di Claudio Bertolotti
articolo pubblicato su Osservatorio IraqAfghanistan, 15 aprile – I mujaheddin dell’Emirato islamico hanno lanciato una serie di attacchi simultanei su larga scala contro le forze di sicurezza internazionali e governative afghane a Kabul, Paktia, Nangarhar e Logar. I combattenti taliban appartenenti al gruppo denominato Haqqani Network – il movimento “taliban” semi-autonomo e fortemente ideologizzato – hanno guadagnato posizioni tatticamente vantaggiose collocandosi ai piani più alti degli edifici delle aree di Charahi Zanbaq e Wazir Akbar Khan, nel cuore di Kabul.
Almeno sette sono gli obiettivi colpiti a Kabul nella stessa giornata: il Parlamento afghano, le ambasciate di Stati Uniti, Germania e Russia, il palazzo presidenziale, il Kabul Military Training Centre e la base Isaf di Camp Warehouse nella periferia est della capitale, mentre nella provincia di Nangarhar un commando ha attaccato la grande base statunitense di Jalalabad. In tutti i casi è stato massiccio l’impiego di attentatori suicidi che avrebbero provocato numerose vittime a decine di feriti.
I taliban hanno rivendicato immediatamente la paternità dell’offensiva, presentandola come reazione all’uccisione dei diciassette (o sedici?) civili da parte del soldato statunitense lo scorso mese di marzo, mentre l’operazione di contenimento dell’offensiva è stata guidata e coordinata dalle forze di sicurezza afghane – una scelta di opportunità politica e una rischiosa scommessa al tempo stesso: i risultati sono stati soddisfacenti sul piano tattico (due attaccanti suicidi catturati vivi nella capitale, altri quindici a Kunduz, un’autobomba intercettata e distrutta) ma sul piano strategico i limiti sono ancora molti e l’assenza di un’efficace capacità di prevenzione è quantomeno evidente.
L’obiettivo concreto e immediato raggiunto dai taliban? L’attenzione mediatica e il blocco funzionale delle forze di sicurezza internazionali e afghane: non poco per un movimento insurrezionale.
Come i più recenti eventi ci confermano, sul campo di battaglia afghano si è imposta una nuova tecnica offensiva sempre più efficace: le unità commando; una tattica efficace basata sul coordinamento di uno o più attaccanti (spesso divisi in sotto-unità o scaglioni) sostenuti da nuclei di appoggio. Il cambio generazionale ai vertici dell’insurrezione ha portato all’introduzione di tecniche nuove e sempre più spregiudicate mentre la maggiore cooperazione tra differenti gruppi ha segnato l’aumento di attacchi nelle zone di Kabul, Kandahar e Helmand. E proprio Kabul è un importante obiettivo, strategico e simbolico al tempo stesso; la collaborazione tra i gruppi ha portato a un sensibile aumento di “attacchi spettacolari” nella capitale, dove le opportunità di colpire obiettivi di alto profilo sono elevate e garantiscono una eco mediatica amplificata. Gli attentati suicidi attirano l’attenzione dei media internazionali; e Kabul è la città in cui vi è la più alta concentrazione di giornalisti stranieri.
E se sul piano operativo i taliban hanno dimostrato di essere in grado di muoversi con sorprendente maestria, su quello politico non sono stati da meno. Inizia così, al momento informalmente, l’offensiva di primavera dei taliban e di tutti i gruppi insurrezionali afghani che sotto la bandiera bianca dell’Emirato islamico operano in un vagamente stabile rapporto di collaborazione-competizione. Nei prossimi giorni l’organo di informazione dell’Emirato islamico, attraverso i suoi portavoce Zabiullah Mujahid e Qari Yussuf Ahmadi, ci comunicherà il nome del’ultima operazione, l’undicesima offensiva che, ancora una volta, vedrà confrontarsi sul campo di battaglia le forze militari – e politiche – occidentali e l’insurrezione armata afghana. Come di consueto, il comunicato avverrà attraverso il sito web dell’Emirato islamico dell’Afghanistan; si avvierà così una nuova stagione di combattimenti e di guerra delle percezioni, come ebbe modo di chiamarla il generale Petraeus un paio di anni fa.
La primavera è arrivata e, con essa, il risveglio operativo dell’insurrezione afghana. Nelle ultime settimane decine sono state le azioni portate a termine dai gruppi di opposizione armata su tutto il territorio afghano; a ovest, la “pacifica” città di Herat sotto la responsabilità italiana è stata colpita da un significativo aumento di attacchi suicidi che hanno definitivamente spazzato via l’idea di un’area tranquilla nell’Afghanistan contemporaneo. È ormai evidente che i taliban, e con essi tutti i gruppi di opposizione armata, sono ben determinati a premere sul tasto della violenza per dimostrare – ancora una volta e ancora di più – una volontà offensiva mai messa in dubbio né contrastata. Il 2012, più degli anni precedenti, sarà maggiormente significativo per i taliban, impegnati al tempo stesso sul campo di battaglia e al tavolo delle trattative negoziali, dove peraltro saranno in grado di far pesare ogni vantaggio militare ottenuto.
Ma non è solo sul piano politico e militare che si sono mossi con efficacia i mujaheddin afghani; è infatti il piano sociale la terza dimensione caratterizzante la strategia insurrezionale: la conquista “dei cuori e delle menti” – leit motiv ormai accantonato della dottrina contro insurrezionale occidentale – è già avvenuta nella maggior parte delle regioni del sud e prosegue efficacemente nelle altre aree del Paese. È ormai un dato accertato che, per una significativa parte della popolazione afghana del sud e dell’est, i taliban stanno gradualmente guadagnando legittimità e consenso sociale.
Ma l’attuale offensiva di primavera segue senza soluzione di continuità le precedenti e micidiali offensive taliban del 2011 e del 2010, operazioni Badar e al-Faath, caratterizzate da un massiccio impiego di attentatori e commando suicidi, imboscate e attacchi Ied (Improvised explosive devices - ordigni esplosivi improvvisati) e, pericolo sempre più reale, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane, i cosiddetti attacchi “green on blue”. Un’offensiva, quella del 2012, anticipata da una serie di attacchi in grande stile.
Nei fatti, e non solo nelle parole, i taliban sono espliciti nei loro intenti. L’attuale offensiva, come le precedenti, si estenderà a tutto il territorio del Paese seguendo la logica della guerriglia: azioni mordi e fuggi, imboscate, Ied, uccisione di rappresentanti dell’amministrazione civile, sabotaggio delle vie di comunicazione militari, cattura di soldati stranieri, attentati suicidi e, infine, infiltrazione all’interno delle forze di sicurezza afghane. Un copione ormai collaudato che li porterà a scegliere obiettivi appaganti dal punto di vista mediatico, utilizzeranno commando suicidi tecnicamente sempre più preparati contro le infrastrutture delle forze militari straniere e afghane, si infiltreranno nelle forze di sicurezza locali e nazionali per poter raccogliere informazioni e colpire direttamente dall’interno così come avvenuto nell’ultimo anno. Lo hanno detto e lo faranno, non si tratta di semplice propaganda. Oggetto del fuoco taliban saranno i principali centri urbani, la capitale Kabul, Kandahar nel sud, Kunduz nel nord e Herat nell’ovest. I taliban continueranno ancora di più nell’opera offensiva su basi militari, aeroporti e convogli logistici; si concentreranno sugli obiettivi militari stranieri, le agenzie intelligence, i contractor, i vertici civili e militari dello Stato afghano, rappresentanti politici e funzionari istituzionali, dirigenti delle organizzazioni straniere e locali che collaborano con le forze di sicurezza e con il governo di Kabul.
I vertici politici e militari della missione internazionale si aspettano un ulteriore aumento nel numero e nell’intensità delle azioni offensive contro le forze di sicurezza nei prossimi mesi; nonostante i duri colpi inferti al movimento insurrezionale nel corso del 2010 e del 2011 i taliban sembrano essersi rinvigoriti, galvanizzati da un successo che appare sempre più inarrestabile.
Ma dietro la lettura dei proclami, degli annunci e dei messaggi mediatici dell’una e dell’altra schiera, vi è una vivace quanto frenetica attività diplomatica e negoziale volta a trovare una soluzione di compromesso che, guardando avanti, appare sempre più essere a vantaggio dei mujaheddin afghani. Attendiamo di vedere “quanto” e “come” – e non “se” – gli attuali sviluppi politici (la strategic partnership), militari (l’offensiva taliban) e sociali (il sempre maggiore dissenso popolare) dell’Afghanistan peseranno al summit della Nato di Chicago in calendario per il prossimo maggio.
articolo pubblicato su Osservatorio Iraq