Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

martedì 14 luglio 2015

The ‘new’ Qatar’s role: a facilitator through global jihadism, insurgency and realpolitik

by Claudio Bertolotti
On 2-3 May 2015, Afghan government officials, Taliban militants, members of the civil society and United Nations Assistance Mission in Afghanistan (UNAMA) met for a meetings in Doha, Qatar, supported by the Canadian-based Pugwash Conferences on Science and World Affairs (a Nobel Prize-winning science group dedicated to promoting peace).
The reunion was a non-official meeting, not supposed to be any sort of negotiation, where all participants were free to express their personal opinions on a non-attributive basis
Both sides, on the one hand, confirmed with official statements the participation to the meeting and, on the other hand, clarified that it was the participants were attending the meetings in their personal capacities. Afghan government called the meetings a ‘scientific discussions’, the Taliban used the definition ‘research conference’; both the sides underlined that the meeting should not be misconstrued as peace or negotiation talks. Still, after years of efforts to get a concrete peace process going, expectations were relatively high for the meeting.

The focus of the discussion was a possible cease-fire, but depending from the total withdrawal of U.S. troops in Afghanistan. A joint final statement based on fifteen main points was released by the Pugwash Conferences on Science and World Affairs. In brief:
1. General appreciation of the positive value of the meeting, and gratitude towards the State of Qatar.
2. Common will to work for peace in Afghanistan ending the conflict.
3. Protection of civilians as a priority.
4. Common opinion on the fact that foreign forces have to leave Afghanistan soon.
5. Remove the Taliban from the black-lists.
6. Contrast to corruption and the production/selling of drugs.
7. The value of education for both men and women was underlined by everybody.
8. Discussion on political system and the constitution of Afghanistan.
9. The model for the government is the Islamic one.
10. The so-called Islamic State (Daesh) is alien.
11. Amicable and cooperative relations with neighboring countries and no interference with Afghan internal affairs.
12. The meeting of 2-3 May 2015 should be followed up by other meetings.
13. The Taliban’s office in Doha should be opened to facilitate meetings and talks.
14. Qatar, UN and non-governmental international organizations should support the peace process.
15. Public interest and well-being of the Afghan people are the main issue.

The most sensitive point still remains the question of the withdrawal of foreign troops: both the sides agreed on the principle that foreign forces to leave the country soon. It is an important step forward to an acceptable exit-strategy although the necessity of the US to maintain the strategic military bases on the Afghan soil.
The Taliban reported that the eight elements of their delegation were all attending in their personal capacities, and that the meeting “should not be misconstrued as peace or negotiation talks.”It is important to underline that the Taliban issued a statement about the event  confirming, on the one hand, that they were taking place and, on the other hand, who was attending (within the Taliban group there were the significant figures of Sher Mohammad Abbas Stanikzai – former top Taliban official and head of the delegation , and Sohail Shaheen – spokesman for the Taliban’s Qatar office).
On the other side, Afghan government group included an assorted range of representatives, among them reconciled Taliban; Tajik, Pashtun and Uzbek leaders; and President Ashraf Ghani’s uncle, Abdul Qayoum Kochai. It is a clear sign of the Afghan government commitment to follow the strategy of the dialogue and the compromise in order to establish a sort of agreement aimed to the power-sharing and a calculated balance of power.
Furthermore, one of the most important factor is represented by the location of the meeting; this is a clear indicator of the willingness of the Qataris to play a key role as intermediaries in Afghan peace talks.
Finally, considering the Pakistani interest in the Taliban dynamics, the Qatari conference could represent an effort by the Afghan Taliban to strike out independently of the Pakistanis.
Claudio Bertolotti, Ph.D, is Assistant Professor of Area Analysis at CSPCO (Turin), Senior Analyst at CeMiSS (Rome), and Italian representative at CEMRES «5+5 Defense Initiative 2015» (Tunis).
 
 

IL “NUOVO” RUOLO DI FACILITATORE DEL QATAR: TRA JIHADISMO GLOBALE, INSURREZIONE AFGHANA E REALPOLITIK

di Claudio Bertolotti
 

Dopo anni di incontri infruttuosi e tentativi di dialogo negoziale tra governo afghano e il movimento dei Taliban qualcosa si è mosso nella direzione auspicata.
Il 24 maggio, i rappresentanti del governo afghano hanno incontrato alcuni delegati taliban nella città cinese di Urumqi. L’incontro, sostenuto dalla Cina – intenzionata a tutelare i propri interessi in Afghanistan e a contenere il crescente jihadismo regionale come all’interno dei propri confini – è stato agevolato da un Pakistan a sua volta impegnato nel tentativo di tutelare il proprio ruolo guida nella gestione delle dinamiche afghane.
Il fine dell’incontro è stato quello di agevolare gli sforzi negoziali tra le parti attraverso la definizione delle precondizioni necessarie al desiderato processo di pace formale.
Un’iniziativa che è seguita di poche settimane a quella che ha portato ufficialmente al tavolo di discussione le parti in causa. Il 2-3 maggio incaricati del governo afghano, dei taliban, rappresentanti della società civile e delegati della United Nations Assistance  Mission in Afghanistan (UNAMA), si sono incontrati in una struttura turistica di Doha, in Qatar; un incontro informale, non ufficiale, sostenuto dal ‘Pugwash International Conference on Science and World Affairs’.
Definita dalle due parti una ‘research conference’ (taliban) e ‘scientific discussions’ (governo afghano), non un dialogo di pace, né un processo negoziale, troppo presto per entrambi; ma un primo passo verso una soluzione negoziata sembra essere stato fatto. Guardando indietro nel tempo e ai numerosi incontri, formali ma non sostanziali, non v’è da illudersi, ma le dinamiche attuali – a cui si unisce il rischio di un’espansione dello jihadismo dell’ISIS anche in Afghanistan – possono aprire a un auspicabile processo di power-sharing e balance of power che includa i gruppi insurrezionali afghani.
Il focus dell’incontro, che si è svolto in maniera cooperativa, costruttiva e amichevole e a cui hanno preso parte circa quaranta rappresentanti ‘liberi di esprimere le proprie opinioni personali’, è stato il ‘cessate il fuoco’ con riserva, vincolato dalla questione presenza militare statunitense su suolo afghano a cui si sono affiancati altri temi laterali, non significativi sul piano sostanziale bensì su quello formale e della comunicazione istituzionale, tra i quali l’apertura dei taliban all’istruzione femminile (forme, metodi e tempi non dichiarati), il riconoscimento del rispetto di alcuni diritti umani per le donne, il riconoscimento e la piena funzionalità dell’ufficio politico dei taliban in Qatar e, come più volte sottolineato nel corso delle precedenti analisi per il CeMiSS, la revisione della Costituzione la cui occasione più opportuna sarà rappresentata dal processo di modifica costituzionale richiesto dal presidente Ashraf Ghani Ahmadzai al fine di formalizzare la posizione di primo ministro esecutivo di Abdullah Abdullah (attualmente Chief Executive Officer, carica non prevista dall’ordinamento istituzionale e costituzionale in vigore). A ciò si accompagna il recente restringimento alle libertà di stampa per i media afghani.
Ottimistiche le valutazioni dell’Alto Consiglio per la Pace, organo istituzionale del governo afghano, espresse da Mohammad Ismail Qasimyar, a capo del comitato per la politica estera del consiglio.
Un aspetto positivo di primo piano è dato dalla pubblicità dell’evento, confermato da entrambe le parti – al contrario che in passato quando le notizie di incontri e dialogo venivano prontamente smentite. Questo è un primo indicatore di un processo in fase avanzata, sebbene sul piano formale i rappresentanti taliban siano intervenuti all’evento ‘in forma privata e a titolo personale’.
Un secondo indicatore è rappresentato dall’alto livello degli otto interlocutori taliban, tra i quali Sher Mohammad Abbas Stanikzai, ex capo taliban di primo piano, e Sohail Shaheen, portavoce dell’ufficio taliban in Qatar, il cui nome venne cancellato dalla lista nera dell’Onu nel 2010.
E anche la località di svolgimento degli incontri è significativa, poiché il Qatar ha da sempre ambito a ricoprire il ruolo di facilitatore e mediatore nel processo di pace afghano, come dimostrato nel 2013 allorquando fece sforzi diplomatici di rilievo che si conclusero con l’apertura dell’ufficio politico dei taliban proprio nella capitale Doha.
Per il governo afghano erano presenti personaggi chiave, tra i quali alcuni ex-taliban “riconciliati”, rappresentanti di alto livello appartenenti ai gruppi di potere etno-politici tagichi, pashtun e uzbechi; tra i partecipanti anche lo zio del presidente Ghani, Abdul Qayoum Kochai. Infine, tre le donne in rappresentanza del governo afghano (anche questo è un ulteriore indicatore favorevole). I dettagli relativi ai due gruppi di rappresentanza sono stati resi pubblici da parte di Nazar Mohammad Mutmaeen, scrittore, giornalista ed egli stesso ex taliban.
I quindici punti dell’incontro del Pugwash International Conference on Science and World Affairs
Il report ufficiale pubblicato dal Pugwash riassume in quindici punti i temi affrontati. In breve:
1. Condivisa gratitudine nei confronti del governo del Qatar per l’ospitalità e l’assistenza fornite.
2. Condivisa necessità di porre fine alle violenze in Afghanistan.
3. Priorità nella protezione dei civili.
4. Condivisa necessità di un ritiro delle forze di sicurezza straniere.
5. Cancellazione delle black-list, nessuna discriminazione e rilascio dei prigionieri politici.
6. Contrasto alla corruzione e produzione/traffico di droga.
7. Necessità condivisa dell’educazione per uomini e donne.
8. Revisione della costituzione.
9. Stato costruito sulla base di principi islamici.
10. Condivisa necessità di contrastare l’espansione del cosiddetto ‘Stato islamico (IS/ISIS/Daesh), riconosciuto come elemento estraneo all’Afghanistan.
11. Rapporto di amicizia e collaborazione con i paesi confinanti, senza interferenza alcuna da parte di questi.
12. Accordo per la condotta di ulteriori incontri tra le parti, in particolare il governo afghano e i taliban.
13. Apertura e riconoscimento formale dell’ufficio politico dei taliban a Doha.
14. Iniziative di supporto alla pace in Afghanistan che coinvolgano Qatar, UN e organizzazioni internazionali non governative.
15. Il benessere della popolazione afghana è il focus dell’incontro e di quelli che seguiranno.
La dichiarazione formale dei taliban
I taliban, attraverso il loro sito web, hanno formalmente ammesso di aver preso parte all’importante iniziativa, hanno ringraziato il ‘Pugwash International Conference on Science and World Affairs’ con particolare riferimento al segretario generale, l’italiano Paolo Cotta-Ramusino e i suoi colleghi e collaboratori, ed espresso gratitudine al governo islamico del Qatar per aver facilitato l’incontro tra le parti. L’analisi del testo della dichiarazione ufficiale mette in evidenza alcuni fattori interessanti.
- In primis il livello strategico in cui si inserisce l’impegno del movimento islamico dei taliban, ossia quello nazionale. I taliban insistono nel rimarcare l’essenza specificatamente afghana del proprio movimento e del proprio impegno, in difesa dell’interesse nazionale e nel contrasto alla distruzione dell’identità islamica e nazionale. Dunque, un approccio che li contrappone ad altri movimenti jihadisti globali/glocali, in primo luogo il fenomeno cosiddetto ISIS&Co. – la galassia insurrezionale che si richiama simbolicamente e mediaticamente allo Stato islamico del Syraq  e che ha fatto la sua recente comparsa anche nell’area dell’Af-Pak.
- L’illegittimità dell’invasione statunitense che ha portato alla caduta dell’Emirato islamico dell’Afghanistan e alla successiva occupazione militare straniera (con specifico riferimento agli Stati Uniti); un’occupazione che impedisce l’avvio di un processo di pace e il ristabilimento di un governo indipendente e di uno stato sovrano e basato sui principi islamici.
- L’illegittimità dell’attuale governo afghano.
- L’illegittimità delle strutture carcerarie in Afghanistan e all’estero (da Bagram a Guantanamo).
- Il riferimento al principio di autodeterminazione e all’indipendenza del popolo afghano, così come la natura islamica e nazionale della resistenza jihadista del movimento taliban.
Tutti elementi, non nuovi, ma che confermano la direzione presa dal movimento, al momento non intenzionato a stringere alleanze con altri gruppi esogeni i cui obiettivi sono in contrasto con la natura nazionale della resistenza dei mujaheddin afghani. Il messaggio è chiaro: la guerra finirà quando se ne saranno andati tutti gli stranieri la cui presenza è lo scoglio principale a un processo di pace.
E i taliban fanno appello a un processo di pace e riconciliazione nazionale che preveda un ruolo chiave giocato da fattori interni, quale la partecipazione attiva di soli attori afghani, e l’esclusione di fattori e vincoli esterni, in primo luogo gli Stati Uniti e gli accordi di sicurezza che ne autorizzano la presenza a lungo termine sul suolo afghano (2024).
La proposta concreta che viene dai taliban pone dunque l’accento su alcune interessanti questioni:
- La più significativa, sul piano politico e ideologico, è il riconoscimento della necessità di una nuova costituzione nazionale (ciò apre alla probabilità di una significativa revisione costituzionale in tempi relativamente brevi su cui peseranno le richieste dei taliban – come più volte anticipato e suggerito in questa sede).
- La necessità di un ufficio politico, formalmente riconosciuto e che svolga il luogo di incontro per i successivi dialoghi negoziali
- L’annullamento della black-list dell’Onu e di qualunque organizzazione internazionale.
- Facilitazione dei paesi confinanti nel processo di ritiro delle truppe straniere.
- Ruolo delle potenze regionali funzionale alla pacificazione e non al sostegno di singoli gruppi di potere afghani.
- L’impegno dell’Emirato islamico sul piano politico, sociale, economico e culturale; in particolare viene posto l’accento alla possibile apertura all’educazione femminile e ai diritti individuali delle donne, nel rispetto dei principi islamici.
- Un processo attivo di pace e riconciliazione sostenuto dalla Comunità internazionale.
 
Analisi, valutazioni, previsioni
A fronte di un processo dialogico inclusivo finalizzato al cessate il fuoco, continua la violenta offensiva di primavera del taliban (denominata ‘Azm’); in breve, si prevede:
- un aumento della pressione sul governo afghano attraverso attacchi spettacolari in particolare attacchi suicidi e commando-suicidi (finalizzati all’attenzione mediatica e alla pressione psicologica, indipendentemente dal risultato tattico ottenuto);
- l’intensificazione di attacchi convenzionali di tipo blitz, caratterizzati da elevata concentrazione di forze (nell’ordine delle centinaia di unità ad elevata mobilità) per limitati periodi ti tempo (alcune ore, al massimo 1/2 giorni) e contro obiettivi puntiformi (caserme delle forze di sicurezza afghane, edifici governativi).
Un’offensiva che nel complesso risulta facilitata dall’assenza di truppe combattenti straniere sul terreno e dalla volontà politica della Comunità internazionale di cessare nella sostanza il confronto militare sul campo di battaglia in previsione di un possibile ritiro, quasi totale, delle forze della Nato nel medio periodo; per contro, rimane confermata una presenza statunitense sul medio-lungo periodo, sulla base del ‘Security and Defense Cooperation Agreement’ (SDCA) i cui numeri non verranno ridotti così come preannunciato (forza totale US/Nato stimata di 15/20.000 unità).
Nel complesso, si valuta come altamente probabile l’aumento di azioni offensive da parte dei gruppi di opposizione armata (GOA), così come l’aumento delle conflittualità interessanti i tradizionali gruppi afghani in contrapposizione ai nuovi attori del conflitto, in testa il fenomeno dell’ISIS&Co. Ciò potrebbe provocare un coinvolgimento di gruppi e comunità marginali sinora non direttamente interessate al confronto, il cui ruolo sarebbe funzionale all’ulteriore destabilizzazione del paese, in particolare le aree periferiche e rurali; il coinvolgimento di milizie locali e/o private, anche in funzione di autodifesa, potrebbe portare a un’escalation sul lungo periodo: si valuta come possibile lo sviluppo di questa linea strategica da parte di gruppi esogeni di ispirazione jihadista.
Non si esclude la possibilità di scissione all’interno dell’eterogeneo macro-gruppo taliban – così come già avvenuto per il Teherik-e Taliban Pakistan – che vedrebbe contrapposta la leadership a parte della frangia radicale forte di una significativa componente ‘giovane’.
In tale dinamica instabilità si uniscono le preoccupazioni di un Pakistan a rischio di esclusione da un ruolo di primo piano nel processo di pacificazione afghana; un’esclusione che avrebbe origine proprio in quei taliban che all’interno dei territori pakistani trovano rifugio. Uno sviluppo che potrebbe aprire ad ulteriori scenari interessanti.
 
Claudio Bertolotti, Ph.D, is Assistant Professor of Area Analysis at CSPCO (Turin), Senior Analyst at CeMiSS (Rome), and Italian representative at CEMRES «5+5 Defense Initiative 2015» (Tunis).