Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

sabato 29 novembre 2014

Un nuovo presidente per l’Afghanistan: un potere a metà ma c’è firma del BSA



di Claudio Bertolotti


29 settembre – Dopo una campagna elettorale particolarmente difficile e un ancor più difficile conteggio (e riconteggio) delle schede elettorali, Ashraf Ghani è oggi il nuovo presidente della Repubblica islamica dell’Afghanistan e, nel rispetto degli accordi tra le parti, Abbullah Abdullah – suo avversario nella competizione elettorale – è stato nominato Chief Executive Officer. Abbullah va così a ricoprire una posizione che formalmente non è prevista dall’ordinamento afghano ma che si è palesata come unica alternativa al collasso politico e al rischio di guerra civile tra i due principali blocchi etno-politici: il macro-gruppo dei pashtun e l’alternativa dei non-pashtun. Non ha vinto la democrazia poiché la soluzione di compromesso tra i principali gruppi di potere ha portato a una divisione formale delle prerogative e delle responsabilità costituzionalmente spettanti al Presidente, ma ha prevalso il principio della ricerca della stabilità, almeno sul breve periodo.
In occasione del discorso inaugurale del nuovo presidente, un appello alla pacificazione è stato indirizzato ai principali gruppi di opposizione armata afghani – i taliban e Hezb-e-Islami di Gulbuddin Hekmatyar – affinché si giunga a un accordo negoziale finalizzato alla conclusione delle conflittualità: una conferma formale di quanto energicamente annunciato da Ghani durante il periodo della campagna elettorale.
Un percorso difficoltoso quello della nuova leadership afghana, che sarà reso più difficile dalla grave situazione economica in cui si trova il paese, dalla limitata capacità funzionale dell’apparato statale,  dalla corruzione endemica, dai concreti limiti delle forze di sicurezza nazionali, dall’offensiva efficace dei gruppi di opposizione armata (taliban in primis).
Un importante atto formale è stata la firma del Bilateral Security Agreement tra Stati Uniti e governo afghano; da gennaio 2015 la presenza militare statunitense sarà dunque legittimata. Parallelamente anche la NATO ha firmato lo Status of Forces Agreement (SOFA) sulla base del quale le truppe dell’Alleanza Atlantica rimarranno in Afghanistan al termine della missione ISAF (dicembre 2014) dando il via all’impegno “Resolute Support Mission” incentrato sull’addestramento e sul sostegno alle Forze di sicurezza afghane.
Immediata la reazione dei taliban che hanno portato a compimento una serie di attacchi suicidi il giorno stesso dell’insediamento del nuovo presidente e hanno formalmente condannato la firma del BSA a cui si opporranno proseguendo i combattimenti sul campo di battaglia.


Nello stesso numero anche

domenica 9 novembre 2014

"Condurre azioni militari in guerra senza la violenza. E' possibile?". Human Aspects in NATO Military Operations - Humint e Human Terrain System

"Condurre azioni militari in guerra senza la violenza. E' possibile?"

Al termine del Workshop on "Human Aspects in NATO Military Operations", momento conclusivo del progetto "Human Aspects of the Operational Environment" diretto dal Centro di Eccellenza HUMINT della NATO (NATO HUMINT COE) di Oradea (Romania), è stato presentato l'innovativo manuale-guida per gli operatori militari e civili della NATO impegnati in aree di crisi.
Una linea guida il cui punto di forza consiste nell'approccio non violento e nella necessità di conoscere in maniera approfondita e consapevole le dinamiche socio-culturali dell'"ambiente umano" all'interno del quale si opera per contenere o risolvere le conflittualità.
Sociologi, storici, politologi, analisti, antropologi, esperti militari, accademici e ricercatori: questi sono i profili dei massimi esperti a livello internazionale - Subject Matter Experts - e componenti il gruppo interdisciplinare che, con grande impegno e convinzione, hanno contribuito alla realizzazione di un prodotto editoriale il cui utilizzo in aree di crisi contribuirà a ridurre la violenza e a salvare vite umane.

Claudio Bertolotti - Analista strategico, Consulente per la mediazione culturale e unico italiano partecipante al progetto - ha coordinato il Panel di ricerca "THE COMPLEXITY OF CROSS-CULTURAL COMMUNICATION". Un'intensa attività iniziata nel 2011 e conclusasi formalmente alla fine del 2014.
Il gruppo di ricerca ha svolto un eccellente lavoro per il Comando della NATO di Bruxelles (NATO HQ), contribuendo, grazie al metodo interdisciplinare e all'approccio olistico, a facilitare lo sviluppo della dottrina dell'Alleanza Atlantica per le attuali e future operazioni militari.

Senza dubbio è stata l'esperienza più stimolante alla quale ho avuto il piacere di fornire il mio contributo di pensiero. E' stato un onore prendere parte a questa avventura, una soddisfazione professionale e personale (Claudio Bertolotti).

Disponibile in versione pdf.
Published with Emerging Security Challenges Division / NATO Headquarters support.
NATO HUMINT Centre of Excellence
Human Aspects in NATO Military Operations / NATO HUMINT Centre of Excellence – Oradea, HCOE, 2014
ISBN 978-973-0-17654-4

lunedì 3 novembre 2014

In Afghanistan dopo il 2014. Le forze Nato rimangono essenziali

 di Claudio Bertolotti
A fronte di un inadeguato livello di sicurezza dell’Afghanistan, due dinamiche favorevoli agevolano la stabilità politica a breve-termine.

La prima è l’accordo tra i due pretendenti alla presidenza della Repubblica islamica dell’Afghanistan che, attraverso un complesso negoziato, si è concluso con la spartizione del potere tra Ashraf Ghani Ahmadzai, formalmente il presidente, e Abdullah Abdullah, artificiosamente nominato Chief executive officer (di fatto un primo ministro).
Si rimane in attesa della revisione della Carta costituzionale per legittimare tale accordo; tempo stimato un anno, ma parliamo di tempi afghani. Una soluzione che, elettori a parte, rende soddisfatti i principali gruppi di potere (pashtun e non-pashtun), avvia il processo di power-sharing, posticipa una possibile guerra civile e apre al processo negoziale con i taliban, ma non è garanzia di stabilità a medio-lungo termine.
 

L’accordo sullo statuto delle forze
La seconda è la firma dei tanto attesi accordi di sicurezza. Il 30 settembre il governo afghano ha infatti firmato il Security and Defence Cooperation Agreement (già Bsa - Bilateral Security Agreement) con gli Stati Uniti, e lo Status of Forces Agreement (Sofa) con la Nato; il secondo è il prerequisito per la permanenza di truppe straniere in Afghanistan dal gennaio 2015.
Inoltre, gli accordi consentono al nuovo establishment afghano di recuperare la credibilità di uno stato a rischio di fallimento che avrebbe potuto essere abbandonato a sé stesso; un doppio risultato, ottenuto nei confronti dell’opinione pubblica afghana (consenso interno), e dei partner internazionali (credibilità).
Una decisione responsabile, primo atto formale del governo di “unità nazionale”, che ha consentito di ottenere un ulteriore effetto favorevole: la conferma degli aiuti economici internazionali, la cui interruzione avrebbe portato al caos a causa di un’economia nazionale totalmente dipendente dai finanziamenti stranieri.

La guerra ai terroristi prosegue
Con la chiusura della missione Isaf a fine anno, la Nato limiterà il suo impegno al sostegno delle forze afghane attraverso attività train, assist e advise.
Ma, benché l’attenzione mediatica sull’Afghanistan sia concentrata sul futuro impegno dell’Alleanza atlantica, è importante evidenziare come sul piano operativo - nel solco della tradizione che ha visto Isaf al fianco di Enduring Freedom - saranno due le “anime” della componente militare: la “Resolute Support”, missione Nato non-combat a guida statunitense, e la missione Usa di contro-terrorismo, questa sì di combattimento, indipendente dalla Nato e finalizzata al contrasto di al-Qahida e dei gruppi a essa affiliati (tra i quali anche i taliban, qualora non aderissero all’ipotesi di soluzione negoziale).
Sul piano temporale, sebbene Obama insista - per ragioni di opportunità politica interna (elezioni di mid-term) - nel definire quello afghano un impegno a breve termine (“dimezzamento delle truppe nel 2016 e completo ritiro nel 2017”), gli accordi Usa-Afghanistan sanciscono la disponibilità di basi militari fino al 2024, con possibilità di rinnovo; dunque, al di là delle parole, un impegno a lungo termine.
Sul piano spaziale, alle forze straniere è garantito il possesso di basi militari operative e strategiche, aeroporti e porti terrestri, per tutto il periodo di permanenza sul suolo afghano (2024). Centro della nuova missione è l’asse Kabul/Bagram attorno a cui gravitano i quattro punti radiali di Mazar-i-Sharif (nord), Herat (ovest), Kandahar (sud), e Jalalabad (est).
In tale contesto, sebbene quello afghano tenda a imporsi come fronte secondario - ma non stabilizzato - l’Italia onora l’impegno preso. E lo fa garantendo una presenza militare di tutto rispetto (circa mille uomini) e il ruolo di leadership dell’area occidentale del paese (Herat), insieme a Stati Uniti (Bagram, Kandahar e Jalalabad), Germania (Mazar-i-Sharif) e Turchia (Kabul).
Un impegno che prosegue parallelamente a quello annunciato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti e volto a confermare un ruolo attivo dell’Italia nella lotta allo jihadismo dello Stato Islamico (IS/Isis) ormai giunto sulle coste del Mediterraneo.

C’è un legame tra Medio Oriente e Afghanistan
Ma la scelta non deve e non può essere tra la lotta al terrorismo in Medio Oriente e il sostegno all’Afghanistan poiché, in un mondo sempre più interconnesso dove alle conflittualità locali si sovrappongono le dinamiche globali, la violenza radicale che imperversa nel Vicino e Medio Oriente si espande a macchia d’olio (compreso in Libano, dove è impegnata militarmente l’Italia) arrivando a colpire anche l’Europa e l’Asia.
Al di là dei risultati sul campo di battaglia, preoccupano la diffusione dell’ideologia, il suo radicamento, il proselitismo che accende la violenza e che permane negli animi. E un Afghanistan non stabilizzato è una terra di facile conquista per le ideologie radicali; come la storia recente del paese insegna.
I taliban di oggi non sono quelli del 2001, ma potrebbero tornare a esserlo attraverso il contatto (reale o “virtuale”) con i radicali operativi in Iraq, o in Siria; anche in questo caso un copione già conosciuto. E nell’ottica di promuovere il consolidamento del fronte sunnita contro l’Occidente, i taliban pachistani hanno già fatto la loro scelta sostenendo pubblicamente la causa dell’Isis.

Una ragione in più per tenere viva l’attenzione sull’Afghanistan.


Claudio Bertolotti, analista strategico, ricercatore senior presso il Centro militare di Studi Strategici e docente di “Analisi d’area”, è stato capo sezione contro-intelligence e sicurezza di Isaf in Afghanistan. È membro di Itstime