Tecnica offensiva vincente sotto tutti i punti di vista: basso costo, semplice, efficace. Gli Improvised explosive devices (Ied) sono una delle armi vincenti dei gruppi di opposizione impegnati nella “guerra di liberazione” afghana, certamente la più insidiosa per le forze di sicurezza. Bombe esplosive, collocate lungo le principali vie di comunicazione, sempre più potenti, efficaci e di elevato rendimento in termini di danni inflitti al nemico, danni che si misurano in numero di morti: l’Ied è l’arma più efficace ed economica. Il numero di attacchi ha superato cifra 8.000 nel 2009, un incremento notevole rispetto ai poco meno di 2.700 del 2007, ed è la principale causa di morte tra i militari stranieri.
L’evoluzione della tecnica e la veloce risposta alle contromisure adottate dai militari occidentali non riescono a essere contrastate prontamente e in maniera efficace dagli specialisti della minaccia asimmetrica. Gli insorgenti, studiando le tattiche e le procedure militari delle forze della Coalizione, imparando dai propri errori e scambiando informazioni con i vari gruppi regionali, sono riusciti progressivamente a guadagnare terreno sul campo di battaglia portando a segno un elevato e progressivo numero di attacchi. E nonostante le azioni mirate volte a colpire i vertici di comando, quello dei taliban – e di tutti i movimenti e le fazioni che a essi si richiamano –, i risultati non riescono a compensare la capacità di adattamento di un’insorgenza che si presenta come un mondo dall’indefinita gerarchia di comando e caratterizzato da ampia autonomia sul terreno che ottiene una sempre più veloce e impressionante espansione geografica. Questo significa che vi è un adeguato livello di coordinamento e collaborazione tra le unità “insurgent” sul terreno.
Nel 2009 i gruppi di opposizione hanno portato a segno in media ventidue attentati Ied al giorno, e i risultati sono stati disastrosi dal punto di vista della logistica della missione internazionale: movimenti limitati, ridotta velocità di spostamento, pericolo per la sicurezza fisica del personale e dei mezzi.
Tutto questo è il risultato di un’organizzazione militare di alto livello, come testimonia Qari Khairullah Muneeb, comandante taliban delle “unità Ied” dell’area di Dand nella provincia di Kandahar, intervistato da Al Emarah Jihadi Studio, l’organo di propaganda dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
La testimonianza del comandante Muneeb, per quanto parziale, ha il grande merito di presentare un aspetto importante dell’organizzazione militare dei taliban: la capacità di comando e controllo.
Muneeb, originario di Spin Boldak (provincia di Kandahar), è a capo delle “unità Ied” che si occupano di colpire le truppe straniere e le forze di sicurezza afghane attraverso attacchi diretti lungo le principali vie di comunicazione. Unità, divise in 37 sezioni, che sono operative su base distrettuale. Si tratta di unità, denominate Brigate ma dalla consistenza numerica di alcune decine di individui ognuna, composte da specialisti addetti agli esplosivi, nuclei di sicurezza e supporto alle operazioni, trasmettitori, informatori e facilitatori. Un’organizzazione flessibile, fluida, in grado di muovere e combattere sul campo di battaglia per poi diluirsi all’interno delle comunità locali.
Unità agili e ben coordinate, e al tempo stesso autonome. Un’autonomia che ha consentito, e consente tuttora, di ottenere grandi risultati. Da un lato, costringe le truppe afghane e della Coalizione a diminuire i movimenti via terra e a ridurre la presenza sul territorio con conseguente ridimensionamento della capacità di controllo effettivo delle aree di operazioni, dall’altro, gioca un ruolo fondamentale nel condizionare il morale delle truppe e l’opinione pubblica locale.
Dunque, stando così le cose, l’impatto della tecnica Ied contribuirà a rendere più pericolosa la missione per gli eserciti occidentali in Afghanistan? Sì, secondo il comandante Muneeb. Sì secondo il parere di chi scrive. I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E i gruppi di opposizione sono sempre un passo avanti alla Coalizione. Questo accade perché la capacità di adattamento degli insorgenti, per forza di cose, è molto più veloce che non per gli eserciti organizzati: aumentare il potenziale distruttivo e penetrante di un Ied è certamente più semplice e veloce che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi). Accade così che, a ogni tentativo da parte delle forze di sicurezza di porre rimedio al gap dell’auto-protezione, la risposta degli insorgenti si dimostra sempre terribilmente efficace; lo possono quotidianamente verificare le forze della Nato quanto i mujaheddin siano capaci di offendere. E aumento del livello di protezione significa necessità di dispositivi più potenti per poter arrecare danno: un circolo vizioso che influisce sensibilmente sulle statistiche delle vittime collaterali, i civili.
Muneeb sottolinea che i risultati ottenuti contro le forze di sicurezza non sono che una conferma della bontà della tecnica Ied. La componente militare dell’Emirato islamico implementerà ulteriormente questo tipo di tattica – Ied warfare – aumentando il numero di unità autonome, migliorando la qualità degli equipaggiamenti e perfezionando l’addestramento degli stessi operatori Ied – anche attraverso il ricorso a “istruttori stranieri” – in modo da poter essere sempre più abili e professionali e di poter colpire con sempre maggior frequenza ed efficacia. Parlano i numeri, gli attacchi si sono moltiplicati negli ultimi mesi e non accennano a diminuire.
E a nulla servono escamotage come il divieto di vendita di ammonio nitrato, fertilizzante utilizzato per la costruzione di bombe Ied, che ha ottenuto come unico risultato quello di far infuriare intere comunità rurali dedite all’agricoltura.
Una tecnica semplice, dunque, in risposta alla complessità tecnologica delle sofisticate procedure di guerra. Una tecnica che funziona e che produce risultati terribilmente concreti.
28 settembre 2010
L’evoluzione della tecnica e la veloce risposta alle contromisure adottate dai militari occidentali non riescono a essere contrastate prontamente e in maniera efficace dagli specialisti della minaccia asimmetrica. Gli insorgenti, studiando le tattiche e le procedure militari delle forze della Coalizione, imparando dai propri errori e scambiando informazioni con i vari gruppi regionali, sono riusciti progressivamente a guadagnare terreno sul campo di battaglia portando a segno un elevato e progressivo numero di attacchi. E nonostante le azioni mirate volte a colpire i vertici di comando, quello dei taliban – e di tutti i movimenti e le fazioni che a essi si richiamano –, i risultati non riescono a compensare la capacità di adattamento di un’insorgenza che si presenta come un mondo dall’indefinita gerarchia di comando e caratterizzato da ampia autonomia sul terreno che ottiene una sempre più veloce e impressionante espansione geografica. Questo significa che vi è un adeguato livello di coordinamento e collaborazione tra le unità “insurgent” sul terreno.
Nel 2009 i gruppi di opposizione hanno portato a segno in media ventidue attentati Ied al giorno, e i risultati sono stati disastrosi dal punto di vista della logistica della missione internazionale: movimenti limitati, ridotta velocità di spostamento, pericolo per la sicurezza fisica del personale e dei mezzi.
Tutto questo è il risultato di un’organizzazione militare di alto livello, come testimonia Qari Khairullah Muneeb, comandante taliban delle “unità Ied” dell’area di Dand nella provincia di Kandahar, intervistato da Al Emarah Jihadi Studio, l’organo di propaganda dell’Emirato islamico dell’Afghanistan.
La testimonianza del comandante Muneeb, per quanto parziale, ha il grande merito di presentare un aspetto importante dell’organizzazione militare dei taliban: la capacità di comando e controllo.
Muneeb, originario di Spin Boldak (provincia di Kandahar), è a capo delle “unità Ied” che si occupano di colpire le truppe straniere e le forze di sicurezza afghane attraverso attacchi diretti lungo le principali vie di comunicazione. Unità, divise in 37 sezioni, che sono operative su base distrettuale. Si tratta di unità, denominate Brigate ma dalla consistenza numerica di alcune decine di individui ognuna, composte da specialisti addetti agli esplosivi, nuclei di sicurezza e supporto alle operazioni, trasmettitori, informatori e facilitatori. Un’organizzazione flessibile, fluida, in grado di muovere e combattere sul campo di battaglia per poi diluirsi all’interno delle comunità locali.
Unità agili e ben coordinate, e al tempo stesso autonome. Un’autonomia che ha consentito, e consente tuttora, di ottenere grandi risultati. Da un lato, costringe le truppe afghane e della Coalizione a diminuire i movimenti via terra e a ridurre la presenza sul territorio con conseguente ridimensionamento della capacità di controllo effettivo delle aree di operazioni, dall’altro, gioca un ruolo fondamentale nel condizionare il morale delle truppe e l’opinione pubblica locale.
Dunque, stando così le cose, l’impatto della tecnica Ied contribuirà a rendere più pericolosa la missione per gli eserciti occidentali in Afghanistan? Sì, secondo il comandante Muneeb. Sì secondo il parere di chi scrive. I risultati sinora ottenuti hanno consentito di adeguare sempre più e sempre meglio gli equipaggiamenti esplosivi alle esigenze di carattere tattico. E i gruppi di opposizione sono sempre un passo avanti alla Coalizione. Questo accade perché la capacità di adattamento degli insorgenti, per forza di cose, è molto più veloce che non per gli eserciti organizzati: aumentare il potenziale distruttivo e penetrante di un Ied è certamente più semplice e veloce che non progettare veicoli sempre più protetti e pesanti (e costosi). Accade così che, a ogni tentativo da parte delle forze di sicurezza di porre rimedio al gap dell’auto-protezione, la risposta degli insorgenti si dimostra sempre terribilmente efficace; lo possono quotidianamente verificare le forze della Nato quanto i mujaheddin siano capaci di offendere. E aumento del livello di protezione significa necessità di dispositivi più potenti per poter arrecare danno: un circolo vizioso che influisce sensibilmente sulle statistiche delle vittime collaterali, i civili.
Muneeb sottolinea che i risultati ottenuti contro le forze di sicurezza non sono che una conferma della bontà della tecnica Ied. La componente militare dell’Emirato islamico implementerà ulteriormente questo tipo di tattica – Ied warfare – aumentando il numero di unità autonome, migliorando la qualità degli equipaggiamenti e perfezionando l’addestramento degli stessi operatori Ied – anche attraverso il ricorso a “istruttori stranieri” – in modo da poter essere sempre più abili e professionali e di poter colpire con sempre maggior frequenza ed efficacia. Parlano i numeri, gli attacchi si sono moltiplicati negli ultimi mesi e non accennano a diminuire.
E a nulla servono escamotage come il divieto di vendita di ammonio nitrato, fertilizzante utilizzato per la costruzione di bombe Ied, che ha ottenuto come unico risultato quello di far infuriare intere comunità rurali dedite all’agricoltura.
Una tecnica semplice, dunque, in risposta alla complessità tecnologica delle sofisticate procedure di guerra. Una tecnica che funziona e che produce risultati terribilmente concreti.
28 settembre 2010