora una volta il mito della guerra stagionale condotta dall’insurrezione afghana così come viene presentata da molti analisti. In aumento è pure il livello di corruzione della pubblica amministrazione e delle forze di sicurezza: il fallimento della Kabul Bank è solamente uno degli indicatori di una situazione difficilmente sostenibile. L’unica cosa che con il tempo tende a diminuire è il consenso verso le istituzioni nazionali e straniere da parte di una popolazione civile sempre più stanca di uno stato di guerra cronico e senza possibilità di uscita.
In tutto questo, mentre la Coalizione si prepara a contrastare l’assalto taliban del 2011, il presidente Karzai è impegnato in quello che sembra essere un proficuo colloquio con alcuni dirigenti del movimento insurrezionale legato all’Emirato Islamico dell’Afghanistan. Un presidente che pare correre nel buio di una notte afghana, cercando di non andare a sbattere nei tanti, tantissimi, ostacoli che gli si pongono innanzi. Da un lato lo vediamo impegnato in pubbliche accuse verso la Nato per l’eccessiva leggerezza nella condotta di azioni militari – che sono causa delle numerose vittime tra i civili (il 2010 è stato l’anno peggiore da questo punto di vista con 2800 civili uccisi nel confronto tra forze della Coalizione e gruppi di opposizione armata) chiedendo agli stranieri di lasciare al più presto il paese – dall’altro prendiamo atto della concessione permanente delle basi militari al governo statunitense. Sì la comunicazione politica è un argomento certamente interessante, ed è necessaria per un Karzai sempre più in difficoltà e posto tra l’incudine – la Coalizione – e il martello – i taliban –, ma il rischio è quello di lasciarsi coinvolgere da esigenze dettate dalla ricerca del sostegno dell’opinione pubblica afghana e internazionale e non della soluzione ai conflitti locali e regionali. In questa confusa situazione però, tanto il governo afghano che i vertici della Coalizione pare si siano mossi nella “giusta” direzione, quella che potrebbe portare a una soluzione razionale ed equilibrata: il dialogo con il «nemico».
«Siamo in contatto diretto con alcuni taliban, così come lo sono le forze della Coalizione», ha recentemente dichiarato il presidente Hamid Karzai. E in effetti i non più segreti colloqui, avviati già alla fine del 2007 e intensificati a partire dallo scorso anno, rimangono forse l’ultima una carta da giocare. Dialoghi che, nonostante le non poche difficoltà nella definizione dei possibili interlocutori, vedrebbero la partecipazione attiva – ha detto recentemente Karzai – di Inglesi e Statunitensi.
Non sarebbe dunque un passo azzardato, a questo punto, quello fatto da Karzai: la richiesta di cancellazione dalla Black list delle Nazioni Unite di cinque ex taliban di alto livello. Chi sarebbero i cinque individui ai quali Karzai vorrebbe aprire la porta della riconciliazione? Si tratta di soggetti non di secondo piano. Mawlawì Qalamudin, l’ex numero due del famigerato Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio; Arsalan Rehmani, ex vice ministro dell’Educazione dell’Emirato islamico; Rahmatullah Wahidyar, ex vice ministro per i Martiri e il Rimpatrio; Saeedur Rehman Haqani, del ministero delle Risorse minerarie e dell’Industria e, infine, Habibullah Fawzi, diplomatico taliban in Pakistan. Tutti dirigenti taliban qualificati come «moderati»; anche Qalamudin, con i suoi trascorsi di sostenitore del divieto di far volare gli aquiloni, dell’ascolto della musica, dell’obbligo per gli uomini di farsi crescere la barba…
Lo scorso mese Washington, in riferimento al dialogo con i taliban, ha lanciato un segnale positivo in questa direzione quando il Segretario di Stato Hillary Rodham Clinton ha affermato che «un’intensificata spinta diplomatica» è necessaria per «sostenere un processo politico guidato dall’Afghanistan per spezzare il legame tra i taliban e al-Qa’ida». Oggi gli Stati Uniti stanno lavorando “caso per caso” per l’eliminazione di alcuni nomi dalla Black list che, da strumento per un Afghanistan migliore, si sta trasformando in limite per possibili sviluppi futuri. Potrebbe essere giunto il momento di mettere mano alla “lista dei cattivi”.

8 marzo 2011

Afghanistan: Waiting the taliban spring offensive dialoging with the enemy

Opposition group’s violence is growing day by day. In 2011 Talibans and their allies are confirming a high operational standard and a dangerous offensive willingness.
Statistics showing an extremely deteriorated situation in Afghanistan and the Taliban “spring offensive” is coming.
35.000 insurgents are ready to fight and to die in the name of the Islamic Emirate of Afghanistan, more than the past year. It means that taliban propaganda and recruitment policy are actively working.
What are Isaf and the afghan Government doing? Special operation forces, drones attacks, afghan security forces training: it appears not enough.
Due to the lack of security and the deteriorating situation, Isaf and Afghan Government, in an effort to end the ongoing conflict, are in peace negotiations with Taliban insurgents. Negotiations and dialogues putted on a medium term plan to drive Afghanistan in a sort of possible solution based on the power sharing with Taliban and the other opposition armed groups. It could be enough to resolve the Afghan long war, probably, but not enough to resolve all the afghan conflicts. In any case, according to president Karzai, the dialogue would take two to three years to yield concrete results. The time will show us the middle term results, step by step.
Even if military and political plans are ready to be applied immediately, Talibans have all the time they need; it is not the same for the Coalition and the International Community. The time will influence the final result.

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