L’operazione Badar – così è stata chiamata dalla leadership dell’Emirato – segue senza soluzione di continuità la precedente micidiale offensiva taliban del 2010, l’operazione al-Faath, caratterizzata da un massiccio impiego di attentatori e commando suicidi, imboscate e attacchi Ied (Improvised explosive devices - ordigni esplosivi improvvisati) e, pericolo sempre più reale, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane. Un’offensiva, quella del 2011, avviata in grande stile e anticipata pochi giorni fa dalla strabiliante operazione che ha portato alla fuga dal carcere di Kandahar di 474 insorti, tra i quali alcuni comandanti militari di medio livello.
Anche quest’anno i taliban sono stati chiari, espliciti nei loro intenti; e non vi è da dubitare che metteranno in pratica quanto minacciato, poiché è sufficiente guardare indietro, al numero di azioni, alle statistiche relative ai danni inferti, per rendersi conto del potenziale militare, delle capacità offensive e del sempre più ampio consenso (spontaneo e indotto) tra gli strati sociali delle più o meno remote realtà rurali dell’Afghanistan.
Badar è un’operazione di jihad che si estenderà a tutto il territorio del Paese seguendo la logica della guerriglia: azioni mordi e fuggi, imboscate, Ied, uccisione di rappresentanti dell’amministrazione civile, sabotaggio delle vie di comunicazione militari, cattura di soldati stranieri, attentati suicidi e, infine, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane. Un copione ormai collaudato che li porterà a scegliere obiettivi appaganti dal punto di vista mediatico, utilizzeranno commando suicidi tecnicamente sempre più preparati contro le infrastrutture delle forze militari straniere e afghane, si infiltreranno nelle forze di sicurezza locali e nazionali per poter raccogliere informazioni e colpire direttamente dall’interno così come avvenuto nell’ultimo anno (l’ultimo attacco avvenuto il 27 aprile all’aeroporto di Kabul ha provocato la morte di otto militari e un contractor statunitensi). Lo hanno detto e lo faranno, non si tratta di semplice propaganda. Oggetto del fuoco taliban saranno i principali centri urbani, la capitale Kabul, Kandahar e Lashkar-Gah nel sud, Kunduz nel nord e Herat nell’ovest. Se il Pentagono nel suo report è stato estremamente cauto nel non utilizzare il termine «vittoria», i taliban sono stati parimenti espliciti nel manifestare i loro intenti:
1. Colpire le basi militari, gli aeroporti, i depositi di munizioni e i convogli logistici in tutto il territorio del paese;
2. Concentrare l’offensiva su obiettivi militari stranieri, le agenzie intelligence, i contractor, i vertici civili e militari dello Stato afghano, rappresentanti politici e funzionari istituzionali, dirigenti delle organizzazioni straniere e locali che collaborano con le forze militari e con il governo di Kabul;
3. Colpire i componenti della Peace Jirga che, con il loro comportamento, si sarebbero resi compici del prolungamento del conflitto attraverso una politica ambigua e corrotta in favore dell’occupazione militare straniera; con essi verranno colpiti tutti coloro che si oppogono al jihad e alla lotta di liberazione nazionale.
Al tempo stesso il messaggio dell’Emirato islamico ha posto l’accento su due aspetti importanti.
Il primo è quello che, da un lato, impone ai mujaheddin di prestare la massima attenzione alla protezione e alla salvaguardia delle popolazioni civili attraverso una pianificazione meticolosa delle azioni militari e l’utilizzo di adeguati e sofisticati equipaggiamenti per colpire le forze nemiche aeree e terrestri; dall’altro lato, i taliban chiedono ai civili di rimanere lontani da quelli che sono gli obiettivi designati, e cioè tutto ciò che è straniero e legato al governo di Karzai.
Il secondo punto, di natura squisitamente politica, insiste sugli argomenti a giustificazione del conflitto in Afghanistan e la prosecuzione della lotta contro le forze occidentali e del governo di Kabul: la difesa dell’Islam attraverso il jihad e la lotta di liberazione nazionale contro gli invasori stranieri e i loro collaborazionisti responsabili di crimini di guerra, uccisioni indiscriminate, distruzione di proprietà privata e beni comunitari e oltraggio al Corano; la religione è sempre un forte strumento di giustificazione.
I taliban stavano attendendo il momento giusto per dare inizio all’offensiva di primavera. Il movimento degli studenti coranici, in grado di muoversi in maniera relativamente sicura in quasi tutto il territorio dell’Afganistan, si è preparato per riprendere quanto strappato dalla Coalizione a partire dall’agosto dell’anno scorso.
I vertici della missione Isaf si aspettano un ulteriore aumento nel numero e nell’intensità delle azioni offensive contro le forze di sicurezza nei prossimi dodici mesi; nonostante i duri colpi inferti al movimento insurrezionale nel corso del 2010 i taliban sembrano essersi rinvigoriti, galvanizzati da un successo che appare sempre più inarrestabile. Nel 2007 le fonti intelligence fornivano un dato variabile da 5.000 a 7.000 elementi operativi, nel febbraio del 2009 erano 10-15.000; stando a quanto afferma l’intelligence americana, la cifra attuale si dovrebbe attestare su 25-35.000 militanti operativi in Afghanistan, cifra elevata a 50.000 allargando il conteggio alle agenzie tribali del Pakistan. Fonti ufficiali della Nato hanno confermato tali numeri: una cifra "approssimativa" ma identica a quella dell'anno scorso, precedente all'arrivo dei rinforzi, e nonostante nel 2010 gli insorti abbiano registrato 5.225 morti e 949 feriti sul territorio afghano. Se tali stime ufficiali sono corrette è confermata l’elevata capacità dei gruppi di opposizione di arruolare nuove reclute che, detto in altri termini, significa inarrestabile capacità di rigenerazione. Combattere per difendere il proprio popolo e per difendere sé stessi, è questo l’efficace messaggio dei taliban.
La lettura dei proclami, degli annunci e dei messaggi mediatici dell’una e dell’altra schiera consente di spostare l’attenzione su capacità e volontà delle parti in conflitto, lasciando in secondo piano ciò che invece è molto più importante, ossia il tentativo di accordo e compromesso tra chi deve per forza andarsene e chi, comunque, rimarrà in Afghanistan.
In ogni caso l’offensiva Badar inizia l’11 Saur Hijri, ossia il primo maggio.
30 aprile 2011