Afghanistan Sguardi e Analisi

Afghanistan Sguardi e Analisi

"
Afghanistan: Sguardi e analisi" è un progetto aperto finalizzato a comprendere e discutere le ragioni - e le possibili soluzioni - dei conflitti afghani.

giovedì 14 aprile 2011

Afghanistan 2011: una valutazione generale

di Claudio Bertolotti

La fase combat potrà intensificarsi nei prossimi mesi, aveva detto Petraeus poco meno di un anno fa. È trascorso non troppo tempo e in effetti i combattimenti si sono intensificati, sul fronte della Coalizione come su quello taliban. La recente relazione del Generale Petraeus al Comitato per le Forze armate del senato statunitense si è mossa nella giusta – e forse scontata – direzione, confermando la fiducia nella strategia contro-insurrezionale. Il comandante delle forze internazionali in Afghanistan ha voluto insistere su alcuni aspetti principali per descrivere ciò che si sta facendo ed è necessario continuare a fare nella guerra afghana. Tre, sono i principali argomenti esposti alla commissione statunitense.

Il primo è lo sforzo militare, necessario per riconquistare terreno e danneggiare le infrastrutture logistiche e operative dei gruppi insurrezionali in Afghanistan.

Il secondo è lo sforzo civile, per accelerare il processo di costruzione delle infrastrutture statali, ormai da troppo tempo danneggiate e incapaci di operare in un contesto di guerra combattuta, per poter così procedere verso la normalizzazione di alcune delimitate aree del paese.

Il terzo è la costituzione e l’addestramento delle forze di sicurezza nazionali e il loro impiego operativo nella guerra all’insurrezione. La campagna militare guidata dagli Stati Uniti non si muove però solamente sul campo di battaglia, bensì anche – e principalmente – sul piano mediatico. Dunque l’annuncio dei successi operativi del 2010 e dei primi mesi del 2011 sembrerebbe rivelare lo stop a un’offensiva taliban in grado di conquistare terreno ininterrottamente dal 2005. Un’inversione di tendenza è stato cautamente detto dagli organi informativi della Coalizione. Le ragioni di questo successo sono forse da ricercarsi nell’aumento delle truppe sul terreno o, più verosimilmente, nell’accurata selezione delle informazioni lasciate trapelare attraverso un sempre più efficace sistema di informazione militare e sulla padronanza delle regole comunicative? Forse si tratta di un successo esclusivamente mediatico? Non si può dire che si riduca a questo lo sforzo dello strumento bellico statunitense, sarebbe ingiusto negare un’evoluzione che, se non negativa e non propriamente positiva, possiamo comunque definire neutra; per usare una formula già utilizzata in un precedente articolo, uno stallo dinamico. Nel 2010, quando per la prima volta il generale Petraeus comparve innanzi al Congresso degli Stati Uniti, indicò attraverso una valutazione nella sostanza pessimistica gli ostacoli più grandi che bloccavano la via verso il successo; lo fece concentrandosi – non essendo ancora il comandante delle truppe sul terreno – su aspetti squisitamente militari: nella sostanza denunciò, poco velatamente, un’eccessiva cautela concettuale nella condotta della guerra. Oggi, subentrato nel comando delle forze militari in Afghanistan al generale Stanley McChrystal, a distanza di poco meno di un anno dall’avvio di una più pressante campagna militare e dalla revisione della dottrina contro insurrezionale – che lui stesso aveva contribuito a formulare – è più cauto nelle esternazioni e anche i toni utilizzati paiono edulcorati. La parola successo viene utilizzata, seppur con prudenza, per quanto alcuni aspetti – di natura più politica che militare – vengano comunque messi in evidenza: un governo Karzai visto come corrotto e incapace, la capacità offensiva e la volontà di combattere degli insorti, i santuari dei taliban nelle aree pachistane dove i droni sono in grado di colpire ma non di eliminare il problema. Un successo relativo, dunque, quello dichiarato da Petraeus; un successo, per usare le sue stesse parole, fragile e reversibile che potrebbe lasciare gli Alleati con un pugno di mosche in mano se impreparate a reagire all’offensiva di primavera del taliban. E se dal fronte militare giungono echi ottimistici, quello civile non è da meno. Investimenti nella ricostruzione di infrastrutture, accessibilità ai mercati locali, aumento della percezione di sicurezza da parte della popolazione civile; tutti fattori ampiamente pubblicizzati e puntualmente contestati dai dati di fatto che riportano alla realtà con statistiche tutt’altro che ottimistiche. Anche la costruzione delle forze di sicurezza afghane – esercito e polizia – procede verso gli obiettivi prefissati durante il Summit della Nato a Lisbona. 260.000 tra soldati e agenti di polizia nazionale, che diventeranno 350.000 entro l’autunno e 400.000 nel 2013. Un esercito e una polizia che raggiungono i risultati sperati sul piano quantitativo ma non su quello qualitativo dal momento che solamente il trenta percento dell’esercito – e il dodici percento della polizia – è in grado di poter operare in autonomia senza il sostegno delle forze della Nato e della Coalizione. Non abbastanza per garantire il controllo dell’Afghanistan ma quanto basta per dichiarare l’imminente passaggio di consegne tra le forze internazionali e quelle afghane in settanta aree “normalizzate” – tra queste la città di Herat, ma non la sua provincia, sede del Regional Command West a guida italiana. Petraeus è un professionista sul piano militare, ma lo è ancora di più su quello politico. Nella sua relazione al Comitato, il generale ha fortemente insistito sull’importanza di un corretto approccio alla realtà locale – prova ne sono i quaranta milioni di dollari investiti nella costituzione degli Human Terrain Team composti da antropologi, sociologi ed esperti di scienze umane –; così come ha insistito sulla necessità di migliorare le infrastrutture, ridurre al minimo gli “effetti collaterali” – che nel vocabolario politico-militare indica le vittime innocenti –. Ma ciò su cui Petraeus insiste è l’ormai sdoganata possibilità, anzi necessità, di dialogo con i taliban: auspicabile intesa finalizzata alla fatidica soluzione di compromesso. Una soluzione che, al di là degli effetti sul campo di battaglia e ancor più sul piano sociale, punta a un successo politico o quantomeno a una formale «non sconfitta». Una finestra di opportunità, ha detto Petraeus, è stata aperta per avviare i colloqui con i taliban al fine di reintegrarli sul piano politico e ridurre le violente ripercussioni della guerra sul Paese, un prerequisito per completare la strategia di stabilizzazione statunitense della regione e con essa, verosimilmente, il disimpegno di una consistente parte dell’esercito americano – che rappresenta al tempo stesso la conditio sine qua non per la possibile rielezione del presidente Obama nel 2012, giacché la sua ricandidatura è ormai un fatto assodato. Un gioco non semplice e che si sta dimostrando più difficile e complesso del previsto. I taliban non sono una realtà monolitica, dunque non esiste una controparte con cui trattare, bensì correnti e movimenti differenti. Vecchia generazione di combattenti e neo-taliban convivono e collaborano sul campo di battaglia, ma spinte ideologiche, motivazionali ed end-state non sempre coincidono. Questo rende tutto più difficile. Secondo Petraeus, in questa fase in cui sul piano diplomatico tutto è permesso, il presidente Karzai rimane un partner importante, nonostante recenti critiche e contrapposte prese di posizione. Lo stesso Karzai che da una parte punta il dito contro gli Stati Uniti e la Coalizione, e dall’altro allunga la mano per chiedere – e ottenere – i necessari contributi per poter sopravvivere. L’opinione pubblica afghana – quella rurale ma non quella urbana – è sempre meno pro-Karzai e sempre più orientata verso una soluzione che non escluda un ruolo importante dei taliban. Dunque il tentativo di conquistare i cuori e le menti degli afghani non è ancora stato raggiunto; in questo il ruolo della propaganda taliban ha fatto sentire tutto il peso di un’organizzazione mediatica di tutto rispetto, al pari di quella occidentale.


13 aprile 2011



Afghanistan 2011: general assessment Combat may get more intense in the next few months, Gen. David H. Petraeus said an year ago. When he appears before Congress in 2010 to tout progress in Afghanistan, he will face a pessimistic assessments about the war, including the intelligence community's conclusion that tactical gains achieved by military surge have failed to fundamentally weaken the Taliban. At the moment, a year after the launch of a revamped counterinsurgency, several obstacles persist. In his recent testimony in mid-March, Petraeus focused on three main components: military effort to conquer land and damage the country’s terrorist infrastructures; civilian effort to accelerate construction of the state’s infrastructures, so as to allow for normalization process; training of Afghan security forces and their increased involvement in combat and security operations. From the military standpoint, there were many successes but Petraeus stressed that these successes are fragile and reversible, especially in light of the Taliban’s expected traditional spring offensive. Successes reported by military media but not confirmed by facts and tangible results: no definitive military offensives and “human terrain” control, not satisfactory rebuilding process, not well-organized and proficient national security forces. However the end-state is political and not military…

Nessun commento:

Posta un commento