di Claudio Bertolotti
As reported by IWPR Institute for War & Peace Reporting, local defense units said to be turning on villagers rather than providing security.
The idea of creating and arming tribal and local forces is hugely sensitive in Afghanistan, given the country’s long history of conflict, often involving paramilitary tribal groups.
Residents of western provinces of Afghanistan have complained that local militias set up to protect communities from the Taliban have been harassing, robbing and killing civilian people; new militias, it is reported, are acting with impunity and bringing instability rather than security. Approximately 1,000 local militias’ member are currently active in various districts of the province of Badghis but they are not officially registered with the government.
On occasion these individuals are involved in instability, armed robberies and cooperation with the armed opposition groups, but since central government has taken the decision to form them, Afghan national police are unable to confront them.
In summer 2010, afghan government decided to replace the local militias with a local police force (Lpf) under Ministry of interior control. A new title – Local Police Force – for a new attempt to put under control peripheral areas: a real risk for a weak central power.
Recentemente, a Kunduz, quarantasei volontari afghani hanno ultimato il corso da agenti di polizia locale tenuto dalle forze speciali statunitensi. Questa forza di polizia, nata per contrastare i movimenti insurrezionali e per sostituirsi alle milizie tribali meglio conosciute come Arbakai, è la recente iniziativa avviata dal Ministero degli Interni dietro la spinta degli Stati Uniti, Petraeus in primis, per tentare di arginare l’insurrezione nelle aree periferiche dell’Afghanistan. Non solamente una forma di contrasto armato ai gruppi di opposizione, ma una formula di competitività sul piano occupazionale il cui intento principale è quello di attirare molti di quei giovani che altrimenti aderirebbero ai movimenti insurrezionali in qualità di ten dollars taliban, coloro che si uniscono alla lotta armata per questioni di necessità economica e non per convinzione ideologica. Al di là della dubbia efficacia di tale iniziativa e dei deludenti risultati sinora raggiunti, il piano di contrapporre alle milizie tribali – che nella pratica continueranno a rappresentare l’espressione dei poteri locali e a esserne strumento di confronto e scontro – una forza locale di polizia non può che indicare un progressivo allontanamento del potere centrale, per altro già relativamente debole quando non del tutto assente, dalla periferia. Spesso chi aderisce alle milizie tribali, così come chi si unisce ai gruppi di opposizione armata, e adesso alle forze di polizia locale, lo fa spinto da ragioni sì di carattere economico ma più spesso indotto da altre logiche tra le quali il senso di appartenenza culturale e tribale, i codici d’onore tribali, o la volontà di difesa degli interessi della propria comunità, non necessariamente sotto la minaccia dei gruppi di opposizione.
Il progetto delle Arbakai, nato spontaneamente ma riconosciuto formalmente a livello locale ha deluso le aspettative di chi, nonostante le forti critiche e le valutazioni di rischio potenziale a più voci sollevate, le ha fortemente volute. Le forze di polizia locale, nate con lo scopo di risolvere nel breve termine questo problema non hanno però ancora dimostrato di essere davvero efficaci. Spesso l’una e le altre sono difficilmente riconoscibili mentre gli effetti sul fattore sicurezza appaiono quantomeno dubbi.
Ishaq Nizami, uno dei diplomati all’ultimo corso per poliziotti locali conclusosi a Kunduz la settimana scorsa, testimonia il rischio potenziale di ravvivare un conflitto latente di natura interetnica: «Ho perso tre fratelli nella guerra contro i taliban e io stesso sono stato ferito. Prima di questo ero anche io un taliban ma ho lasciato la lotta insurrezionale a causa delle brutalità a cui ho assistito ».
Molta gente non ama le Arbakai né, tantomeno, il nuovo soggetto chiamato a sostituirle e che spesso è costituito dagli stessi elementi a cui, adesso, viene legittimamente attribuito un ruolo istituzionale. Spesso, come accaduto nel distretto di Imam Sahib, le comunità protestano a gran voce tanto contro i taliban quanto contro le milizie tribali. Haji Aman Otmanzoy, uno degli anziani che partecipano alle shurà comunitarie, ha accusato le stesse Arbakai di essere fonte di insicurezza e illegalità dal momento che, invece di combattere la presenza degli insorti, si dedicano ad attività molto più redditizie e meno pericolose come la rapina e il taglieggiamento ai danni delle comunità locali.
Come recentemente riportato dall’Institute for War & Peace Reporting , gli abitanti delle provincie orientali hanno ormai compreso che le milizie tribali, organizzate per proteggere le popolazioni dalle violenze dei taliban, rappresentano invece una minaccia concreta essendosi macchiate, impunemente, di crimini quali furto, violenze e uccisioni arbitrarie nei confronti della povera gente. Il Village Stability Programme, avviato per fornire ai membri delle Arbakai un adeguato addestramento per poter garantire la sicurezza delle proprie comunità, si è rivelato invece un controverso programma dai risultati tutt’altro che soddisfacenti.
Il mullah Naim della provincia di Badghis, sotto responsabilità italiana, è stato ripetutamente minacciato da alcuni componenti della locale Arbakai in seguito della denuncia di collusione tra questi e i taliban operativi nell’area. Una denuncia che è costata la vita alla madre e ha portato al ferimento della matrigna (la seconda moglie del padre) costringendo Naim ad abbandonare, con il resto della famiglia, il proprio villaggio di Darzak nel distretto di Jawand.
Un portavoce delle forze Nato in quell’area ha confermato che molte delle azioni condotte da gruppi di opposizione contro obiettivi nel distretto hanno avuto origine nell’attività di raccolta informazioni da parte delle stesse milizie tribali collegate agli insurgent. È ormai noto che molti appartenenti a queste unità sono ex taliban che, pur avendo aderito al processo di reintegrazione ed essendo divenuti “poliziotti locali”, non hanno reciso i rapporti con i movimenti insurrezionali di provenienza. Ciò ha portato alla paradossale situazione di legittimare l’uso delle armi e delegare la sicurezza a coloro che, a diverso titolo, sono comunque legati alla minaccia che si vuole eliminare o, più realisticamente, tentare di contenere.
Mille sono approssimativamente i miliziani-poliziotti delle Arbakai nella provincia di Badghis, ma il numero è puramente indicativo poiché non esiste un registro degli organici e delle unità operative; detto in altri termini, ancora non è possibile definire quanti e dove siano gli agenti della polizia tribale legittimati dal Village Stability Programme. E dunque non è possibile dire se le Forze di polizia locale potranno contare sul supporto di queste o dovranno sostituirsi a esse, anche con l’uso della forza, portando a conseguenze deleterie sul piano dei conflitti interetnici e tribali.
Haji Qari, ex rappresentante del governo locale del distretto di Bala Murghab, conferma questa valutazione affermando che le milizie tribali, equipaggiate e addestrate dalle forze di sicurezza straniere, contribuiscono attivamente all’instabilità dell’area ma che al momento non vi è iniziativa alcuna da parte governativa per porre termine a questa fonte di minaccia alla sicurezza. Dello stesso parere è Lal Mohammad Omarzai, a capo del distretto di Shindand, provincia di Herat, che denuncia l’inaffidabilità dei duecento uomini armati – dalle forze straniere sostiene Lal Mohammad – che nell’area di Zirkoh sono spesso dediti al taglieggiamento e alla giustizia spicciola. Tre uomini, interpreti delle forze di sicurezza internazionali, sarebbero stati uccisi recentemente proprio nella valle di Zerkoh; dietro a questi omicidi ci sarebbe l’ombra delle milizie tribali. Ma la risposta di Abdorrahman, comandante di una milizia di Shindand, nega ogni coinvolgimento dei suoi uomini in tali azioni, per quanto non escluda che alcuni singoli soggetti possano essere implicati in episodi isolati di violenza nei confronti della popolazione civile. Episodi, sostiene Abdorrahman, su cui sarà fatta chiarezza.
La presenza dei taliban e di altri gruppi di opposizione è diminuita in seguito alla costituzione delle milizie tribali? Difficile dirlo, specialmente quando le azioni attribuibili agli insorgenti o alle milizie tribali non sono facilmente riconoscibili. Quel che è certo è che tali milizie, strumento di potere locale sempre più forte e fuori controllo, sono riuscite – complice la necessità di svincolare truppe straniere dall’impegno prolungato nelle aree periferiche – a guadagnarsi la “fiducia” del governo centrale e delle forze di sicurezza della Coalizione sempre ben disposte a elargire finanziamenti e a fornire equipaggiamenti militari. Eppure gli episodi di violenza e manifesta inaffidabilità non mancano.
Alcuni mesi fa, ha dichiarato un ufficiale di polizia all’Institute for War & Peace Reporting, uno scontro armato con gli abitanti di Bala Murghab ha portato alla morte di due donne e di un appartenente alle milizia tribali. Nessun taliban sarebbe stato coinvolto in questo episodio di violenza causato, stando alle parole della polizia, dalla pretesa da parte dei miliziani di raccogliere tributi dalla popolazione locale.
Abdul Rauf Ahmadi, portavoce della polizia nazionale, ha confermato che episodi del genere non sono rari.
Nell’estate del 2010 il governo afghano ha deciso di sostituire le milizie tribali con una forza di polizia locale controllata dal governo centrale. Nuovo nome – forze di polizia locale – per un tentativo ulteriore di mettere sotto controllo le aree periferiche attraverso la delega alla sicurezza: un rischio non da poco per un potere centrale sempre più debole.
15 dicembre 2010
As reported by IWPR Institute for War & Peace Reporting, local defense units said to be turning on villagers rather than providing security.
The idea of creating and arming tribal and local forces is hugely sensitive in Afghanistan, given the country’s long history of conflict, often involving paramilitary tribal groups.
Residents of western provinces of Afghanistan have complained that local militias set up to protect communities from the Taliban have been harassing, robbing and killing civilian people; new militias, it is reported, are acting with impunity and bringing instability rather than security. Approximately 1,000 local militias’ member are currently active in various districts of the province of Badghis but they are not officially registered with the government.
On occasion these individuals are involved in instability, armed robberies and cooperation with the armed opposition groups, but since central government has taken the decision to form them, Afghan national police are unable to confront them.
In summer 2010, afghan government decided to replace the local militias with a local police force (Lpf) under Ministry of interior control. A new title – Local Police Force – for a new attempt to put under control peripheral areas: a real risk for a weak central power.
Recentemente, a Kunduz, quarantasei volontari afghani hanno ultimato il corso da agenti di polizia locale tenuto dalle forze speciali statunitensi. Questa forza di polizia, nata per contrastare i movimenti insurrezionali e per sostituirsi alle milizie tribali meglio conosciute come Arbakai, è la recente iniziativa avviata dal Ministero degli Interni dietro la spinta degli Stati Uniti, Petraeus in primis, per tentare di arginare l’insurrezione nelle aree periferiche dell’Afghanistan. Non solamente una forma di contrasto armato ai gruppi di opposizione, ma una formula di competitività sul piano occupazionale il cui intento principale è quello di attirare molti di quei giovani che altrimenti aderirebbero ai movimenti insurrezionali in qualità di ten dollars taliban, coloro che si uniscono alla lotta armata per questioni di necessità economica e non per convinzione ideologica. Al di là della dubbia efficacia di tale iniziativa e dei deludenti risultati sinora raggiunti, il piano di contrapporre alle milizie tribali – che nella pratica continueranno a rappresentare l’espressione dei poteri locali e a esserne strumento di confronto e scontro – una forza locale di polizia non può che indicare un progressivo allontanamento del potere centrale, per altro già relativamente debole quando non del tutto assente, dalla periferia. Spesso chi aderisce alle milizie tribali, così come chi si unisce ai gruppi di opposizione armata, e adesso alle forze di polizia locale, lo fa spinto da ragioni sì di carattere economico ma più spesso indotto da altre logiche tra le quali il senso di appartenenza culturale e tribale, i codici d’onore tribali, o la volontà di difesa degli interessi della propria comunità, non necessariamente sotto la minaccia dei gruppi di opposizione.
Il progetto delle Arbakai, nato spontaneamente ma riconosciuto formalmente a livello locale ha deluso le aspettative di chi, nonostante le forti critiche e le valutazioni di rischio potenziale a più voci sollevate, le ha fortemente volute. Le forze di polizia locale, nate con lo scopo di risolvere nel breve termine questo problema non hanno però ancora dimostrato di essere davvero efficaci. Spesso l’una e le altre sono difficilmente riconoscibili mentre gli effetti sul fattore sicurezza appaiono quantomeno dubbi.
Ishaq Nizami, uno dei diplomati all’ultimo corso per poliziotti locali conclusosi a Kunduz la settimana scorsa, testimonia il rischio potenziale di ravvivare un conflitto latente di natura interetnica: «Ho perso tre fratelli nella guerra contro i taliban e io stesso sono stato ferito. Prima di questo ero anche io un taliban ma ho lasciato la lotta insurrezionale a causa delle brutalità a cui ho assistito ».
Molta gente non ama le Arbakai né, tantomeno, il nuovo soggetto chiamato a sostituirle e che spesso è costituito dagli stessi elementi a cui, adesso, viene legittimamente attribuito un ruolo istituzionale. Spesso, come accaduto nel distretto di Imam Sahib, le comunità protestano a gran voce tanto contro i taliban quanto contro le milizie tribali. Haji Aman Otmanzoy, uno degli anziani che partecipano alle shurà comunitarie, ha accusato le stesse Arbakai di essere fonte di insicurezza e illegalità dal momento che, invece di combattere la presenza degli insorti, si dedicano ad attività molto più redditizie e meno pericolose come la rapina e il taglieggiamento ai danni delle comunità locali.
Come recentemente riportato dall’Institute for War & Peace Reporting , gli abitanti delle provincie orientali hanno ormai compreso che le milizie tribali, organizzate per proteggere le popolazioni dalle violenze dei taliban, rappresentano invece una minaccia concreta essendosi macchiate, impunemente, di crimini quali furto, violenze e uccisioni arbitrarie nei confronti della povera gente. Il Village Stability Programme, avviato per fornire ai membri delle Arbakai un adeguato addestramento per poter garantire la sicurezza delle proprie comunità, si è rivelato invece un controverso programma dai risultati tutt’altro che soddisfacenti.
Il mullah Naim della provincia di Badghis, sotto responsabilità italiana, è stato ripetutamente minacciato da alcuni componenti della locale Arbakai in seguito della denuncia di collusione tra questi e i taliban operativi nell’area. Una denuncia che è costata la vita alla madre e ha portato al ferimento della matrigna (la seconda moglie del padre) costringendo Naim ad abbandonare, con il resto della famiglia, il proprio villaggio di Darzak nel distretto di Jawand.
Un portavoce delle forze Nato in quell’area ha confermato che molte delle azioni condotte da gruppi di opposizione contro obiettivi nel distretto hanno avuto origine nell’attività di raccolta informazioni da parte delle stesse milizie tribali collegate agli insurgent. È ormai noto che molti appartenenti a queste unità sono ex taliban che, pur avendo aderito al processo di reintegrazione ed essendo divenuti “poliziotti locali”, non hanno reciso i rapporti con i movimenti insurrezionali di provenienza. Ciò ha portato alla paradossale situazione di legittimare l’uso delle armi e delegare la sicurezza a coloro che, a diverso titolo, sono comunque legati alla minaccia che si vuole eliminare o, più realisticamente, tentare di contenere.
Mille sono approssimativamente i miliziani-poliziotti delle Arbakai nella provincia di Badghis, ma il numero è puramente indicativo poiché non esiste un registro degli organici e delle unità operative; detto in altri termini, ancora non è possibile definire quanti e dove siano gli agenti della polizia tribale legittimati dal Village Stability Programme. E dunque non è possibile dire se le Forze di polizia locale potranno contare sul supporto di queste o dovranno sostituirsi a esse, anche con l’uso della forza, portando a conseguenze deleterie sul piano dei conflitti interetnici e tribali.
Haji Qari, ex rappresentante del governo locale del distretto di Bala Murghab, conferma questa valutazione affermando che le milizie tribali, equipaggiate e addestrate dalle forze di sicurezza straniere, contribuiscono attivamente all’instabilità dell’area ma che al momento non vi è iniziativa alcuna da parte governativa per porre termine a questa fonte di minaccia alla sicurezza. Dello stesso parere è Lal Mohammad Omarzai, a capo del distretto di Shindand, provincia di Herat, che denuncia l’inaffidabilità dei duecento uomini armati – dalle forze straniere sostiene Lal Mohammad – che nell’area di Zirkoh sono spesso dediti al taglieggiamento e alla giustizia spicciola. Tre uomini, interpreti delle forze di sicurezza internazionali, sarebbero stati uccisi recentemente proprio nella valle di Zerkoh; dietro a questi omicidi ci sarebbe l’ombra delle milizie tribali. Ma la risposta di Abdorrahman, comandante di una milizia di Shindand, nega ogni coinvolgimento dei suoi uomini in tali azioni, per quanto non escluda che alcuni singoli soggetti possano essere implicati in episodi isolati di violenza nei confronti della popolazione civile. Episodi, sostiene Abdorrahman, su cui sarà fatta chiarezza.
La presenza dei taliban e di altri gruppi di opposizione è diminuita in seguito alla costituzione delle milizie tribali? Difficile dirlo, specialmente quando le azioni attribuibili agli insorgenti o alle milizie tribali non sono facilmente riconoscibili. Quel che è certo è che tali milizie, strumento di potere locale sempre più forte e fuori controllo, sono riuscite – complice la necessità di svincolare truppe straniere dall’impegno prolungato nelle aree periferiche – a guadagnarsi la “fiducia” del governo centrale e delle forze di sicurezza della Coalizione sempre ben disposte a elargire finanziamenti e a fornire equipaggiamenti militari. Eppure gli episodi di violenza e manifesta inaffidabilità non mancano.
Alcuni mesi fa, ha dichiarato un ufficiale di polizia all’Institute for War & Peace Reporting, uno scontro armato con gli abitanti di Bala Murghab ha portato alla morte di due donne e di un appartenente alle milizia tribali. Nessun taliban sarebbe stato coinvolto in questo episodio di violenza causato, stando alle parole della polizia, dalla pretesa da parte dei miliziani di raccogliere tributi dalla popolazione locale.
Abdul Rauf Ahmadi, portavoce della polizia nazionale, ha confermato che episodi del genere non sono rari.
Nell’estate del 2010 il governo afghano ha deciso di sostituire le milizie tribali con una forza di polizia locale controllata dal governo centrale. Nuovo nome – forze di polizia locale – per un tentativo ulteriore di mettere sotto controllo le aree periferiche attraverso la delega alla sicurezza: un rischio non da poco per un potere centrale sempre più debole.
15 dicembre 2010