Kandahar. Martedì 27 aprile un attacco coordinato condotto da più uomini colpisce un deposito logistico della Supreme, la compagnia di contractor che supporta gli Stati Uniti (e molti dei contingenti internazionali) nelle operazioni Isaf ed Enduring Freedom.
Sono morti almeno tre uomini (i taliban ne hanno rivendicati quindici attraverso il loro portavoce Ahmadi), altri trentacinque sarebbe rimasti feriti nell’attacco suicida multiplo avvenuto nella città di Kandahar, roccaforte dei taliban e punto di massimo sforzo dell’offensiva Nato (statunitense) ancora in corso.
Gli attentatori suicidi sono entrati all’interno della grande base logistica (la seconda per importanza in Afghanistan) e si sono fatti esplodere in prossimità dei depositi di carburanti ottenendo un risultato davvero notevole e confermando volontà e capacità: la loro offensiva, in risposta a quella Nato-Enduring Freedom, ha portato a un totale, purtroppo parziale, di venti vittime. E questo solo dal 12 aprile.
Si tratta di un cambio di strategia, in atto ormai da circa due anni, che ha portato i nuclei di combattenti taliban a muoversi sul campo di battaglia in maniera autonoma e flessibile; la politica del mujaheddin taliban della nuova generazione è “quando vedi una possibilità per colpire, fallo”. Questo ha consentito loro in breve volgere di tempo di ottenere risultati eccezionali: una vittoria sul campo difficile da contestare, almeno stando ai recenti rapporti dell’Icos che danno all’80% il territorio sotto controllo del movimento degli studenti coranici.
I risultati pratici? La situazione della sicurezza è visibilmente deteriorata, le nazioni Unite hanno temporaneamente chiuso i loro uffici di Kandahar, gli anziani rappresentanti delle comunità vengono minacciati di morte – e questo è un importante indizio di quanto la “resistenza” afghana stia mutando e muovendosi verso posizioni radicali e difficilmente concilianti con i codici comportamentali e le tradizioni locali: negli ultimi due mesi sono stati tredici i capi tribali uccisi dai taliban, l’ultimo proprio oggi.
Un’evoluzione della tecnica degli attentati suicidi che ha preso sempre più piede a partire dal 2008 con l’attentato al Serena hotel di Kabul, in cui persero la vita quattro civili. Non più, o non solo, attentatori singoli, bensì unità commando costituite da più “martiri” (Shahid) affiancati e supportati da elementi operativi da combattimento: vere e proprie operazioni militari, in cui agli equipaggiamenti esplosivi degli attentatori si aggiungono le armi leggere e di sostegno dei nuclei combattenti. Di norma accanto al primo gruppo di attaccanti armati di fucili, mitragliatrici e lanciarazzi ve n’è sempre un secondo, e magari anche un terzo, composto da attentatori suicidi.
I risultati ottenuti sul terreno da questi commando sono frutto della combinazione di un atto terroristico con un’operazione d’assalto vera e propria, che segna non solo un’importante successo militare, ma anche e soprattutto un notevole successo mediatico. La dimostrazione di forza e di sangue del 26 febbraio 2010 a Kabul, quella in cui ha perso la vita l’agente dell’Aise Antonio Colazzo, è solo un’ulteriore conferma delle capacità acquisite.
Soprattutto negli ultimi anni si sono moltiplicati gli attacchi nella capitale e adesso anche in Kandahar, in concomitanza con il prorompere della nuova politica adottata dalla seconda generazione di combattenti afghani, i “neo-taliban”. La strategia delle azioni spettacolari è prioritaria per i gruppi di opposizione.
Il 27 aprile è stata una giornata carica di violenza nella città di Kandahar. Non occorre avere la sfera di cristallo per prevederne di peggiori, e a breve termine.
Sono morti almeno tre uomini (i taliban ne hanno rivendicati quindici attraverso il loro portavoce Ahmadi), altri trentacinque sarebbe rimasti feriti nell’attacco suicida multiplo avvenuto nella città di Kandahar, roccaforte dei taliban e punto di massimo sforzo dell’offensiva Nato (statunitense) ancora in corso.
Gli attentatori suicidi sono entrati all’interno della grande base logistica (la seconda per importanza in Afghanistan) e si sono fatti esplodere in prossimità dei depositi di carburanti ottenendo un risultato davvero notevole e confermando volontà e capacità: la loro offensiva, in risposta a quella Nato-Enduring Freedom, ha portato a un totale, purtroppo parziale, di venti vittime. E questo solo dal 12 aprile.
Si tratta di un cambio di strategia, in atto ormai da circa due anni, che ha portato i nuclei di combattenti taliban a muoversi sul campo di battaglia in maniera autonoma e flessibile; la politica del mujaheddin taliban della nuova generazione è “quando vedi una possibilità per colpire, fallo”. Questo ha consentito loro in breve volgere di tempo di ottenere risultati eccezionali: una vittoria sul campo difficile da contestare, almeno stando ai recenti rapporti dell’Icos che danno all’80% il territorio sotto controllo del movimento degli studenti coranici.
I risultati pratici? La situazione della sicurezza è visibilmente deteriorata, le nazioni Unite hanno temporaneamente chiuso i loro uffici di Kandahar, gli anziani rappresentanti delle comunità vengono minacciati di morte – e questo è un importante indizio di quanto la “resistenza” afghana stia mutando e muovendosi verso posizioni radicali e difficilmente concilianti con i codici comportamentali e le tradizioni locali: negli ultimi due mesi sono stati tredici i capi tribali uccisi dai taliban, l’ultimo proprio oggi.
Un’evoluzione della tecnica degli attentati suicidi che ha preso sempre più piede a partire dal 2008 con l’attentato al Serena hotel di Kabul, in cui persero la vita quattro civili. Non più, o non solo, attentatori singoli, bensì unità commando costituite da più “martiri” (Shahid) affiancati e supportati da elementi operativi da combattimento: vere e proprie operazioni militari, in cui agli equipaggiamenti esplosivi degli attentatori si aggiungono le armi leggere e di sostegno dei nuclei combattenti. Di norma accanto al primo gruppo di attaccanti armati di fucili, mitragliatrici e lanciarazzi ve n’è sempre un secondo, e magari anche un terzo, composto da attentatori suicidi.
I risultati ottenuti sul terreno da questi commando sono frutto della combinazione di un atto terroristico con un’operazione d’assalto vera e propria, che segna non solo un’importante successo militare, ma anche e soprattutto un notevole successo mediatico. La dimostrazione di forza e di sangue del 26 febbraio 2010 a Kabul, quella in cui ha perso la vita l’agente dell’Aise Antonio Colazzo, è solo un’ulteriore conferma delle capacità acquisite.
Soprattutto negli ultimi anni si sono moltiplicati gli attacchi nella capitale e adesso anche in Kandahar, in concomitanza con il prorompere della nuova politica adottata dalla seconda generazione di combattenti afghani, i “neo-taliban”. La strategia delle azioni spettacolari è prioritaria per i gruppi di opposizione.
Il 27 aprile è stata una giornata carica di violenza nella città di Kandahar. Non occorre avere la sfera di cristallo per prevederne di peggiori, e a breve termine.
ABC News