Afghanistan Sguardi e Analisi

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Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

lunedì 7 novembre 2011

Herat più insicura? Sequestrati e poi liberati i contractor italiani

di Claudio Bertolotti


Herat: un commando suicida attacca la sede delle Nazioni Unite nell’ottobre 2010; un’altra azione commando suicida colpisce il Provincial Reconstruction Team a maggio 2011; l’ultima in ordine di tempo è l’azione che un terzo commando porta a termine il 3 novembre contro la sede di una compagnia privata che fornisce servizi logistici ai contingenti della Coalizione.
L’azione dei taliban ha interessato la sede dell’Es-Ko International, sequestrando per alcune ore trentuno civili, fra cui sei italiani. Stando alle rivendicazione del portavoce taliban Qari Yossuf Ahmadi, l’attacco è iniziato intorno alle nove del mattino con un veicolo bomba che si è lanciato con i suoi trecento chilogrammi di esplosivo contro l’ingresso principale della base; a seguire sono riusciti ad attraversare il varco altri tre attentatori suicidi – i mujaheddin Muhammad Yousuf, Farooq e Hafiz Yahya – equipaggiati con armi leggere, medie e con giubbetti esplosivi: una tattica ormai collaudata e in grado ottenere risultati efficaci e soddisfacenti, se non dal punto di vista operativo, certamente da quello mediatico. Tutti gli assalitori sono infatti morti durante l’attacco e in seguito al blitz delle forze speciali italiane della Task Force 45 sostenute dalle forze di sicurezza afghane, ma i media nazionali e internazionali hanno potuto confermare di cosa sono capaci i gruppi di opposizione armata afghani. Una missione che entrambi i contendenti hanno presentato come un successo, nel rispetto di una guerra che si è spostata sul piano mediatico, ma che, per quanto ci riguarda, indica che qualcosa non va.
Al di là dell’avvenuta “neutralizzazione della minaccia”, quello inferto è un duro colpo alla strategia di transizione che vorrebbe consentire il passaggio di responsabilità al governo afghano e alle sue forze di sicurezza in tempi brevi. Eppure, quello appena concluso, è il terzo grande attacco avvenuto negli ultimi tredici mesi in quella che è una delle zone più sicure dell’Afghanistan, la tranquilla città Herat. È, insomma, una risposta concreta – e non l’azione estrema di un gruppo di disperati – alle intenzioni dichiarate dalle forze della Coalizione di avviare il «passaggio di responsabilità» al governo afghano – il processo di «afghanizzazione» del conflitto che preannuncia lo sganciamento da un impegno militare sempre più oneroso e poco sostenuto da un’opinione pubblica distante e indifferente.
In un contesto operativo in progressivo deterioramento, Herat non è il nuovo fronte dell’offensiva insurrezionale, bensì il vecchio fronte che si è allargato. L’offensiva Al-Faath (la Vittoria), che i taliban hanno avviato nella primavera del 2010, si è conclusa con un bilancio positivo per i mujaheddin del mullah Omar e ha lasciato la Coalizione in una situazione di «stallo dinamico»: una condizione di movimento delle truppe sul terreno ma senza la reale possibilità di controllo del territorio né di contrasto all’avanzata taliban sui piani militare e sociale. I fatti lo dimostrano ormai da tempo. L’offensiva al-Badar, avviata il 1° maggio 2011, non ha tardato a mostrare le reali capacità operative di un’insurrezione sempre più fenomeno sociale: azioni mordi e fuggi, imboscate, ordigni esplosivi improvvisati (Ied), uccisioni mirate, sabotaggio delle vie di comunicazione militari e, infine, i tanto temuti attentati suicidi. Nulla di tutto questo sarebbe avvenuto se non ci fosse stato un minimo supporto di parte della popolazione.
Ma quello di Herat è solo uno dei tanti episodi riportati dai media che, di massima, si limitano a descrivere le azioni taliban come una mera successione di eventi non correlati tra loro. Eppure il mutare e adeguarsi delle tattiche e degli obiettivi colpiti dovrebbero suggerire la razionalità di una strategia insurrezionale che tiene in giusta considerazione il rapporto tra i successi a medio-lungo termine e gli inevitabili danni collaterali. Una scelta che, al di là dei risultati ottenuti sul campo di battaglia, riesce e tenere impegnati polizia, eserciti e “agenzie di sicurezza” in un continuo sforzo volto a contrastare in maniera sistematica gli effetti di questa mutata strategia senza che vi sia un’effettiva comprensione del fenomeno insurrezionale in sé.
Nel rispetto delle norme di linguaggio della Nato, il vicecomandante dell'Isaf Joint Command –generale Riccardo Marchiò – ha assicurato che la situazione complessiva in Afghanistan migliora giorno dopo giorno «sia sul versante della sicurezza che della ricostruzione». Questo nonostante i dati e le statistiche tendano a dimostrare l’esatto contrario.

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